GIUSEPPE GARIBALDI NELLE DUE AMERICHE

Giuseppe Garibaldi nelle Americhe e i suoi legami massonici:

 appunti per una ricerca di Pietro Rinaldo Fanesi

Università di Camerino

La sterminata bibliografia garibaldina ha affrontato il tema dell’affiliazione massonica di Garibaldi e del suo legame con i “fratelli” d’oltreoceano – che durò per tutta la vita – sovente in maniera superficiale, se non addirittura in termini scettici, quasi a rimarcare una ininfluenza dell’appartenenza alla Libero muratoria da parte del nizzardo in relazione alla sua biografia politico-militare. La stessa convegnistica, nonché la produzione storiografica seguita alle celebrazioni del 2007 in occasione del bicentenario della nascita di Garibaldi, hanno dato poco risalto a questo aspetto biografico, così, risulta importante il breve ma significativo pamphlet del Gran Maestro Gustavo Raffi edito nell’occasione delle celebrazioni garibaldine. L’affiliazione massonica di Garibaldi presenta un incipit ufficialmente non documentato. Infatti, come noto, quando egli giunge a Rio de Janeiro, sul finire del 1835 in seguito al fallimento dei moti insurrezionali di Genova e della sua condanna, tenta subito di collegarsi con il mondo degli esuli risorgimentali; in modo particolare il suo primo contatto “politico” sarà con Giuseppe Stefano Grondona, ligure, giunto a Rio già nel 1815, estimatore del pensiero mazziniano ed in qualche modo collegato con gli ambienti di Marsiglia, porto dal quale si imbarca Garibaldi per il Brasile, ed aveva fatto arrivare qui il desiderio di ricevere le pubblicazioni più recenti. Il nizzardo gli porta le “Istruzioni generali” della Giovine Europa e l’ultimo fascicolo della “Giovine Italia”. Sembra che Grondona accolga bene Garibaldi a Rio e che sia lui il tramite per l’iniziazione massonica dell’eroe dei due mondi in una loggia locale, “Asil de la Vertud”, una loggia in verità “irregolare” e non riconosciuta dagli Orienti europei. Questo momento iniziatico di Garibaldi viene riportato in diverse biografie , ma non esiste una documentazione che attesti l’affiliazione e forse si tratta di un equivoco, poiché la stessa denominazione della loggia (né in portoghese né in spagnolo) sottintende una ricostruzione bibliografica e non documentaria e probabilmente non si tratterebbe di una loggia di Rio, ma di una loggia uruguaiana che esistevano già da tempo,

Asilo de la Virtud”, e nella quale risultano affiliati sin dal 1831 degli italiani. È invece documentata (e ufficialmente riconosciuta) la sua regolarizzazione nella loggia “Les Amis de la Patrie” di Montevideo all’obbedienza del Grande Oriente di Francia, il 18 agosto del 1844, in occasione della sua presenza nel territorio uruguaiano durante il movimento indipendentista nei confronti della dittatura argentina di Juan Manuel de Rosas. Da notare che l’anno successivo verrà iniziato nella stessa loggia di Garibaldi, Bartolomeo Odicini, il medico della leggendaria Legione italiana di Montevideo. Come si può vedere da questi primi accenni, il legame massonico inizia a rappresentare una trama rilevante nelle relazioni dell’esule con il mondo locale dove egli approda dopo le vicende genovesi. Ma ciò che risulta di un certo interesse è il rapporto che Garibaldi tenne a costruire con i principali esponenti delle “rivoluzioni” alle quali partecipò, ossia quella dei “farroupilhas” nel Rio Grande do sul e la liberazione di Montevideo e dell’Uruguay. Le vicende dei due movimenti insurrezionali sono note e hanno contribuito in modo sostanziale e duraturo alla costruzione del mito garibaldino, ma meno nota è forse la sua capacità di relazionarsi con i “fratelli”, sia locali che italiani in esilio, durante la prima epopea americana. In Brasile Garibaldi trova sin dal suo arrivo esuli come Livio Zambeccari, Luigi Rossetti, Francesco Anzani e Giovan Battista Cuneo; il ruolo di Zambeccari nella rivoluzione riograndense fu di primo piano e altrettanto nota è l’importanza successiva di questi per la Massoneria italiana, dove giunse a reggere l’interim della Gran Maestranza del Grande Oriente Italiano sedente a Torino verso la fine del 1860. Meno noto e studiato è il legame di Garibaldi con Bento Gonçalves, il capo della “rivoluzione farroupilhas” riograndese che rese indipendente, su base repubblicana, il Rio Grande do Sul dall’impero brasiliano, e massone anche lui. Come si vede, si comincia a delineare un interessante intreccio massonico-cospirativo che univa esuli italiani come Garibaldi, Grondona e Zambeccari allo stesso Bento Gonçalves e che forniva un sicuro anello di congiunzione con la classe dirigente di Rio de Janeiro e del Rio Grande do Sul. Poco si sa di questa attività massonica mossa da idealità umanitarie di carattere internazionalista e decisamente repubblicane, ma essa potrebbe spiegare bene la persistenza e la valorizzazione, ad esempio, del mito garibaldino nei decenni successivi, al di là, dunque della retorica sulla partecipazione del nizzardo alla rivoluzione riograndese. È stato ben osservato che “L’inserimento [di Garibaldi] in Massoneria, in altre parole, preservò il patriottismo garibaldino dall’irrigidimento strettamente nazionale (a differenza di quanto accadde per la maggior parte degli altri protagonisti del Risorgimento, Mazzini in testa, il termine stesso di ‘nazione’ rimase infatti pressoché estraneo alla sua prosa, ove invece ricorre quello di ‘popolo’) e gli offrì l’immediata percezione, anche sul piano pratico, operativo, dell’universalità degli obiettivi ch’egli s’era prescelti e andava perseguendo”. È poi interessante notare come i legami massonici di Garibaldi con i “fratelli” latinoamericani non si consolidarono solo nei paesi in cui egli visse e lottò, come il Brasile e l’Uruguay, ma si svilupparono anche in paesi del continente americano dove egli non fu presente come, ad esempio, in Argentina. Qui e a Buenos Aires in particolare, si segnalano consistenti presenze di esuli risorgimentali, a partire dai moti del 1820-21. Molti marinai e mercanti si stabiliscono nel porto del Plata e, sicuramente, contribuiscono ad alimentare le idealità risorgimentali tra i primi nuclei di immigrati italiani e la stessa società bonaerense. Tra l’altro, questi personaggi, la cui cultura politica è intrisa di “carboneria” e insurrezionalismo, giungevano non a caso nei porti latinoamericani considerando che proprio in quei primi decenni dell’Ottocento prendevano vita e forma le prime esperienze repubblicane rivoluzionarie e, sovente, non si limitavano ad operare nei ristretti ambiti di un trapianto passivo, ma interagivano con la già numerosa colonia italiana emigrata per motivi di lavoro e la società locale, gettando così i primi semi di un fervente attivismo politico che si svilupperà più tardi, a cavallo di fine secolo, su filoni fortemente ideologizzati e caratterizzati da un militante repubblicanesimo, socialismo ed anche anarchismo, con la partecipazione attiva di diversi massoni. Certo, la realtà argentina non è quella dell’Uruguay o del Rio Grande do Sul, poiché non può contare sulla presenza di Garibaldi, ma ciononostante l’influenza del pensiero mazziniano è forte ed essenzialmente dovuta a Giovan Battista Cuneo, probabilmente colui che, più di ogni altro, contribuirà ad esaltare la figura di Garibaldi e a costruire il suo mito, tanto da far notare che: “Notevole fu la sua influenza sugli stessi liberali latinoamericani della cosiddetta Generazione dei proscritti e della Joven Generacion Argentina (altrimenti nota come la Asocacion de Mayo e punto di raccolta, dal 1837, di un gruppo di cui erano membri Esteban Echeverria, Juan Batista Alberdi, Miguel Irigoyen e Bartolomé Mitre, vale a dire il fior fiore della futura classe dirigente pratense negli anni della grande alluvisione immigratoria)”. Si riporta quanto sopra, poiché risulta determinante per l’affermazione del mito garibaldino, lo stretto legame fraterno, ovviamente massonico, tra Giuseppe Garibaldi e Bartolomé Mitre; quest’ultimo diverrà in seguito Presidente della repubblica argentina in concomitanza con il processo unitario italiano (1862-1868) e non perderà mai l’occasione di ricordare il legame con l’eroe della “Difesa di Montevideo”, essendo tra l’altro, anche lui un acerrimo nemico di Juan Manuel de Rosas. Sarebbe di un certo interesse avviare uno studio sulla consistenza massonica italiana in Argentina sin dalla prima metà dell’Ottocento, per vedere gli incunaboli di una presenza dei massoni italiani e italoargentini già visibile, ad esempio in occasione della commemorazione della morte dell’eroe a Buenos Aires dove i massoni italiani partecipano ai funerali massonici di Garibaldi il 25 giugno del 1882 assieme ad oltre 80 rappresentanze di loggia e società mutualistiche in qualche modo legate alla Massoneria locale. Ora, dopo aver descritto brevemente i links che uniscono Garibaldi alle presenze massoniche in America latina si vuole qui dar conto di alcuni rapporti di carattere massonico intessuti dal nizzardo negli Stati Uniti nel periodo della sua permanenza in terra nordamericana e in particolare a New York, ossia nella città-simbolo dell’immigrazione non solo italiana. Come noto, Garibaldi giunge per la prima volta a New York nel 1850 come rifugiato politico dopo la caduta della Repubblica Romana alla quale aveva partecipato lasciando dopo 14 anni il Sudamerica assieme alla “brasiliana” Anita. Garibaldi non arriva per caso a New York, difatti la stessa diplomazia americana a Roma gli aveva offerto (come del resto allo stesso Mazzini) assistenza per la fuga già nell’estate del 1849. L’esule giunge a New York il 30 luglio del 1850 dopo essere salpato da Liverpool a bordo di una nave americana un mese prima. Appena sbarcato si sistema in casa di Michele Pastacaldi, uno dei più importanti membri della colonia italiana a New York, sostenitore della causa italiana e probabilmente massone anche lui. Garibaldi approda negli Stati Uniti in un ambiente favorevole agli esuli del Risorgimento italiano, tanto che negli anni precedenti diverse decine di protagonisti dei moti del ’20-’21, nonché degli anni ’30 e ’40, sbarcano sulle rive dell’Hudson per trovare asilo, all’interno di una prima corrente migratoria italiana di carattere economico. Per quanto riguarda l’emigrazione politica propriamente detta è utile, ai fini del presente lavoro, segnalare l’arrivo negli Stati Uniti di personaggi di rilievo del Risorgimento e affiliati alla Massoneria come nel caso di Piero Maroncelli che giunge già nel 1833 (che non incontrerà però Garibaldi in America spegnendosi a New York nel 1846), di Federico Confalonieri, arrivato nel 1837 e di Giuseppe Avezzana che sbarca a New York all’indomani della caduta della Repubblica Romana, come Garibaldi. Questi patrioti giungono in terra nordamericana assieme (in varie date naturalmente) a circa 50 esuli di una certa importanza, tanto da essere studiati e biografati, seppur per linee generali, ma, oltre ai tre personaggi citati poc’anzi, non si sa quanti di questi esuli appartenessero alla Massoneria. Non è un caso, quindi, che quando Garibaldi arriva a New York nell’estate del 1850 venga accolto con grande entusiasmo e anche con una certa solennità. Dopo il suo arrivo è ospite in alcune residenze di amici per due mesi, poi si trasferisce a Staten Island in casa di Antonio Meucci, amico di vecchia data e, tra l’altro, massone come lui, lavorando nella piccola fabbrica di candele che questi aveva in Bleeker Street a New York City. Con Meucci l’eroe stringerà un forte rapporto fraterno e non a caso la comunità degli italoamericani e la stessa Massoneria newyorkese renderà omaggio a questa fratellanza e ai due illustri italiani trasformando la casa in un museo, il “Memorial Garibaldi-Meucci”. Il periodo che Garibaldi trascorse a casa di Meucci e di sua moglie Ester fu di grande tranquillità e gli consentì di stringere numerosi rapporti con gli italiani di New York e con i “fratelli”, che si ricorderanno poi di Garibaldi in varie occasioni quando lui rientrerà in Italia e che contribuiranno a radicare negli Stati Uniti il mito garibaldino con la sua incredibile eco che si produrrà – nei decenni a venire – in occasione degli anniversari della sua nascita, il 4 luglio, data di eccezionale importanza per la comunità italoamericana, la quale non perdeva naturalmente l’occasione di cogliere l’opportunità “politica” della contestuale ricorrenza dell’Indipendenza degli Stati Uniti. Significativa, per lo studio dei legami con i massoni newyorkesi, è la frequenza di Garibaldi ai lavori della Loggia “Tompkins n. 471” di Stapleton nel 1851. Interessante si presenta, tra l’altro, l’episodio che vede Garibaldi lasciare una sorta di eredità massonica allorquando salpa da New York per l’Inghilterra e dona “al massone e amico Francesco Lavarello le sue insegne massoniche, usate nella Loggia newyorchese, che furono da questi successivamente donate a Livorno nel 1864 a Giovan Battista Fauchè [procuratore di Rubattino, consegnò a Garibaldi i due vapori Piemonte e Lombardo con i quali i Mille partirono da Quarto il 5 maggio e da Garibaldi si vide poi assegnare la direzione della marina da guerra in Sicilia] che, a sua volta, le donò alla Massoneria ligure il 24 gennaio 1883 in seduta solenne”. Garibaldi lascerà negli Stati Uniti un’indelebile impronta della sua presenza e dieci anni dopo la sua partenza due episodi testimonieranno la stima degli americani per l’eroe dei due mondi; essi sono noti ma vale la pena ricordarli: il primo riguarda l’offerta di Abramo Lincoln di affidare a Garibaldi il comando di un corpo d’armata dell’esercito unionista (anche se si sa che i garibaldini combatterono anche nelle fila confederate), il secondo è la generosa partecipazione di americani alla spedizione dei Mille, sia in termini di presenza di volontari che di giornalisti al seguito, ma anche con un notevole contributo finanziario tanto che solo a New York vennero raccolti in due anni (1859-60) oltre 100.000 dollari Probabilmente si potrebbero citare tanti episodi e ricostruzioni biografiche che possano meglio mettere in luce i legami massonici di Garibaldi nelle Americhe, in particolare nella fase preunitaria italiana, ma questo breve lavoro non ha la pretesa di essere una ricerca esaustiva sul tema trattato, quanto piuttosto rappresentare uno stimolo ad avviare uno studio organico e comparato sulla questione che, come accennato in precedenza, sembra risentire di una sorta di sottovalutazione del fenomeno tanto da assumere quasi i contorni di una “distrazione” storiografica.

DA  “HIRAM “ 2/2008

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