ULISSE – SECONDO VIAGGIO

Questo è un piccolo contributo al bellissimo lavoro presentato  alcuni anni fa dal Fratello C..

Si tratta della parte finale dell’opera “Poemi Conviviali” del Fratello-poeta Giovanni Pascoli

Dopo aver compiuto il viaggio alla ricerca degli uomini che non conoscono il mare, prescrittogli da Tiresia, per nove anni rimane ad Itaca.  La sua non è però la  «splendente vecchiezza» di cui parla il testo omerico, perché Ulisse, assorto nella rievocazione del proprio passato, nel rimpianto dei tempi eroici,  è nello stesso tempo colto da  un dubbio sempre più tormentoso e si mette in viaggio a ritroso.

Così, dopo aver ripercorso i luoghi visitati nel suo primo viaggio, la sua nave giunge dove sono le Sirene. Ma queste non sono quelle che aveva precedentemente incontrato, ma come vedremo, sono solo due scogli immobili e solitari.

Ma è proprio qui che Ulisse parla in tono angoscioso. Ascoltiamolo:

Sirene, io sono ancora quel mortale che v’ascoltò, ma non poté sostare.

E la corrente tacita e soave

più sempre avanti sospingea la nave. 

E il vecchio vide che le due Sirene, le ciglia alzate su le due pupille,            

avanti sé miravano, nel sole   fisse, od in lui, nella sua nave nera. 

E su la calma immobile del mare,

alta e sicura egli inalzò la voce.

Son io!  Son io, che torno per sapere! 

Ché molto io vidi, come voi vedete me

Sì; ma tutto ch’io guardai nel mondo, mi riguardò;

mi domando: Chi sono?

E la corrente rapida e soave

più sempre avanti sospingea  la nave.              

E il vecchio vide un grande mucchio d’ossa d’uomini,

e pelli raggrinzate intorno,

presso le due Sirene, immobilmente stese sul lido,

                        simili a due scogli.

Vedo.  Sia pure.  Questo duro ossame cresca quel mucchio.  Ma, voi due, parlate! 

Ma dite un vero, un solo a me, tra il tutto,

prima ch’io muoia, a ciò ch’io sia vissuto!

E la corrente rapida e soave

più sempre avanti sospingea la nave.              

E s’ergean su la nave alte le fronti,

con gli occhi fissi, delle due Sirene.

Solo mi resta un attimo.  Vi prego! 

Ditemi almeno chi sono io! chi ero!

E tra i due scogli si spezzò la nave.   

(Pascoli, Poemi conviviali, Canto XXIII)

            In questa rappresentazione, il viaggio di Ulisse non è più rivolto all’esterno, alla ricerca di nuove esperienze, ma all’interno, alla ricerca dell’ambiguo confine tra sogno e realtà. Odisseo è animato da una forte ansia di conoscenza, della ricerca della propria identità. Di se stesso.

            E’ commovente la supplica che egli fa alle Sirene: ditemi almeno chi sono oggi! Chi sono stato nel passato.

            Ma non poteva essere diversamente: le Sirene rimangono fisse come due scogli, contro i quali va inesorabilmente ad infrangersi la nave. E così Odisseo, come tutti noi, non può che avere una sola certezza: quella della morte.

            In questo ultimo viaggio, il Fratello Giovanni Pascoli ha voluto presentare il suo Ulisse come un antieroe con assenza di sicurezze: insomma, un uomo nel dubbio e del dubbio che però diventa un eroe quando cerca con ogni mezzo di indagare nell’animo umano, di affrontare il crollo delle illusioni, di accettare la realtà della morte.

TAVOLA SCOLPITA DAL FR.’. M. L.

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