Rubrica di Simbologia: Il Pellicano
Dagli antichi greci il pellicano veniva chiamato Onocrotalo,
perché il suo strano grido, krotos, era simile a quello di un
asino.
Si deve invece, per l’analogia di forme, l’assonanza al nome con cui gli stessi
greci principalmente lo chiamavano: pelekos, da pelekus,
l’ascia. A causa dell’apertura del suo becco smisurato, uncinato alla punta
che, slargandosi a ventaglio, risulta essere simile ad una antica scure;
questa, un segno simbolico del sacrificio di sangue, potrebbe far risalire
l’origine delle leggende sul pellicano a tempi antichissimi.
Il fatto che i pellicani adulti curvino il becco verso il
petto per dare da mangiare ai loro piccoli i pesci che trasportano nella sacca,
ha indotto all’errata credenza che i genitori si lacerino il torace per nutrire
i pulcini col proprio sangue, fino a divenire “emblema di carità” (O.
Wirth).
Il pellicano è divenuto pertanto il simbolo dell’abnegazione con cui si amano i
figli. Per questa ragione l’iconografia cristiana ne ha fatto l’allegoria del
supremo sacrificio di Cristo, salito sulla Croce e trafitto al costato da cui
sgorgarono il sangue e l’acqua, fonte di vita per gli uomini.
Antiche leggende raccontano che i suoi piccoli vengono al
mondo talmente deboli da sembrare morti, o che la madre, tornando al nido, li
trovi uccisi dal serpente. Il Fisiologo nel suo inventario (Physiologus,
II-IV sec.) dice che il pellicano ama moltissimo i suoi figli: «quando ha
generato i piccoli, questi, non appena sono un po’ cresciuti, colpiscono il
volto dei genitori; i genitori allora li picchiano e li uccidono. In seguito
però ne provano compassione, e per tre giorni piangono i figli che hanno
ucciso. Il terzo giorno, la madre si percuote il fianco e il suo sangue,
effondendosi sui corpi morti dei piccoli, li risuscita».
Anche in questo caso, i teologi medioevali, lo identificano con il Cristo in
croce, e con il Padre che ama al tal punto l’umanità da inviare i1 Suo unico
Figlio, che resuscita dalla morte il terzo giorno.
Il pellicano si presta così ad una duplice simbologia: è inteso sia come immagine di Cristo che si lascia crocifiggere e dona il suo sangue per redimere l’umanità, sia come immagine di Dio Padre che sacrifica suo Figlio facendolo risorgere dalla morte dopo tre giorni.
Negli ultimi tre secoli del medioevo, sovente lo spirituale uccello è stato al centro dell’attenzione artistica. Rappresentato in scultura o in pittura col nido dei suoi piccoli sulla sommità della croce e nell’atto di straziarsi il petto con i colpi del suo becco.
Il sangue scaturente dal petto del Pellicano è, per l’Ars Symbolica, la forza spirituale che alimenta il lavoro dell’alchimista che, con grande amore e sacrificio, conduce la ricerca della perfezione.
Questo emblema è presente nell’iconografia alchemica: da un lato raffigura un
genere di storta, ossia un recipiente nel quale veniva riposta la materia
liquida per la distillazione, il cui “beccuccio” è piegato in direzione della
cupola convessa; dall’altro costituisce un’immagine della “pietra
filosofale” dispersa nel piombo allo stato fluido, nel quale si fonde
al fine di determinare la trasmutazione del “vile metallo in oro”.
Questo volatile è quindi la metàfora dell’aspirazione non egoistica all’ascesa
verso la purificazione, della generosità assoluta, “in mancanza della quale,
nell’iniziazione, tutto resterebbe irrimediabilmente vano” (O. Wirth),
Alla luce di questo significato, il pellicano indica anche il grado di “Rosacroce” nella Massoneria di rito scozzese. I suoi membri definiti “Cavalieri di Rosacroce” nei sistemi più antichi erano chiamati anche “Cavalieri del Pellicano”
Il pellicano è una figura rappresentativa anche in altre culture, infatti i musulmani considerano lo stesso un uccello sacro poiché, come narra una loro leggenda, allorché i costruttori della Ka’ba dovettero interrompere i lavori per mancanza d’acqua, stormi di pellicani avrebbero trasportato nelle loro borse naturali l’acqua occorrente a consentire il completamento dell’importante costruzione sacra.
Il Bestiario medievale cita un canto sacro oggi dimenticato il cui testo recita: “Pie pelicane, Jesus Domine” (o Pio pellicano, Nostro Signore). Vi si rammenta la caratteristica di questo pennuto acquatico, che è quella di mangiare solo il cibo che gli è realmente necessario per sopravvivere. “L’eremita vive in modo simile, perché si nutre di solo pane e non vive per mangiare, ma piuttosto mangia solamente per vivere” (F. Unterkircher 1986)
Il pellicano è un uccello difficile da vedere, ed è per questo che diventa pura immagine dello Spirito, che richiama al pensiero la Purezza, Cristo, il “nostro Pellicano” come lo chiama Dante quando si riferisce all’apostolo Giovanni: «Questi è colui che giacque sopra’l petto del nostro Pellicano, e Questi fue di su la croce al grande officio eletto». (Divina Commedia, Paradiso canto XXV, 112-114)