“Respiro, adesso respiro!”.
Questa è stata la prima frase di Mattia, il 38enne di Codogno divenuto celebre, suo malgrado, come il paziente 1 di questa epidemia di Covid-19. La sua frase mi ha fatto riflette e mi ha riportato di fronte alla semplice e pura bellezza del respiro.
“Breathe in the air”, cantavano i Pink Floyd in quello che forse è il loro brano più iconico, assieme a Another Brick in the Wall, della band. Breathe è il pezzo d’apertura dell’album che ha fissato per sempre i Pink Floyd nell’impero del rock, The Dark Side of the Moon, un lavoro che Roger Waters, vero leader del gruppo, immaginò come un album dedicato alla follia generata dalle costrizioni, cioè, in fondo, dalla mancanza di respiro.
Respirare, per i Pink Floyd significava in un certo senso iniziare – o tornare – a vivere. In questo modo, oltre che alle basi naturali della fisiologia, il gruppo inglese si legava ad una tradizione millenaria che per quanto riguarda l’Occidente affonda le sue radici nell’intuizione di Anassimene. Attingendo alla memoria del liceo ci ricorderemo probabilmente il terzetto dei cosiddetti primi filosofi, ricompresi nel più vasto gruppo dei presocratici, che avevano scelto ognuno un diverso principio per tutte le cose: i tre amici della scuola ionica, vissuti nel sesto secolo avanti Cristo, avevano scelto l’acqua, nel caso di Talete, l’infinito, nel caso di Anassimandro e l’aria, nel caso del giovane Anassimene.
Per un sedicenne del XXI secolo, a cui basta aver visto qualche puntata di SuperQuark o ascoltato su YouTube un paio di Ted Talk per saperne un po’ sulla misteriosa origine dell’universo, queste ipotesi devono sembrare quantomeno bizzarre e anacronistiche. Ma se se si ha la fortuna di incontrare un professore motivato e attento, magari si può comprendere che l’importanza dei tre “amigos” non sta tanto nel principio che hanno scelto ma nel modo in cui ci sono arrivati: l’origine del mondo per la prima volta, non è spiegata con un mito, affascinante e inverosimile, ma con un ragionamento. E quello di Anassimene, che si spingeva a parlare di rarefazione e condensazione, era follemente semplice e, oggi verrebbe definito, sperimentale: tutto ciò che vive, respira.
Da qui il pensiero si innalza e per passare all’anima come psychè di Platone e Aristotele il passo era stato relativamente breve: all’origine di questa parola c’è una radice che significa appunto alito, respiro. D’altra parte la traduzione greca della Bibbia sceglie proprio psychè per il sostantivo ebraico nefesh che è connesso alla respirazione e agli organi che la rendono possibile. E il latino spiritus ha la stessa radice di respiro. La cui origine etimologia risiede nella parola respirium da respirare che altro non significa: soffiare dentro, soffiare indietro. Dunque ciò che ci fa vivere, l’anima o lo spirito, è legato al respiro.
E infatti tutte le espressioni negative che fanno riferimento a questa parola rimandano ad una piccola morte o al timore che essa possa sopraggiungere: togliere il respiro, senza respiro, non dare respiro, respiro mozzato o anche solo corto, e al contrario respiro di sollievo, trovare respiro… Per non parlare dei danni che, da questo punto di vista, può fare l’amore. Ultimamente mi sono trovato a dire: “Se mi guardi così non riesco a respirare” oppure “Basta pensarti che già mi manca il respiro”. I Pink Floyd poi sono andati un po’ più in là – non è un caso se “The Dark side” è stato uno degli album più venduti della storia – e hanno cantato ‘respira nell’aria e non aver paura di prenderti cura di qualcosa’.
La musica, per esempio quella italiana,per così dire, è piena di respiri: sono respiri che sembrano semplici, come per Battisti e Mogol in Amarsi un po’, di complicità, come per Renato Zero in Amico (‘io e te lo stesso respiro’), di sentimento per Gianna Nannini in Sei nell’anima (‘ti sento scendere fra respiro e battito’) di libertà come quello di Loredana Berté in In alto mare (‘Sull’onda che ti butta giù e poi ti scaglia verso il blu e respirare). Ma il respirare e il prendersi cura, cioè il respirare come empatia, cui sembrano accennare i Pink Floyd in Breathe, ci porta in una dimensione diversa, che poi è quella in cui forse siamo precipitati tutti, anche contro la nostra volontà, in queste ultime settimane.
La saggezza antica aveva provato a spiegarcelo: dallo yoga che ci induce a regolare il respiro per incidere anche sul nostro comportamento, e dunque non tenere separati corpo e mente, al discorso del Budda sulla consapevolezza del respiro che parla, similmente, di ‘presenza mentale del respiro’, al respiro nella meditazione zen che è abbandono e ascolto puro, fino al respiro diaframmatico consigliato ormai in qualunque ginnastica posturale, anche in virtù della estrema attenzione al diaframma considerato ormai uno dei muscoli più importanti del nostro corpo.
E’ quel respiro, atto fisiologico involontario, a cui non facciamo mai abbastanza caso, che diamo per scontatoe che invece ci tiene vivi. Quel respiro che il virus vuole toglierci ma che, paradossalmente, la quarantena può spingerci a reimparare. Perché come spiega nel finale di Castaway Tom Hanks, il respiro è legato alla speranza e all’ostinazione di vivere. E noi vogliamo vivere.
TAVOLA SCOLPITA DAL FR,’, C. S. 30 marzo 2020