Correva l’anno 2017, trecentesimo anniversario della prima Gran Loggia in Inghilterra, ma anche cinquecentesimo anniversario della Riforma di Lutero, ed eravamo reduci da letture massoniche che sostanzialmente rievocavano la “exposure” di Samuel Pritchard del 1730, “Masonry Dissected”, come prima apparizione della figura di Hiram in un documento scritto. Potrete quindi capire la nostra sorpresa quando, visitando la mostra su Martin Lutero che si teneva a Castel Tirolo, sopra Merano, nell’estate del 2017 ci siamo imbattuti in un video del professor Hanns-Paul Ties2 che illustrava la penetrazione della Riforma nelle valli tirolesi portando a testimonianza di ciò scritti e opere monumentali dell’epoca, fra cui spiccava un’immagine di Hiram, nel castello di Juval, sotto lo stemma della famiglia Sinkmoser, datato 1547. Castel Juval è piantato lì, su una roccia severa che gli permette di dominare l’intersezione della val Venosta con la val Senales. Sotto, estesi meleti e vigneti tagliati da un Adige ancora giovane e poco vigoroso. Dritto, le montagne dai ghiacciai perenni. Sopra, il cielo percorso dai freddi venti che da sempre regolano la vita di chi abita il Tirolo meridionale. In questa rocca maestosa e ben curata Reinold Messner ha sistemato con intelligente passione cimeli portati dai suoi viaggi in oriente, figure e divinità di culture lontane, ben integrate nel contesto allegorico quasi non si fossero mai spostate dal luogo d’origine. In un locale privato, chiuso ai visitatori, una finestra dà su un panorama mozzafiato, uno di quelli dove lo sguardo nelle giornate limpide si perde per chilometri e chilometri, incanalato solo dalle pareti della valle. Sopra la finestra vi è dipinto lo stemma dei Sinkmoser, una delle famiglie che hanno abitato il castello nel XVI secolo; sui muri interni, cioè sulla mazzetta dell’infisso, vi sono tre figure circolari in rosso pompeiano dipinte nel 1547, come ci indica lo stemma ma anche la storia del castello, dal pittore rinascimentale tedesco Bartlme Dill Riemenschneider: si tratta di figure bibliche, e quella centrale riporta chiaramente l’immagine di Hiram. Del castello sappiano che venne costruito nel 1278 dal feudatario venostano Ugo di Montalban per poi attraversare la storia fra decadimenti e ricostruzioni: nel 1368 passò ai signori di Starkenberg, nel 1540 ai già citati Sinkmoser, poi al principe regnante del Tirolo che lo assegnò nel 1581 ai conti Hendl di Coldrano; nel 1813 fu acquistato dal contadino Joseph Blaas; venne quindi venduto ormai in rovina nel 1913 al conte olandese William Rowland per poi decadere di nuovo ed essere acquisito e ristrutturato da Reinold Messner nel 1983, il quale vi insediò la sede principale del circuito MMM, il museo della Montagna da lui ideato. Quando nel 1540 Hans Sinkmoser acquistò il castello era in preparazione il Concilio di Trento (1545 – 1563) ed alla famiglia originaria di Hall, cittadina non lontano da Innsbruck, serviva una sistemazione non lontana dalla città del Concilio ma neanche troppo vicina ai palazzi che ospitavano i cardinali e le loro trame. Hans era figlio del sindaco della città, Wolfgang, il quale era fratello di Mark Sinkmoser, consigliere aulico dell’imperatore, “segretario latino” e inviato come delegato al Concilio. Mark Sinkmoser si muoveva tra la val Venosta e Trento, e spirò in castel Juval nel 1569. I Sinkmoser acquistarono il castello ormai quasi in rovina e lo ristrutturarono portandolo allo splendore. Opere per cui presumibilmente vennero fatte arrivare maestranze da fuori come avveniva normalmente per edifici di una certa complessità come appunto castelli, ma anche chiese, masi e palazzi. Alla nostra domanda se la figura biblica di Hiram nella decorazione cinquecentesca del castello non indicasse la presenza di una corporazione di massoni, Hanns-Paul Ties ci spiegò di ritenere “… improbabile che ci sia un legame fra la raffigurazione di Hiram e una qualsiasi gilda di scalpellini operante all’epoca di esecuzione dell’affresco. La metà del Cinquecento è un periodo storico in cui la fioritura dell’architettura tardo gotica nel Tirolo storico, caratterizzato da un alto numero di scalpellini provenienti dalla Germania meridionale e organizzati in diverse gilde, era già superata. Il rinnovamento di stampo rinascimentale della costruzione del Castello di Juval sembra piuttosto attribuibile ad un singolo maestro massone di nome Bartlme Hueber, residente in Val Passiria a nord di Merano. La raffigurazione di Hiram nel Castello di Juval, che del resto sembra riferirsi non soltanto all’artefice Hiram (cfr. l’attributo delle due colonne), ma allo stesso momento anche al re Hiram di Tiro, che aiutò Salomone nella costruzione del Tempio tra l’altro mandandogli l’artefice dello stesso nome (cfr. l’attributo della corona), a mio parere è piuttosto attribuibile – come alcuni altri elementi assai singolari della decorazione del castello – alle simpatie cripto- riformatorie sia del committente Hans Sinkmoser, sia del pittore Barlme Dill Riemenschneider, documentato come anabattista da una serie di fonti giurisdizionali”. Procedendo lungo queste due linee di pensiero indicate dal professor Ties, occorre comunque ricordare che la prima parte del Cinquecento fu un periodo di grandi sconvolgimenti dal punto di vista del pensiero religioso e sociale. Martin Lutero pubblica le sue 95 tesi nel 1517, è scomunicato da papa Leone X nel 1521 e termina nel 1534 la traduzione dall’ebraico in tedesco della Bibbia, destinata a soppiantare la cosiddetta Vulgata (traduzione in latino in voga nel mondo cattolico), giudicata non attendibile e manipolativa delle Antiche scritture. E’ in questo periodo che la narrativa dell’Antico Testamento diventa di dominio pubblico, fenomeno che, vedremo, accadde anche in Inghilterra, oltre che sul Continente. Lo spirito della Riforma si diffuse rapidamente e, oltre alla versione luterana, si conobbero espressioni più radicali come l’Anabattismo, ma anche conseguenze sociali come la Rivolta dei contadini del 1525. L’Anabattismo preconizzava un’idea di comunità impostata sulla suddivisione delle risorse materiali e spirituali, sulla non violenza e sul rispetto pedissequo dei comandamenti dell’Antico e Nuovo Testamento; una concezione egalitaria della società in contrapposizione al sistema verticistico rappresentato dai poteri temporali. Si chiamavano anabattisti perché si facevano ribattezzare da adulti, quando erano in grado di comprendere a pieno il significato del Battesimo. Bartlme Dill Riemenschneider era un artista tedesco di Wuerzburg, figlio del famoso intagliatore Tilman. Si era formato ad Augusta nella bottega di Hans Burkmair e forse aveva frequentato lo studio di Albrescht Duerer a Norimberga. Tilman Riemenschneider era stato molto attivo nella Rivolta dei contadini di Wuerzburg del 1525 contro il principe vescovo Konrad II, il quale però ebbe la meglio con il suo esercito soffocando nel sangue la rivolta. L’artista venne imprigionato e torturato per due mesi, si dice che gli furono rotte le mani al punto di non poter più lavorare, mentre il figlio Bartlme Dill, allora poco più che ventenne, scappò e trovò rifugio a Bolzano. Quando Riemenschneider arrivò a Bolzano tutto il Tirolo era in fermento sia perché la sollevazione dei contadini si era estesa in tutta l’area, sia perché si stava diffondendo il protestantesimo nelle varie interpretazioni. Quest’ultimo passaggio, più che lo sconvolgimento degli schemi sociali, fu alla base della condanna dell’imperatore Carlo V, che nel 1529 promulgò l’Editto di Spira il quale stabiliva che “Chiunque ribattezza o si fa ribattezzare dopo aver raggiunto l’età della ragione, uomo o donna che sia, deve essere condannato a morte, sia con la spada, sia con il fuoco, sia con ogni altro mezzo, senza alcun processo preliminare”. La persecuzione degli anabattisti era in realtà già iniziata nella logica di riportare l’ordine e la quiete dopo la Rivolta dei contadini e l’esplosione delle nuove teorie religiose. Nel 1528 si tennero numerosi processi ed anche Bartlme Dill Riemenschneider venne arrestato: dopo qualche mese di carcere abiurò e venne perdonato, ed il suo talento impiegato in una serie di opere ancora visibili in chiese, come l’Adorazione dei Re Magi nella chiesa parrocchiale di Postal, castelli e stufe in maiolica, tra le quali la “Stua granda” nel Castello del Buon Consiglio a Trento, commissionata dal principe vescovo Bernardo Clesio (1532). La comunità anabattista in Alto Adige era in poco tempo scomparsa, ma cellule vivevano nella clandestinità. Ancora nel 1537 lo stesso Bartlme Dill Riemenschneider accoglieva i fedeli per riunioni notturne presso la sua casa di Bolzano. Presumibilmente, vien da pensare, l’abiura del 1528 non fu autentica, ma servì per salvargli la vita e per continuare a lavorare, cioè a sopravvivere. Perché Riemenschneider dipinse la figura di Hiram fra le due colonne in castel Juval, nel 1547? Sappiamo che Riemenschneider non era nuovo a dipingere personaggi dell’Antico Testamento. Le due immagini laterali della mazzetta sono infatti Eud sulla destra e Iefte sulla sinistra. La figura di quest’ultimo è quasi illeggibile nel dipinto in quanto deteriorata dal tempo, ma lo stesso soggetto è riproposto sulla Stua granda del Castello del Buon Consiglio insieme ad altri personaggi biblici. Eud si trova anche lui nel libro dei Giudici, capitolo 3. E’ uno dei 12 figli di Giacobbe, ed è dipinto mentre trafigge con la spada re Eglon anche in immagini precedenti a Riemenschneider, come in una miniatura del manoscritto dello Speculum humanae salvationis (1360 circa, ULB Darmstadt). L’episodio che riguarda Iefte è in Giudici 11,30: per vincere gli Ammoniti fece voto a Dio di dargli la prima persona che avrebbe incontrato al suo ritorno dalla battaglia: la prima fu la sua unica figlia, che piangendo sulla sua verginità accettò di essere immolata a Dio. Essi sono due esempi di personaggi biblici, chiamati Giudici, che in realtà erano dei condottieri / salvatori del popolo di Israele durante il periodo di insediamento nella Terra promessa. Essi venivano scelti da Dio per riscattare gli Israeliti quando erano sottomessi dai popoli vicini (Ammoniti e Moabiti). Questo di solito accadeva quando gli israeliti, dimenticandosi del loro patto con il Signore, si lasciavano andare all’idolatria. In sostanza le due figure dei Giudici della mazzetta, che sorregge l’arco su cui è dipinto il medaglione di Hiram, rappresentano dei salvatori della patria che hanno permesso al popolo di Israele di consolidarsi nella Terra Promessa e dar luogo ad uno Stato teocratico simbolizzato dal Tempio di Salomone il cui artefice è appunto Hiram. In questo senso la rappresentazione scelta dall’artista sarebbe coerente sia con la sua visione utopica di uno stato teocratico, che con una assimilazione di castel Juval con il tempio di Salomone. Più precisamente, usando le parole del professor Ties, “Se è inimmaginabile ipotizzare che Sinkmoser vedesse nel castel Juval una sorta di ‘nuovo tempio di Salomone’, nella raffigurazione del castello sembra essere stato molto importante per lui sottolineare una personalissima religiosità riformatrice e attraverso gli affreschi identificare il castello come ‘casa’ nella quale veniva santificato ‘il nome del Signore. Un edificio, questo è il messaggio del Libro delle Cronache, ‘al nome del Signore mio Dio, che sarà a lui consacrato’”. Le interpretazioni che vedono le tre figure rappresentare una testimonianza della religiosità anabattista di Riemenschneider lasciano tuttavia aperte alcune domande. Hiram in Tirolo 9 Piastrella della Stua Granda dipinta da Bartlmä Dill Riemenschneider con l’allegoria di Iefte, tema ripreso in Castel Juval. Trento, Castello del Buonconsiglio. Più precisamente, usando le parole del professor Ties, “Se è inimmaginabile ipotizzare che Sinkmoser vedesse nel castel Juval una sorta di ‘nuovo tempio di Salomone’, nella raffigurazione del castello sembra essere stato molto importante per lui sottolineare una personalissima religiosità riformatrice e attraverso gli affreschi identificare il castello come ‘casa’ nella quale veniva santificato ‘il nome del Signore. Un edificio, questo è il messaggio del Libro delle Cronache, ‘al nome del Signore mio Dio, che sarà a lui consacrato’”. Le interpretazioni che vedono le tre figure rappresentare una testimonianza della religiosità anabattista di Riemenschneider lasciano tuttavia aperte alcune domande. Perché l’artista avrebbe avuto interesse a proporre l’anabattismo nel palazzo di un delegato imperiale al già in corso Concilio di Trento? Perché lo avrebbe fatto nonostante le gravi persecuzioni inflitte agli anabattisti, per di più quando la maggior parte di loro era stata costretta alla fuga in Moravia? Perché per indicare la “casa del Signore” è ricorso ad una figura biblica? A questo punto dobbiamo ritornare alla domanda originariamente posta al professor Ties, ovvero se ci fosse o meno una corporazione coinvolta nell’opera, dato che la rappresentazione dell’Hiram del medaglione ha delle caratteristiche spiccatamente massoniche. Lo studioso ci ha sostanzialmente risposto che “tale pista di ricerca non è stata approfondita per via della discrepanza cronologica tra l’esecuzione dell’affresco e la genesi delle leggende massoniche”. In effetti la Massoneria organizzata nasce nel Settecento, in epoca barocca, e l’affresco è rinascimentale; ma la figura di Hiram risale alle corporazioni di mestiere (gilde), che furono soprattutto attive nel periodo gotico ma che proseguirono fino ed oltre il periodo rinascimentale, come dimostra tutta una serie di manoscritti inglesi, collettivamente noti come “Antichi Doveri”. Le maestranze si spostavano per l’Europa grazie a documenti che più di garantire franchigie e libertà particolari servivano ad accreditare i lavoratori e a dichiararne la loro capacità operativa, e con tutta probabilità le gilde corporative incontrandosi si scambiavano informazioni ed insegnamenti, ma anche concetti simbolici che così viaggiavano da una parte all’altra del continente. Al pari dei costruttori britannici, francesi, italiani e di altre regioni, gli Steinmetzen5 erano riuniti in corporazioni e si spostavano per prestare la loro maestranza ove era necessario, come al duomo di Bolzano. Noto è il maestro massone sudtirolese Bartlme Hueber, contemporaneo di Riemenschneider: di certo si conoscevano, anche perché entrambi operarono secondo la loro arte presso Castel Giovo, in val Passiria e non è escluso che lo avessero fatto anche presso castel Juval. E’ segnalata anche la presenza cospicua di maestri comacini in Tirolo provenienti da Como: “Attraverso la Chiesa veronese, la Valle del Sarca ed oltre le Giudicarie migrarono i maestri ed allievi lombardi verso il Tirolo italiano e fecero di Trento una piazzaforte della loro Arte”. I maestri comacini erano attivi anche in Alto Adige dove con molta probabilità hanno preso parte ad opere costruttorie presso castel Tirolo e dove si sono incontrati con i colleghi delle corporazioni tedesche scambiandosi insegnamenti e informazioni. Nel Tirolo già nel 1460 gli Steinmetzen si diedero appuntamento a Vipiteno per darsi una forma organizzativa unica con due sedi, una ad Hall ed una a Merano, e dal 1500 l’organizzazione si consolidò fino ad essere realtà importante nella società civile regionale. Presso l’Archivio storico di Merano abbiamo potuto visionare documenti costitutivi della corporazione a partire dal 1495, come pure una riforma della corporazione degli Steimetzen “di Merano” risalente al 1709, un ordinamento che prendeva spunto dallo statuto precedente dei muratori e degli scalpellini. Esso tra i 41 punti prevedeva regole per la formazione degli apprendisti e dei garzoni, obbligava gli iscritti ad una condotta retta, contava di un esame per divenire capomastri, regolava i rapporti fra i maestri e contemplava un sostegno economico nei casi di difficoltà. Tornando però agli Antichi Doveri, il discorso si fa molto complesso e difficilmente riassumibile. Per questo facciamo riferimento alle Transactions of the Quatuor Coronati Lodge e alle pagine relative alla figura di Hiram nel “Maestro Libero Muratore” di Gianmichele Galassi. Di fatto gli Antichi Doveri sono una serie di manoscritti di regolamenti e costituzioni delle antiche corporazioni medievali in Inghilterra su cui si basano le prime Costituzioni di Anderson del 1723. Essi vengono raggruppati in famiglie dagli storici della Massoneria. Il più antico, il “Poema Regio”, è della fine del Trecento e quello successivo, il “Manoscritto Cooke”, è del Quattrocento. Per considerazioni la cui complessità va al di là dello scopo di questa ricerca, il “Cooke” e i successivi manoscritti della famiglia a cui appartiene, al contrario del “Poema Regio”, indicano che le idee riformiste cominciavano a penetrare in Inghilterra e suscitavano un nuovo interesse per la narrativa dell’Antico Testamento. Come già abbiamo accennato più sopra, il periodo in cui ciò avviene è la prima parte del Cinquecento, esattamente come nel continente all’epoca delle opere di cui stiamo parlando. Tutti questi manoscritti sono divisi in due parti, una prima consistente in una storia molto elaborata sulla trasmissione dell’Arte, e una seconda consistente in un Codice di Doveri Generali e Speciali, risalente a Enrico VI, nel Quattrocento. La prima parte, nota come “History”, serviva a qualificare la corporazione come depositaria delle conoscenze dell’arte del costruire. È a partire proprio dal “Cooke” che abbiamo l’associazione del re Salomone, del re di Tiro, e della figura del “CapoMastro” alla corporazione dei massoni. E tuttavia il nome del “CapoMastro”, cioè Hiram, non viene mai citato in chiaro ma vengono usate varie allitterazioni dall’ebraico che collettivamente hanno il significato di “un uomo dotato di grande conoscenza e capo delle maestranze per la costruzione del Tempio di Re Salomone”. L’ebraico all’epoca era tenuto in gran conto come lingua originale delle Scritture e come tale veniva studiato per affrancarsi dal latino della Vulgata. Il fatto che il nome di questo personaggio fosse celato, viene interpretato dagli autori come prova che già allora le corporazioni lo considerassero di grande importanza, quasi un santo patrono, che il suo nome venisse usato come una parola di passo per iniziati e che la sua figura fosse protagonista di rappresentazioni misteriche, note come “Miracle Plays” o “Moralities”, che si tenevano per tutto il Cinquecento. Furono successivamente proibite in quanto ritenute superstizioni quando Giacomo VI Stuart succedette a Elisabetta Tudor come Giacomo I, re (cattolico) di Scozia e Inghilterra. Chi avesse voluto il nome in chiaro, avrebbe dovuto ricorrere alla Bibbia in inglese dell’epoca che si basava sulla traduzione dall’ebraico di Lutero e quindi, visto che siamo in Tirolo, ai versetti delle 2 Cronache 2,13 e 2 Cronache 4,16, che in tedesco rispettivamente dicevano: “So sende ich nun einem weisen Mann, der Verstand hat, Huram = Abif” (Quindi ora mando un uomo saggio, di grande conoscenza, Huram = Abif) e poi “…alle ihre Gefaesse machte Huram = Abif dem Koenig Salomon zum Haus des Herrn aus lauterm Erz”. (… Huram=Abif fece per re Salomone tutti i loro contenitori in puro metallo per la Casa del Signore). Il nome di Hiram, quale artefice dei lavori in bronzo e delle colonne Jachin e Boaz, fatto venire da Tiro dal re Salomone – per la costruzione del Tempio – si trova nel Libro dei Re. Esso è di due secoli più antico del Libro delle Cronache, ma è in quest’ultimo che si parla della cooperazione di Hiram, re di Tiro, a cui fa riferimento il manoscritto Cooke e seguenti. Quindi come prima considerazione, se il medaglione di Hiram fosse una citazione biblica esso avrebbe dovuto recare il nome Hiram = Abif almeno in Tirolo, visto che la Bibbia di Lutero era disponibile dal 1534 ed è rimasta così fino ai giorni nostri. Nelle Bibbie inglesi apparve chiaro ai traduttori come il doppio nome corrispondesse ad una difficoltà di interpretazione dei caratteri ebraici da parte di Lutero, e venne successivamente corretto – ritenendo Abif un patronimico in ebraico – con le espressioni “(mio padre) Hiram” e “Hiram (suo padre)”; era inteso nel senso di suddito, visto che all’epoca il re era considerato il padre del suo popolo. Di fatto il doppio nome sparì dalle Bibbie inglesi a partire dalla metà del Cinquecento. Per quanto riguarda i manoscritti delle corporazioni, il nome di Hiram non fu mai utilizzato in chiaro, al suo posto venne adottata una rappresentazione di un personaggio che riuniva in sé le caratteristiche regali del Re di Tiro (suo padre o suo protettore) e le conoscenze tecniche della geometria e della metallurgia, che il I Libro dei Re cap.7 attribuiva a Hiram, l’artefice fatto venire da Tiro, da re Salomone, per la costruzione del tempio. Questa è proprio la rappresentazione che fornisce il medaglione di Hiram di Castel Juval. Ma c’è ancora di più. Infatti se ritorniamo al manoscritto “Cooke e seguenti”, nella “History”, troviamo la leggenda secondo cui all’epoca di Noè le conoscenze tecniche della geometria e delle scienze in generale vennero incise su due colonne in previsione della vendetta del Signore, una ignifuga di marmo in caso di incendio, e una in materiale inaffondabile in caso di diluvio. Successivamente al diluvio universale le due colonne furono ritrovate, rispettivamente da Hermes e da Pitagora, che trasmisero poi i segreti dell’arte a tutto il continente e all’Inghilterra. Quindi le due colonne che sostiene il personaggio del medaglione di Castel Juval sono sì le due colonne, Jachin e Boaz, della tradizione del Libro dei Re significanti “stabilità e forza”, ma sono anche rappresentative dei segreti dell’arte del costruire, che verrebbero così trasmessi da Hiram alla corporazione. Per tutte queste considerazioni noi siamo propensi a credere che il medaglione di Hiram, più che una citazione biblica, sia il veicolo di un messaggio corporativo, che si unisce alle simpatie cripto-riformiste del committente dell’opera. Ma alla fine, cosa ci dice la figura di questo affresco del 1547 in Castel Juval? In primo luogo, che sul Continente esisteva una cultura corporativa simile a quella inglese della stessa epoca e che la figura di Hiram quale patrono dell’arte del costruire fosse in qualche modo comune, così come la tinta ebraica di tutta la ritualità massonica sembra proprio provenire dall’interesse per la narrativa dell’Antico Testamento suscitata dalle idee riformiste e dalla traduzione della Bibbia dall’ebraico. Ma la cosa più elettrizzante è che il famoso doppio nome “Hiram = Abif”, dopo essere scomparso dalle Bibbie inglesi a partire dalla metà del Cinquecento, riappare all’improvviso nelle Costituzioni di Anderson del 1723 e nelle “exposures” di cui abbiamo parlato nell’incipit. Dove mai avranno potuto prenderlo i fratelli del Settecento, se non da vecchie tradizioni operative risalenti alla prima metà del Cinquecento, quando ancora stava scritto nelle prime Bibbie inglesi derivate dalla traduzione di Lutero dall’ebraico?
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