L’ATTESA .:.
È una piccola parentesi di tempo la nostra esistenza, e per gran parte di essa viviamo attendendo qualcosa o qualcuno. Ma c’è modo e modo di attendere, in un certo qual senso la si potrebbe quasi definire un’arte e, nella limitatezza e nel piccolo assaggio di esoterismo che mi è stato donato fino ad oggi ho potuto notare come, ancora una volta, Il Massone elevi il concetto da mera connotazione passiva, inerte, ad atto attivo e pregno di significato. Nel mio passaggio dalla vita profana a quella da iniziato la prima cosa che mi ha colpito, forte come una sveglia alle prime Luci del giorno, è stata la percezione dello scorrere del tempo. Il Viaggio è cominciato in attesa: attendevo paziente l’ignoto, qualcuno che mi guidasse e conducesse dapprima nel Gabinetto di Riflessione, e successivamente nel Tempio. Quei minuti sembravano interminabili, funzionali forse a consentire una meditazione profonda che un passo così importante richiedeva. Tuttavia, ancora intriso di Profanità mi sono sentito in balia del tempo, abulico, in qualche modo, nell’attesa dell’ignoto. In poco tempo quello slancio passivo si è mutato in attesa produttiva: la riflessione ha preso il posto dell’inoperosità, la ricerca quello dell’attesa passiva di risposte. Quel seme stretto tra le mani non sarebbe mai cresciuto se mi fossi limitato ad osservarlo, occorreva piantarlo, occorrevano Terra ed Acqua affinché potesse germogliare. Il tempo per definizione è soltanto un’astrazione, una teoria, inesistente nella realtà fondamentale. Eppure lo percepiamo, ne subiamo gli effetti, lo vediamo riflesso su foto e specchi. Il tempo è una teoria, una convenzione la sua misurazione, eppure in alcuni momenti è davvero tutto ciò che abbiamo, tutto ciò che ci resta, tutto ciò che possiamo donare. Immagino che esista una dualità nell’idea stessa di attesa, una “Beckettiana” se vogliamo, una più trascendente, legata in qualche modo agli spunti esoterici dei Testi Sacri. Nella prima l’attesa di Vladimiro ed Estragone è la summa di tutte le attese possibili che costellano la vita di un uomo: l’attesa di un Dio, della fortuna, del proprio destino, persino della morte. La loro attesa è devota e a tratti scoraggiata, animata, certo, dal desiderio e dal bisogno di conoscere Godot, ma pur sempre in balia degli eventi. | due protagonisti della commedia dell’assurdo si fanno compagnia nel “passer le temps” (passare il tempo), colmando le vicendevoli assenze e sostenendosi nell’incertezza, figlia della non conoscenza. Eppure anche qui troviamo un trait d’union con la seconda idea di “attesa”, quella strettamente esoterica, a noi più cara: “passer le temps” può altresì indicare “andare oltre il tempo”, superarlo. È in questo contesto che si inserisce l’idea più volte ripresa nel Nuovo Testamento, ossia che l’attesa qualitativamente significativa presuppone una totale ed assoluta lucidità e consapevolezza del momento. In qualche modo si suggerisce una sorta di astrazione dal tempo stesso, “passer le temps”, spogliarsi metaforicamente dell’ansia del futuro che sta in seno al concetto di attesa stessa. La lucidità e la consapevolezza del momento ci consente pertanto di attendere anche il presente, quei piccoli momenti che veloci passano nella quotidianità che rimarrebbero inosservati se distratti da qualcosa troppo al di la dell’orizzonte. Non vivere il momento, non essere connessi con “l’istante”, sarebbe un po’ come guardare uno splendido dipinto attraverso le lenti di un binocolo… il complesso, l’insieme, sarebbe inevitabilmente compromesso e perso. A tal proposito emblematica risulta la parabola delle cinque Vergini negligenti: le cinque, non avendo abbastanza olio per tenere accesa la loro lampada perdono lo sposo e non raggiungono il banchetto nuziale. Le cinque fanciulle, prive di sufficiente consapevolezza di se da poter rimanere “nel momento”, perdono l’attimo e non raggiungono l’Illuminazione. Tutto ciò potrebbe essere percepito solo come una delle possibili interpretazioni ad una tematica così vasta e sfaccettata, che da sempre affascina filosofi, poeti, sognatori e Uomini Liberi. Tra queste mille sfaccettature ancora mi perdo e sfumano i contorni dell’insieme, del quadro più grande, complice ancora il binocolo che non riesco ad abbandonare del tutto. Di sicuro c’è ancora molto che non so, forse, anche per questo, attendo.
TAVOLA SCOLPITA DAL FR.:. S. B.