Del Simbolo
Valle del Simeto – anno V_L_ 6005
“Egli sa [ Dio onnipotente, n.d.r.] che non ho scritto le mie osservazioni né per
amore di una lode umana, né per il desiderio di una ricompensa temporale, che non ho
nascosto nulla di prezioso o di raro per malizia o gelosia, che non ho passato sotto
silenzio nessuna cosa, riservandola per me solo, ma per accrescere l’onore e la gloria del
Suo Nome ho voluto venire incontro alle necessità e aiutare il progresso di un gran
numero di uomini”.
TEOFILO, Traité de divers arts (sec. XII)
“Nihil sub sole novi!
In questi pensieri, dunque, non vi può essere nulla di nuovo… Essi sono un rosario
di cose eterne.
Se in questo rosario si trovano rose non mie, non sono state rubate, sono venute da
sé e qui riportate per forza analogica e non volutamente. Non ho avuto nessuna
preoccupazione per i pensieri già detti da altri, e ciò perché non esiste in questi scritti
alcuna vanità individuale”.
(ARA, Massime di scienza iniziatica)
“(…) conoscessi pur una volta ciò che più
intimamente feconda e tiene insieme questo
universo, le operose sue forze, e le sementi di
tutte le cose, e non facessi più un vergognoso
mercato di parole”.
J.W. GOETHE, Faust, p. I, scena ‘Notte’.
uando si comincia a muovere i primi passi sul cammino a cui si
è stati iniziati, ci si scontra, ex abrupto, con l’ostacolo primario:
il simbolo. Tale appare in quanto, al momento, incomprensibile,
sfuggente a qualsiasi logica ‘preordinata’, razionale. Il motivo è da
ricondursi al nostro modo di ragionare catalogante: ogni cosa al suo
posto, ogni cosa con la sua brava etichetta-significato. Il simbolo, per
definizione – o meglio, per sua natura – sfugge a tutto questo.
Ma allora cos’è il simbolo?
Parafrasando l’antico detto Taoista “Tutto ciò che chiami ‘simbolo’
non è il simbolo”.
Possiamo solo tentare – questo è lo scopo di questo scritto – di dare
un’idea, un suggerimento, una ipotesi di lavoro su quello che si indica
‘simbolo’, soprattutto dal punto di vista della Tradizione.
Il ‘simbolo’ deriva dal greco �úµ����� (symbolon), che risulta
composto dal prefisso �� (syn) insieme e dal verbo ����� (ballo) getto,
cado, quindi gettare insieme, mettere insieme, riunire, raccogliere.
Il termine in oggetto assume così un significato UNITIVO. Tale
significato viene rafforzato anche dal fatto che �úµ����� (symbolon)
denotava nell’antichità il segno di riconoscimento e/o di controllo
ottenuto spezzando in due un oggetto: il possessore di una delle due
parti poteva farsi riconoscere dal possessore dell’altra, mostrando come
tutte e due combaciassero.
Già da questo riscontriamo le prime – apparenti – contraddizioni.
Come detto, l’etimologia suggerisce qualcosa che tende all’unità, alla
completezza, ma allo stesso tempo sottolinea il suo carattere di
incompletezza. Infatti, in quanto parte di un intero, ha bisogno dell’altra
parte per completarsi: deve diventare uno da due1. Possiamo quindi
affermare che il concetto di ‘simbolo’ indica sì qualcosa di unitario, ma
che nasce dalla concorrenza di due elementi.
Riflettiamo sul fatto che non esiste amore senza amante, conoscenza senza
conoscente, pensiero senza pensante. etc.
Un altro aspetto evidente del simbolo è la sua dinamicità. Il fatto di
essere ‘parte staccata’ di quell’unica realtà, costringe alla cherche per
operare il congiungimento con l’altra parte2, pervenendo così ad una
visione totalizzante, una sintesi tra oggetto e soggetto.
“La funzione del simbolo è quella di collegare l’alto e il basso e
di creare tra il divino e l’umano una comunicazione tali da farli
congiungere l’uno all’altro”.
“Lo studio del simbolismo non è semplice erudizione, poiché
permette all’uomo di conoscere sé stesso. Il simbolismo è uno
strumento di conoscenza e il più antico e fondamentale metodo di
espressione; rivela aspetti della realtà che sfuggono ad altre
modalità espressive. […] Inoltre, mentre è impossibile circoscrivere
un simbolo entro i limiti del suo significato e della sua definizione, è
possibile fornire, o indicare, un punto di partenza per un viaggio di
esplorazione, una ricerca intellettuale e spirituale nelle profondità
interiori e nelle altezze esteriori, nell’immanente e nel trascendente,
sul piano orizzontale e su quello verticale. L’uso dei simboli, di per
sé mediato può condurre all’apprendimento immediato e diretto”.
L’obiezione più comune è che tutto può essere considerato
‘simbolo’, in quanto dipende dal significato che gli si attribuisce. Quello
che prima era semplicemente un segno, nell’ambito di una struttura
organizzata, diventa ‘simbolo’, la rappresentazione dell’idea di tale
aggregazione umana.
“[…] un simbolo può essere definito come qualcosa il cui valore
o significato è conferibile allo stesso da coloro che ne fanno uso”.
E se ciò può avere una qualche valenza negli usi comuni della
comunicazione profana, non possiamo dire lo stesso nel mondo della
Tradizione.
“Il simbolismo, cioè l’uso dei simboli, non è un processo
concettuale e non gli si possono dunque applicare i nostri criteri di
pertinenza e di razionalità. Un simbolo non significa qualcosa di
predeterminato a qualcuno: è al tempo stesso un fulcro di
accumulazione e di concentrazione delle immagini e delle loro
‘cariche’ affettive ed emozionali, un vettore d’orientamento analogico
dell’intuizione, un campo di magnetizzazione delle similitudini
antropologiche, cosmologiche e teologiche evocate”.
2 Ci preme sottolineare come per i più, il simbolo non rappresenti nulla in quanto
viene visto così come appare: un coccio spezzato, non un congiungimento a qualcosa,
ma il suo contrario ��à����� (diàbolon) separazione da ��� ����� (dia ballo) disgiungere.
“[Il simbolo è, n.d.r.] un dato immediato della coscienza totale,
vale a dire dell’uomo che scopre di essere uomo, che prende
coscienza della propria posizione nell’Universo; queste scoperte
primordiali sono legate al suo dramma in modo tanto organico che
lo stesso simbolismo determina sia l’attività del suo subcosciente,
sia le più nobili espressioni della sua vita spirituale”.
“Un simbolo rappresenta la realtà che vive dietro le
rappresentazioni esteriori. Dietro ogni fenomeno, apparenza o forma
si trova un principio universale creatore per quanto invisibile e
intangibile sensoriamente. Così una realtà trascendente può
manifestarsi in modo immanente tramite un simbolo. Il simbolo non
si identifica con il principio che esprime, quindi per carpire il
principio occorre fare uso dell’intuizione”.
La ragione si scontra – in modo oseremmo dire conflittuale – con
l’apparente irrazionalità del simbolo e col suo mutismo, possiamo allora
comunicare con esso solo attraverso l’intuizione.
“La radice ra indica, e non solo nelle lingue indoeuropee,
‘raggio’. Ecco già il limite della ratio: la sua linearità. Come il raggio
tocca un sol punto della circonferenza, così la ragione è limitata a
un singolo ed eccentrico punto della realtà. L’intuizione, invece, è
essenzialmente circolare e concentrica. Donde viene il termine
intuizione? Già in designa qualcosa che sta dentro. Ora in-tueor
significa, sì, guardar dentro: ma tutor e tutus indicano anche
protezione, certezza, sicurezza. La traduzione più esatta di
intuizione non è dunque guardare dentro, ma star dentro con
sicurezza. L’anima, donandosi alla verità interiore, vi sta e vi riposa
dentro. (Si osservi il capo di Giovanni reclinato sul cuore di Gesù, in
ascolto). L’intuizione è dunque al centro delle cose, mentre la
ragione si trova alla periferia”.
“(…) il simbolo è concepito come l’immagine peculiare ed
esclusiva di una realtà spirituale, superindividuale, investente una
moltitudine di piani, di dimensioni e di stati di coscienza. Ogni vero
simbolo è l’espressione univoca di un ente trascendentale: non la
mera sigla destinata ad una classificazione o ad un riconoscimento
di quell’ente, ma la forma ‘unica’ che esso può assumere.
L’immagine simbolica, più esattamente, è una modalità essenziale,
una parte integrante e una rivelazione della realtà significata; una
vera e propria condensazione dell’archetipo spirituale”.
“Il simbolismo tradizionale si basa sull’assunto che il celestiale
è primordiale, mentre il terrestre è soltanto un riflesso o una
immagine di esso: la sfera superiore racchiude il significato di quella
inferiore. Oltre ad essere primordiale, il celestiale è eterno, e
conferisce al simbolo quel potere immortale che è rimasto efficace
nel corso delle ere e continua ad esserlo nella misura in cui evoca il
senso del sacro e rivela un potere superiore a se stesso”.
Quest’ultima citazione sembrerebbe relegare il simbolo solo in una
dimensione mistica: ricordiamo però che ‘mistico’ viene da
µù���� (mùstes) iniziato N µ�� (mùo) mi chiudo, silenzioso N
µù��� (mùein) divenire muti.
Il simbolo ci suggerisce una miriade di interpretazioni a seconda
del livello spirituale raggiunto, ma non per questo è mutevole, anzi:
siamo noi che mutando atteggiamento nei suoi confronti, acquisiamo di
volta in volta insegnamenti diversi.
Il simbolo aiuta ad attuare, solo se lo si vuole e ci si applica con
costanza, una
“
conversio mentis, il riacquisto di una intelligenza spirituale, per cui,
dalla molteplicità delle parole, si passa all’unità del silenzio e,
dall’indiretto leggere, si passa al diretto e immediato vedere”.
TAVOLA SCOLPITA DAL FR.’. GIOVANNI GIGLIUTO
BIBLIOGRAFIA MINIMA
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