Prima che il Candidato entri nella Camera di Mezzo e salga, come si è detto, la Scala, gli sono date tre istruzioni legate l’una all’altra: la prima è storica, la seconda tecnica, la terza speculativa. L’istruzione storica riguarda l’organizzazione del Lavoro nella nostra Arte nei tempi antichi c nei moderni, e fatti e tradizioni che ad essa si riferiscono. Si ricorda specialmente la costruzione del Tempio di Gerusalemme regnante Salomone, da quando ebbe inizio sino al suo compimento, e sulla base delle Scritture sacre, delle storie tradizionali e delle leggende simboliche tramandate dagli antichi Liberi Muratori e custodite con cura dal nostro Sodalizio. Il Piano del Tempio detto di Salomone, il re pacifico, fu tracciato da Mano divina e rimesso a re Davide. Ma questi per essere stato uomo di guerra non poteva erigerlo, perciò, secondo il volere dell’ Altissimo, l’esecuzione fu affidata al figlio di Davide, a Salomone suo successore sul trono d’Israele. Il Tempio fu eretto su suolo considerato sacro; le fondamenta scavate sul Monte Moria. Re Davide aveva ammassato, da tempo, rilevanti quantità di materiali, pietre, legname, metalli comuni e preziosi, impiegando molti uomini per il loro trasporto, raccolta e preparazione ordinata. Il legname venne specialmente dalle foreste del Libano, le pietre dalle cave nei pressi della città, i metalli dai paesi dell’interno e dell’estero. Hiram re di Tiro, amico di Davide ed alleato di Salomone, fornì legname di cedro e di abete, ed anche uomini per i trasporti, i lavori di carpenteria e quelli da Muratore. Ed a richiesta di Salomone gli inviò un abilissimo artista figlio di genitori ebrei; si chiamava Hiram Abi, ed eccelleva in tutti i lavori di pietra, ed anche in quelli dei metalli e dei tessuti, in ogni opera di legname e in qualunque cosa gli fosse proposta. Pochi anni dopo la sua ascesa al trono re Salomone ordinò una leva di 30 mila operai che lavoravano a turno nelle foreste del Libano sotto la sovrintendenza di Adoniram. Poi furono assunti molte migliaia di portatori di pesi (/sh Sabal), di cavatori e tagliapietre (Jsh Chotzeb) cui erano preposti Intendenti (Menatzchim) diretti da Capimastri (Harodim). «Così — si legge nel I libro dei Re — i Muratori /Bonai] di Salomone e quelli di Hiram [re di Tiro] ed i Ghiblim [costruttori specializzati] tagliarono ed apparecchiarono il legname e le pietre per edificare la Casa». La quale fu fabbricata, come si è detto, «di pietre acconce in perfezione, sì che né martello, né scure, né alcun altro strumento di ferro fu sentito nella Casa mentre si edificava». Le fondamenta furono poste nel mese di maggio del quarto anno di regno di Salomone, ed il Tempio compiuto nel Novembre dell’anno undecimo; l’opera durò poco più di sette anni e mezzo: dall’Anno Mundi 2992 al 3000, secondo la nostra tradizione, la quale ci dice, inoltre, che gli addetti alla costruzione erano:
300 Capimastri (Harodim),
3.300 Intendenti (Menatzchim),
80.000 Compagni, e
70.000 Apprendisti.
Loro direttori supremi erano i tre Gran Maestri Muratori: Salomone re d’Israele, Hiram re di Tiro, ed Hiram Abi il principe degli Architetti. Applicando un’antica norma, essi divisero quel gran numero di Operai in classi, e li distinsero in varie categorie tenendo conto della loro idoneità, perizia ed assiduità nel lavoro che dovevano eseguire. Il compito degli Apprendisti è noto. Una parte dei Compagni rifiniva il lavoro cominciato dagli Apprendisti; altri lo controllavano, ed in fine un terzo raggruppamento di specialisti metteva in opera. Gli Harodim elaboravano i piani particolari, mentre gli Intendenti, 0 Menatzchim, provvedevano alla distribuzione dei materiali, al collaudo, alla vigilanza generale e ad altri compiti ed incarichi. Naturalmente, tutti quegli artefici non erano giunti a Gerusalemme già esperti del mestiere, e perciò si ritiene che il G. M. Hiram Abi portasse con sé un certo numero di costruttori bene istruiti e provetti che insegnarono l’Arte agli altri, e che tale insegnamento sia proseguito, durante tutto il tempo della loro permanenza a Gerusalemme per dar modo ai volenterosi di perfezionarsi e passare, così, ad una classe superiore. Quella numerosa Compagnia formava una Gran Loggia allorquando i tre Gran Maestri riunivano in conferenza i Maestri Operai delle varie Logge, nelle quali si raccoglievano i Costruttori a lavorare, sotto la direzione dei loro capi particolari, secondo la propria classe e specialità. Come si apprende dai libri storici della Bibbia, alla costruzione del Tempio parteciparono Operai molto provetti soprannominati Ghiblim, dei Muratori 0 Costruttori (Bonai), e Scalpellini e Tagliapietre (Ish Chotzeb). Tali categorie esistevano da tempo immemorabile ed anche oggi, nell’Arte del Costruire, si trova vantaggioso di mantenerle distinte. Nella Gilda, o Compagnia di Liberi Muratori artigiani, i semplici Compagni rifiniscono le pietre nella misura richiesta © secondo il modello; quelle che il controllo non trova «esemplari», sono rifiutate e gettate nel rottame. Il controllo è compiuto dai «Marcatori» che esaminano il materiale lor passato dal reparto inferiore. Lo riscontrano, lo provano e poi lo marcano «secondo l’Arte di marcare». Il materiale marcato è pronto per essere posto in opera, senza esitazione alcuna, nel luogo o punto della costruzione per il quale fu ordinato. Sono i Ghiblim (espertissimi come i nostri medievali Maestri Comacini, a cui corrispondono) che pongono le fondamenta, erigono i muri, ecc., in silenzio, a capo coperto c scalzi. Durante la costruzione del Tempio i Marcatori controllavano il materiale tratto dalle cave, il legname della foresta del Libano, e quanto venne fuso in certi terreni presso il Giordano. Ciò che essi marcavano poteva essere messo in opera con la massima facilità e precisione. Le Marche rappresentavano figure geometriche consistenti in Squadre, Livelli e Perpendicoli. Fu Salomone ad ordinare che fossero usati angoli retti e lince orizzontali e verticali per lo scopo anzidetto: fin da allora quei segni vennero denominati i «Mistici Caratteri» o l’«Alfabeto Segreto dei Liberi Muratori». Quelle lettere non si possono descrivere. Noi ci limiteremo a dire che si ottengono unendoci «sulla linea parallela per darne una parte lasciando al vostro libero volere di fare il resto». Ogni classe dei Liberi Muratori Operativi ha una Marca distintiva, ed ogni provetto Operaio la propria, che egli sceglie, e che vien registrata nel «Libro delle Marche». È il suo contrassegno personale che incide (come i suoi confratelli da tempo immemorabile) sul pezzo d’opera che ha eseguito, usando un appropriato Scalpello, e che delinea vicino al proprio nome e cognome allorché sottoscrive degli atti. La Marca ha una certa importanza. Dalla sua composizione ce fattura si possono desumere sia l’eccellenza artistica, che l’abilità tecnica di chi l’ha incisa o delineata. Essa comprova l’autenticità della soscrizione. Quando l’Operaio è divenuto padrone del proprio «Ministero» (che oggi diciamo «Mestiere») che la sua personalità di Uomo e di Costruttore è già formata, allora sceglie la sua «Marca» che ha pure la proprietà, in certi casi, di essere un Pegno. Il Costruttore, allorché si reca a riscuotere il compenso, presenta in modo particolare la sua Marca che è incisa su di una specie di medaglia. E, se è in necessità, la può dare in pegno ad un Compagno che glie la restituirà ad obbligo soddisfatto. I Compagni salivano alla Camera di Mezzo per ricevere il loro compenso, passando tra le due grandi colonne del Portico, chiamate da re Salomone /akin quella alla sua destra, e Boaz quella alla sua sinistra stando egli all’interno del Tempio stesso — noi diremo oggi: stando seduto all’Oriente. Queste Colonne erano di bronzo e furono fuse sotto la direzione del G. M. Hiram Abi nei terreni argillosi della piana del Giordano tra Succoth e Zarthan, e poi montate ed erette a Gerusalemme. Esse misuravano 27 piedi di altezza; avevano un diametro di circa 6 piedi ed uno spessore di 3 pollici. Erano cave, e si dice che così fossero per custodirvi importanti conoscenze dell’Arte Reale. Esse ricordano le due colonne che Enoch, presentendo grandi sconvolgimenti sulla terra, eresse in luogo sotterraneo; una era di marmo, affinché resistesse alla corrosione dell’acqua, e l’altra di bronzo, affinché resistesse al calore del fuoco. Su quelle colonne Enoch incise i principi di tutte le Arti e di tutte le Scienze conosciute ai suoi tempi, compresi quelli della Geometria ce Muratoria, che desiderava fossero tramandate alle future generazioni. Le colonne Iakin e Boaz avevano un Capitello molto elaborato, con fiori, foglie e frutti, tutti simboli di nobili concetti e propositi. Ogni capitello aveva forma ovoidale, ma col tempo, nella Loggia dei Compagni, si trasformò in un capitello sormontato da un Globo, che su di una colonna è terrestre, e celeste sull’altra. Le colonne Takin e Boaz ricordano gli obelischi che anticamente erano posti presso l’ingresso dei Templi. lakin e Boaz sono nomi di persona; Iakin fu infatti un sacerdote, capo della XXI famiglia dei leviti nominati nelle Cronache, e si dice che avesse lo stesso nome l’Assistente del Sommo Sacerdote quando il Tempio di Gerusalemme fu dedicato. Boaz fu un giudice equanime, dotto e pio, trisavolo di re Davide, e in certa cerimonia del nostro Sodalizio, viene ricordato quale «Principe del Popolo». Iakin significa: Quegli che rafforza e rinsalda, cioè che stabilisce; e Boaz: In Lui è la Forza. Il binomio Iakin e Boaz è interpretato come un decreto dell’Altissimo: Io stabilisco che questa mia casa (cioè il Tempio) rimarrà salda e ferma per sempre. Le due Colonne suggeriscono qualche insegnamento. Presentano, tra l’altro, i due aspetti che hanno generalmente le cose, i due metodi che si possono seguire, e le due forze che si possono impiegare. Sono l’uno diverso dall’altro, ma divengono utili, vantaggiosi e potenti se si sa unirli, conciliarli ce giudiziosamente dirigerli. A Nel nostro lavoro personale e collegiale, Istruzione ed Educazione, Conoscenza ed Esperienza, Parola ed Esempio, armonicamente uniti, coadiuvanti e sincroni, non possono dare che eccellenti e fecondi risultati.
3, 5, e 7,
ossia la Scala a chiocciola dei Liberi Muratori.
Nel nostro Sodalizio si è sempre affermato che durante la costruzione del Tempio di Salomone a Gerusalemme i Compagni ricevevano il loro salario nella «Camera di Mezzo», per giungere alla quale, dopo esser passati tra le due colonne lakin e Boaz, volgevano a destra e salivano una Scala a chiocciola. Ai piedi di questa dovevano, però, dare ad un Vigilante l’«Attestato di Merito», consistente nella Grifa e nella Parola di Passo, dopo di che era loro permesso di andare innanzi. La stessa tradizione aggiunge che la Scala a chiocciola era formata da 3, 5, e 7 gradini (15 in tutto) divisi in tre branche, e che ogni gradino aveva un nome,il che fa ritenere che disposizione e partizione fossero intenzionali, cioè che le tre branche corrispondessero a tre gruppi di qualità senza il possesso delle quali entrare nella «Camera di Mezzo» era giudicato per lo meno azzardoso.
O. A., B. I., C. F.
La Muratoria speculativa ha quella Scala e rivela i nomi di quei gradini. La prima interpretazione che si dà ai primi tre è assai semplice: si chiamano Orecchio attento, Bocca istruttiva, e Cuore fedele, e si aggiunge che il Compagno Muratore, più dell’Apprendista, deve ascoltare attentamente la Parola ed i Segreti che gli vengono rivelati, alla sua ammissione, dal Risp. Maestro (la Bocca istruttiva), e serbarli fedelmente nel proprio cuore. Ma riferendo questi tre simboli al lavoro personale, che il Compagno deve iniziare subito dopo esser stato ricevuto nella sua Classe, quel suo Ascoltare attento deve mutarsi in Intendere. Fin dall’inizio della sua carriera nell’Arte egli fu avvertito che la Muratoria è una Scienza speculativa con le forme di un’Arte operativa, c che tale dottrina è altresì una Moralità velata in Allegorie ed illustrata da Simboli. Ne viene che per salire alla Camera di Mezzo (cioè per passare ad un piano superiore di conoscenza vera), egli deve innanzi tutto intendere il senso intimo € profondo di ciò che gli viene o gli sarà comunicato a voce 0 «con altri mezzi ed in altre circostanze». Però questo intendimento del senso riposto di un geroglifico, della forma non comune di un oggetto, di un determinato rito, non deve ridursi ad un mero e dilettoso esercizio mentale, od a soddisfare la curiosità o la vanità culturale. Afferrare l’idea che si cela sotto certe strane parole, od il concetto espresso da una frase tecnica, non diviene opera sterile se. si «incorporano», se si trasformano quell’idea e quel concetto in azione concreta, efficace, duratura. Il Compagno è incitato ad oltrepassare le apparenze, affinché possa vedere e considerare le cose ed i fatti umani — anche se stesso — nella loro realtà, e perché gli insegnamenti che ha ricevuto, e che riceverà, siano un costante sostegno, una guida, una regola che gli faranno superare gli ostacoli, immaginari ed effettivi, che potrà incontrare. Quelle sei semplici parole hanno poi anche una singolare virtù: indicano sia il punto di partenza che la méta che il Compagno deve raggiungere. Infatti saper intendere e saper ritenere, per poi saper parlare mossi da animo virtuoso accoppiato a conoscenza adeguata, sono le qualità fondamentali che si desidera trovare in ogni degno Adepto dell’Arte Reale e specialmente in un Compagno Libero Muratore completamente formato. I cinque gradini della seconda branca hanno i nomi delle vie naturali da cui la mente riceve la percezione delle cose esterne, i cinque Sensi: Vista, Tatto, Udito, Gusto, Odorato. E poiché la buona esecuzione di un lavoro è sempre proporzionale allo stato di quei Sensi oltre che alla vigoria fisica di chi lo compie, così il Compagno più che 1’Apprendista, deve averli in perfetta efficienza. La quale in talune contrade (come è forse noto) allor quando si è ammessi alla seconda classe del nostro Sodalizio, è sottoposta a delle prove: col far leggere massime di grande saggezza od il racconto di opere compiute da Artefici esperti € famosi: col far ripetere un certo numero di frasi pronunciate da uno dei presenti alla cerimonia: col far dichiarare quale sia la sostanza che vien combusta: col sottoporre la mano del Candidato al contatto di uno speciale ordigno; ed infine col chiedere quale rispettivo sapore abbiano tre liquidi differenti. Quelle prove, come ben s’intende, sono del tutto simboliche; ciò che interessa la nostra Scienza speculativa è altra cosa, che pur avendo con i Sensi analogia, non ha con essi comunione; non appartiene al sensoriale, è tutta mentale od intellettuale; quella cosa è una Dote molteplice. Compagno ideale è quel Libero Muratore che unisce al fine Intendimento, alla Parola persuasiva, all’ Esempio efficace ed alla costante Coerenza, le Doti che son rivelate dai Sensi, se li consideriamo traslatamene: la Perspicacia, la Tempestività, la Comprensione, il Discernimento e la Sagacia che corrispondono alla Vista, al Tatto, all’Udito, al Gusto, all’Odorato. La Perspicacia è la penetrazione profonda da cui sola proviene la vera conoscenza della natura intima delle cose, nonché delle cause dei fenomeni naturali c dei fatti umani. La Tempestività, che nelle relazioni sociali deve essere unita alla Finezza € al Riguardo, fa tener conto delle Differenze e delle Congiunture, sì che le parole siano dette c le azioni compiute a tempo, luogo e circostanze opportuni. La Comprensione dello stato, delle necessità, delle aspirazioni, delle sofferenze, dei pensieri e degli atti altrui, mette in grado di rendersi conto non solo delle condizioni di chi e di ciò che è oggetto delle nostre osservazioni, ma suggerisce anche all’animo sensibile quanto deve esser compiuto per rimuovere od almeno alleviare i mali che colpiscono, le difficoltà che ostacolano il nostro prossimo. Il Discernimento giudica le differenze delle cose, la causa dell’operare dal pretesto, l’apparente dal reale, il falso dal vero, il bene dal male; ed è più o meno delicato secondo l’ampiezza del sapere c l’altezza dell’ingegno. Infine, la Sagacia è l’accorgimento sottile che conduce alla cognizione sicura, ed all’impiego dei mezzi idonei in ciò che si vuol intraprendere. Queste Doti, adunque, aiutano grandemente a conoscere, @ giudicare, a provare, e tutte insieme ad agire con unità d’intento. La Perspicacia e la Comprensione danno modo al Libero Muratore di conoscere la natura vera delle cose di cui si occupa, e come queste siano tra loro collegate; senza tale cognizione sicura ogni giudizio c vano € stolto. Le azioni saranno poi guidate dal Discernimento sui mezzi da impiegare, dalla Sagacia nel predisporli, e dalla Tempestività che suggerisce quando siano da mettere in atto. I Liberi Muratori operativi che hanno compiuto il loro apprendistato, che posseggono buone disposizioni, © vogliono progredire nella carriera, vanno alla scuola interna della loro Gilda per imparare a disegnare. Apprendono, prima di tutto, a copiare le figure che gradualmente vengono loro assegnate dal Maestro, c poi, fatti esperti, ritraggono le cose direttamente dal vero, a mano libera o con degli strumenti adatti. Anche il Disegno geometrico è oggetto del loro studio attento, prima di poter «leggere» ed interpretare senza difficoltà i piani e gli schemi preparati dai Maestri Architetti: schemi, sagome, modelli e progetti architettonici che in seguito sapranno delineare con diligenza ed esattezza affinché ogni parte della Fabbrica sia messa perfettamente in opera. Nelle nostre Logge si suppone che tale studio il Compagno abbia già compiuto allorché — rivelato il significato esoterico dei cinque Sensi — gli mostrano i diagrammi dei «Cinque più nobili ordini di Architettura», e si ricordano le loro caratteristiche tecniche ed estetiche, non omettendo di accennare all’importanza che essi hanno nella storia dell’Arte. Un Ordine Architettonico, come si sa, è il risultamento delle modanature eseguito secondo una determinata legge di proporzione tra di esse; tuttavia le singole misure delle parti, che costituiscono i vari Ordini, non sono soggette a leggi assolute e inderogabili come quelle matematiche. Entro un certo limite, fuori del quale l’idea di bellezza si perde, sono modificabili. È stato anche detto dai competenti, che vi è una scala di gradazioni, le une meglio adatte delle altre alla fabbrica che si vuol erigere, ma che esse non sono riducibili a calcolo matematico. Le misure, le forme e le proporzioni degli Ordini di Architettura non hanno per il Libero Muratore un interesse esclusivamente tecnico-culturale. Egli considera gli schemi o diagrammi degli Ordini anzidetti come un geroglifico che sintetizza delle forme, assunte nel tempo in questa parte della Terra, dalla convivenza civile, dalla più semplice, ristretta e primitiva, alla più complessa, estesa e recente. E sono presentati solamente gli Ordini Toscano, Dorico, Ionico, Corinzio, c Composito perché una lunga esperienza li ha collaudati come fondamentalmente appropriati al sentimento € necessità dei popoli che dimorano nelle nostre contrade. Ma quei diagrammi non pongono silenziosamente un limite al Libero Muratore che è, anzi, invitato a studiare le altre forme architettoniche, i vari stili, e la loro pratica applicazione. La quale gli si dimostrerà efficiente, o meno, se non si discosterà da quelle norme che sono osservate in ogni vera Costruzione: solide fondamenta, muri maestri saldi, c tetto convenientemente coperto; e la Fabbrica giudiziosamente proporzionata nelle sue parti, con disposizione ed ampiezza dei vani calcolate in modo che essa possa rispondere appieno all’uso a cui è destinata, e sia comoda e confortevole a coloro che vi devono dimorare. Aggiungeremo sugli Ordini di Architettura in genere, che l’Artista, non essendo strettamente legato, ha possibilità varie di far opera degna se saprà delineare le modanature di un Ordine, che egli vuol adattare ad un Edificio, con invenzione, acutezza di ingegno e buon gusto. Gli ordinamenti architettonici non sono capricciosi ma nascono dalle parti necessarie alla fabbrica. E ciascun Ordine di Architettura ha un carattere suo proprio, distinto da quello degli altri, non solo nelle proporzioni ma anche per il numero e la forma delle parti, che sono il Piedestallo, la Colonna, e la Trabeazione. Ciascuno di quegli Ordini risponde a determinate necessità nel tempo e nello spazio, ed a condizioni e fini particolari della convivenza civile. Se poi si considerano attentamente le varie forme, le proporzioni, e le fogge escogitate dopo i «Cinque più Nobili», si trova che, in fondo, esse non sono che sviluppi 0 adattamenti, oppure travestimenti di quei cinque.
da «Il Libro M»