Le Rivoluzioni Inglesi
Carlo I Stuart
King Charles I (1625-1649)
Il successore di Giacomo I Stuart, Carlo I (1625 – 1649) continuò la linea politica paterna dell’assolutismo monarchico. Inoltre in politica interna aggravò il problema religioso perseguitando i puritani inglesi e presbiteriani calvinisti scozzesi. In politica estera sostenne gli ugonotti assediati da Richelieu nella fortezza di La Rochelle. Per questo aveva bisogno di nuove tasse per inviare denaro agli assediati e fu quindi costretto a convocare il parlamento e a barattare nuove tasse con l’approvazione di una concessione richiesta dai parlamentari.
Così nel 1628 venne approvata la “Petition of Rights”, che rappresenta una delle tappe verso la costituzione della monarchia inglese costituzionale come noi la conosciamo. Infatti in Inghilterra non c’è una vera e propria costituzione, ma una serie di norme fondamentali acquisite col passare del tempo come questa. La serie venne aperta dalla Magna Charta Libertatum, nel XIV secolo, che permise agli inglesi di porre fine al potere assoluto dei Plantageneti.
Il Petition of rights prevedeva, a partire dal presupposto che la legge fosse al di sopra di tutto e che quindi il re fosse tenuto a rispettarla, queste norme:
il sovrano non poteva più imporre tasse senza consultare il parlamento e non poteva perseguire penalmente chi lo rifiutava;
nessuno poteva essere giudicato da tribunali speciali o arrestato senza motivo o senza un mandato di cattura emesso dalla giustizia ordinaria;
il re non poteva pretendere per le proprie milizie la possibilità di prendere alloggio nelle abitazioni private.
Il re non poteva sopportare tali limitazioni, ma dovette farlo per ottenere l’approvazione di nuove tasse. Ma un anno dopo, nel 1629, il re con un colpo di mano sciolse il parlamento e governò senza il suo ausilio per 11 anni, sostenuto dal suo cancelliere Strafford e l’arcivescovo di Canterbury William Laud.
Quando il re cominciò a favorire la diffusione dell’anglicanesimo anche nella Scozia calvinista nobili e borghesi (gentry) si allearono e diedero vita ad una rivolta via via sempre più consistente che costrinse il re a convocare nuovamente il parlamento per imporre nuove tasse e quindi finanziare una campagna militare contro gli scozzesi.
Ma questo parlamento (1640) durò solo un mese, da qui il nome di Corto Parlamento, visto che alla richiesta dei deputati di un mea culpa del re, egli rispose con lo scioglimento. Ma la necessità di imporre nuove tasse spinse a re a convocare di nuovo il parlamento, che, composto in maggioranza da puritani, non accettò di sottomettersi al re. Quest’assemblea passò alla storia col nome di Lungo Parlamento, perché riuscì a governare fino al 1653. Anche il re fu costretto a scendere a patti, visto l’aggravarsi della situazione scozzese e l’inizio della rivolta nell’Irlanda cattolica, e il parlamento approvò l’abolizione di una tassa ritenuta illegale e imposta nel 1627 e la condanna a morte di Strafford e Laud.
All’interno del parlamento stesso c’erano dei contrasti tra moderati, rappresentanti di ricchi mercanti e grandi proprietari terrieri, che pur aspirando ad una società democratica, erano pur sempre rispettosi della monarchia, e gli estremisti, che invece volevano riforme democratiche come il suffraggio universale e un regime repubblicano, con diritti uguali per tutti. Questi erano i levellers (livellatori). Ancora più estremisti i diggers (scavatori), che aspiravano un vero e proprio comunismo delle risorse economiche. Consapevole di ciò Carlo I cerco di attentare alla vita dei rappresentanti dell’opposizioni, che riuscirono a fuggire grazie ad una soffiata. Cominciò così la guerra civile e la rivoluzione inglese cominciò a materializzarsi.
La Rivoluzione inglese
Oliver Cromwell (1599-1658)
Lo scontro armato vide le classi conservatrici e feudali fedeli al re opposte alla gentry, a sostegno di un regime più repubblicano. Quando sembrava dovesse prevalere Carlo I un giovane nobile puritano a capo dell’esercito ribelle, Oliver Cromwell, sbaragliò le truppe reali. Costretto alla fuga il sovrano si rifugiò in Scozia, dove nel 1647 per 400.000 sterline venne consegnato al parlamento inglese, al quale spettava di decidere sul suo futuro. Da una parte i puritani, la maggioranza, erano propensi ad una repubblica moderata, dall’altra diggers e levellers volevano una vera e propria rivoluzione democratica.
Così nell’indecisione il re sembrava poter riprendere consensi e tentò anche la fuga nel 1648, ma venne arrestato. Cromwell, allora, consapevole di poter perdere le innovazioni raggiunte dalla rivoluzione appoggiò l’esercito, formato in maggioranza da diggers e levellers, favorevoli alle più ampie libertà democratiche, individuali e commerciali, e pertanto ostili al re. Così l’esercito allontanò dal parlamento tutti i deputati che potevano favorire un ritorno del re al trono e lo stesso parlamento, a ranghi ridotti, decretò la condanna a morte di Carlo I. Era la prima testa coronata a saltare in Europa e per la prima volta veniva applicata la teoria della monarcomachia, tanto cara ai calvinisti, che negava qualsiasi fondamento del principio di irresponsabilità e inviolabilità dei sovrani. Era il 1649. Da allora Cromwell prese le redini del paese e il suo divenne un potere assoluto. L’Inghilterra, infatti, era stata dichiarata una repubblica moderata governata dai rappresentanti del popolo perché Cromwell aveva attaccato a fondo i diggers e i levellers per le loro posizioni estremiste in fatto di democrazia.
Però Cromwell non rinnegò coloro che lo avevano portato al potere, ovvero la borghesia, la gentry, che era il nerbo del paese. Pertanto inaugurò una politica di incentivazione dei commerci, regolarizzando e riducendo il prelievo fiscale. Abolì tutti i privilegi feudali dei nobili come la possibilità di essere giudicati da un tribunale di pari o quella di passare impuniti per il reato di insolvenza dei debiti. Egli cercò anche una politica di pacificazione religiosa, nonostante avesse dovuto sedare con la violenza una rivolta degli scozzesi capeggiata dal futuro Carlo II, figlio di Carlo I, e quella degli Irlandesi. Questa politica prevedeva la tolleranza per tutte le religioni meno che per quella cattolica, considerata legata troppo legata all’assolutismo francese. Cromwell, nonostante gli fosse stato proposto, non prese mai il titolo di re limitandosi a quello di lord protettore di Inghilterra, Scozia e Irlanda e a rendere ereditaria la sua carica.
La filosofia politica di Hobbes
Thomas Hobbes (1588-1679)
A cercare di teorizzare l’assolutismo in Inghilterra fu il filosofo Thomas Hobbes, nel suo “Leviatano”. Il filosofo inglese si inserisce nella corrente della filosofia politica contrattualista ed è secondo solo all’italiano Machiavelli, che nel suo trattato “Il Principe” staccò per primo la politica dalla morale, affermando che la politica è una lotta per il potere e pertanto si possono compiere in questo campo anche azioni amorali, perché giustificate dal fine. Quindi per la prima volta viene descritta la realtà effettuale delle cose, cioè come il mondo è e non come dovrebbe essere. Hobbes si inserisce in questa visione realistica della politica come lotta per il potere.
Hobbes venne profondamente sconvolto dalla Rivoluzione inglese e ciò avrà il suo peso anche nell’economia della sua opera. Egli partì dal concetto che il potere non era divino ma era stato dato dagli uomini al sovrano, era il risultato di un accordo sociale, il pactum societatis. Ma perché? Gli uomini per lui, condividendo la visione epicurea e lucreziana, erano all’inizio dei tempi come delle bestie in un perenne stato di guerra,”bellum omnium in omnis”, cioè la guerra di tutti contro tutti, perché animati dall’istinto di sopraffazione dettato dalla legge del più forte, “Homo homini lupus”, dirà Hobbes utilizzando una frase mutuata da Machiavelli che a sua volta si era ispirato a Plauto. Questo conflitto non avrebbe permesso la formazione di uno stato con un sovrano a capo se Hobbes non avesse introdotto la categoria dell’istinto di conservazione. Egli infatti affermò che, minacciato da questo stato di guerra, l’istinto di sopraffazione di ognuno fosse stato a sua volta, è il caso di dirlo, sopraffatto da quello di conservazione e che pertanto pur di conservare la propria integrità fisica abbiano affidato i propri diritti al più forte, il sovrano, in un pactum societatis, che da parte sua si impegna a governarli e a procurare loro la pace. Questo patto è irrevocabile, pertanto se il re diventa tiranno gli uomini non lo possono deporre. Inoltre per Hobbes, ecco che ritorna il trauma della rivoluzione, la peggiore tirannia fa meno danni della rivoluzione, pertanto l’uomo non può fare altro che accettarla. La base di questa teoria è sicuramente egoistica, visto che l’uomo rinuncia ai propri diritti per proteggere sé stesso. L’immagine del Leviatano ci offre anche altri elementi di approfondimento del senso dell’opera. Questo era infatti un mostro biblico che voleva sottolineare lo strapotere dello stato come un qualcosa di mostruoso. Inoltre esso aveva in mano la spada e il pastorale, cioè il potere temporale e il potere spirituale, che insieme formano il potere assoluto.
La restaurazione degli Stuart
King Charles II (1660-1685)
King James II (1685-1688)
Nel 1658 morì improvvisamente Cromwell, il figlio non si dimostrò all’altezza del padre e quindi si ritirò a vita privata. Si riaprì la lotta per il potere, che vide prevalere Carlo II Stuart, nominato re nel 1660 solo sotto la promessa di non distruggere ciò che la rivoluzione aveva istituito. Invece continuò sulla strada di suo padre, favorendo i nobili e la Chiesa anglicana, perseguitando invece i puritani e i seguaci di Cromwell. Coltivò inoltre rapporti diplomatici molto stretti con la Francia assolutista, alla quale cedette la città di Dunkerque, ottenuta da Cromwell quando intervenne a fianco dei transalpini contro la Spagna.
Ciò provocò la preoccupazione di molti e il re stesso, per paura di una rivoluzione, fece approvare dal parlamento alcuni provvedimenti molto importanti come l'”habeas corpus ad subiciendum”, anch’esso uno dei tasselli dello stato di diritto inglese moderno. Infatti con questo principio si aboliva il carcere preventivo, strumento di ogni dittatura per mettere a tacere gli oppositori, e inoltre si imponeva l’uso di un mandato di cattura emesso dalla magistratura ordinaria per l’arresto, non controllata dalla monarchia, senza contare che era necessario che il reo fosse processato nel più breve tempo possibile dopo l’arresto.
Ma si poneva ancora il problema della successione in parlamento, visto che il re non aveva figli e il potere sarebbe dovuto andare al fratello, fervente cattolico. Così si crearono due schieramenti: i whigs, borghesi, favorevoli a cambiare la successione e i tories, nobili, favorevoli a far restare immutata la linea di successione. Alla fine prevalsero questi ultimi: alla morte del re nel 1685 salì al trono, il fratello col nome di Giacomo II, che con la sua politica filocattolica si inimicò tutto il parlamento, che decise di offrire la corona a un nobile olandese, Guglielmo III d’Orange, lontano discendente di Enrico VIII.
Egli sbarcò nel 1688 al capo di un esercito che portava come vessillo la frase “Pro libertate e religione”, che con una rapida marcia su Londra, favorita dall’entusiasmo della popolazione, costrinse Giacomo II ad una fuga. Questa venne definita la gloriosa rivoluzione, che terminò con l’incoronazione del re, che dovette però firmare il “Bill of Right”, che negava definitivamente al re la possibilità di emanare leggi, richiedere autonomamente tasse senza consultare il parlamento, al quale doveva garantire sedute regolare e l’immunità per i propri deputati. Si sanciva così l’inizio della monarchia costituzionale inglese, che col passare del tempo, senza norme scritte ma attraverso consuetudini via via consolidatesi, si strutturò come oggi la conosciamo.
Il pensiero politico di Locke
John Locke (1632-1704)
John Locke, così come Hobbs teorizzò l’assolutismo, fu quello che teorizzò le innovazioni introdotte con la gloriosa rivoluzione, che sancì alla fine l’inizio del principio inglese “Il re regna ma non governa” . Locke riteneva che lo stato nascesse da un pactum societatis dettato non dallo stato di guerra ma dalla protezione della proprietà privata. Inizialmente gli uomini vivevano in branco ma per sopravvivere dovevano fruire individualmente, attraverso il proprio lavoro, dei frutti della natura e pertanto dalla titolarità di se stessi e del proprio lavoro nacque la proprietà privata. Essa era inizialmente limitata e quindi non c’erano disuguaglianza, che si vennero poi a creare con l’introduzione del denaro. Pertanto i proprietari fecero un patto, valutando i vantaggi e gli svantaggi di uno stato, rinunciando alla propria libertà assoluta, ceduta allo stato, ma conservando lo ius resistentiae, cioè la possibilità del cittadino di resistere al potere del capo di tale stato, sovrano, e di mantenere i propri diritti fondamentali. In cambio lo stato deve mantenere la pace, la felicità e permettere la fruizione delle proprietà private, che doveva anche difendere. Inoltre si doveva impegnare a far applicare il diritto naturale, esistente appunto in natura, dove però non trovava applicazione perché non c’erano poteri come quelli statali in grado di farlo rispettare. Hobbes, al contrario, riteneva che non esistesse un diritto naturale. Quindi il sovrano era scelto perché potesse governare lo stato secondo questo fine del far rispettare il diritto naturale. Al momento in cui non eseguiva più questo incarico poteva essergli revocata la fiducia, frutto dell’accordo fra i cittadini, e poteva essere accordata a qualcun altro. Questa concezione andava completamente contro l’assolutismo che si stava sviluppando contemporaneamente in Europa, negandone il concetto fondamentale: “legibus solutus”, ovvero il re sciolto dalle legge, che invece in Inghilterra era tenuto a rispettare. Infatti il re che la infrangeva poteva essere messo sotto processo (impchement), procedura ancora oggi applicata nei paesi anglosassoni.
Inoltre Locke fu il primo a teorizzare l’indipendenza dei tre poteri: esecutivo, giudiziario e legislativo. Questo ci fa vedere la modernità del personaggio, che anticipò un concetto che è alla base di tutte le democrazie liberali occidentali. Affermò anche l’esigenza di una tolleranza religiosa, che però egli stesso non riservava agli atei, ritenuti destabilizzanti per lo stato, e ai cattolici, che egli chiama “papisti”, perché più fedeli alla chiesa di Roma che allo stato.