Le prime
esperienze letterarie di Giosue Carducci, nato nel 1835 a Valdicastello nei
pressi di Lucca, risalgono agli anni dei suoi studi presso la Normale di
Pisa, dove otterrà il diploma in magistero nel 1856.
Si tratta
del periodo dei famigerati “amici pedanti”, un gruppo di giovani
che propone il ritorno al classicismo in opposizione alla nouvelle vague
romantica, egemone in quel periodo. E’ proprio su questa linea di recupero
delle forme e dei modi della tradizione letteraria italiana che avviene l’esordio
poetico di Carducci, nel 1857, col primo volume di Rime.
Allo
stesso modo, negli anni successivi, difficili dal punto di vista della sua
situazione economica e affettiva (muoiono, a un anno di distanza l’uno
dall’altro, il padre e il fratello) sono dedicati dello studio dei classici e
della sperimentazione dall’interno del classicismo. Il 1860 è l’anno
dell’unità d’Italia, e Terenzio Mamiani, il primo ministro italiano della
pubblica istruzione, gli affida la cattedra di eloquenza dell’università di Bologna,
che terrà fino al 1904.
E’ il
momento in cui, da una parte, incomincia ad impegnarsi politicamente
nell’estrema sinistra di allora, quella Mazziniana, e dall’altra continua la
sua ricerca poetica, fino a pubblicare il suo secondo libro, Poesie, nel 1871.
Da questo punto in poi comincia la stagione del suo successo letterario,
nonché il suo riflusso politico che lo porterà, proprio negli anni in cui la
sinistra va al potere, verso posizioni decisamente conservatrici e
monarchiche.
Col suo
libro successivo, le Odi barbare, del 1877, questa sua trasformazione è
oramai compiuta: si tratta di un libro di poesia civile nel quale determinati
momenti storici (Roma antica, i Comuni) vengono proposti come modelli etici
da ritrovare nella nuova Italia che si sta formando. La posizione di
Carducci-vate della monarchia e della patria si rafforza sempre più con gli
anni. Nel 1878 con l’ode Alla regina d’Italia, diventa anche il poeta
ufficiale di casa Savoia, e fa ancora peggio nel 1882 con l’articolo Eterno
femminino regale.
Nello
stesso anno pubblica Giambi ed epodi, ancora poesia di impegno civile, ma
questa volta più di stampo satirico e polemico. Un relativo cambiamento lo
abbiamo con la sua raccolta successiva, Rime Nuove, del 1887. I toni accesi e
oratori lasciano (in parte) il posto ad una poetica più intimista e
riflessiva, che produce buona parte dei classici che ritroveremo nelle
antologie scolastiche del secolo successivo: Pianto antico, Il bove, Idillio
Maremmano, San Martino.
Nel 1890
esce l’ultima raccolta, Rime e ritmi, e nello stesso anno viene nominato
senatore del regno: è la definitiva consacrazione a poeta ufficiale
dell’Italia Umbertina. Il riconoscimento più grande gli arriverà però nel
1906, col premio Nobel, un anno prima della sua morte a Bologna.
Note biografiche a cura di Maria Agostinelli.
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