SOTTO IL VELAME…
Il capolavoro di Dante nel suo linguaggio universale offre molteplici chiavi di lettura. Per noi è il viaggio di chi decide di compiere il suo cammino alla ricerca della Luce che è Amore, Verità e Bellezza
Molto è stato detto e scritto e si continua a dire e scrivere sul senso autentico della Divina Commedia e sul messaggio che si cela nei 14.233 endecasillabi delle 4711 terzine incatenate che compongono l’opera. Sette secoli, tanti ne sono passati dalla morte del suo autore Dante Alighieri, non ne hanno scalfito la grandiosità. Ma non sono bastati a risolvere il mistero. E ancor oggi esegeti e appassionati continuano a interrogarsi sul significato da attribuire alle suggestive allegorie cui ricorre il Sommo Poeta. Ma è pur vero che un capolavoro non è tale se non supera la prova del tempo e se non riesce a parlare un linguaggio universale in grado di accendere nei cuori il desiderio di conoscenza. E la Divina Commedia è un capolavoro, un bestseller, che da oltre settecento anni racconta una storia che arriva a tutti e tocca tutti nel profondo, superando ogni barriera culturale. Di qui il suo imperituro successo e anche le molteplici interpretazioni. Del resto è lo stesso Dante, su quest’ultimo punto, a lanciare la sfida quando nel IX Canto dell’Inferno avverte:
“O voi ch’avete l’intelletti sani
Mirate la dottrina che s’asconde
Sotto il velame delli versi strani!”.
Così c’è chi legge le tre Cantiche in chiave etica, chi in chiave religiosa o politica, chi in chiave esoterica. E chi le storicizza… Per noi, viandanti sotto il cielo stellato, la Commedia è la cronaca di un viaggio iniziatico, un viaggio all’interno dell’essenza stessa dell’uomo. Il viaggio che compiono i liberi muratori dal momento in cui, dopo aver bussato al tempio, vengono accolti nel gabinetto di riflessione. Quello di Dante non a caso inizia durante l’Equinozio di primavera, un momento propizio secondo la tradizione, ai riti di passaggio, poichè la notte e il giorno hanno la stessa durata. Il poeta ha smarrito la dritta via, si è ritrovato solo in una selva fitta e oscura, e ha paura. Al sorgere del sole riprende il cammino ma tre fiere gli sbarrano
la strada: una lonza, un leone e una lupa, simbolo nel Medioevo di invidia, superbia e avidità, le piu’ basse passioni dell’uomo. Così spaventato dalla loro visione, Dante torna sui suoi passi precipitando a valle, dove incontra l’anima del poeta latino Virgilio, che lo accompagnerà negli abissi dell’Inferno, a “visitare le viscere della terra”. Un percorso, difficile, impervio, all’interno di se stessi, ma necessario per chi aspira al proprio perfezionamento interiore e vuole uscire “a riveder le stelle”, cioè ad avere accesso alla conoscenza. Un cammino, che non può essere compiuto in solitudine, ma per il quale si ha sempre bisogno di un maestro che rappresenti un modello morale, come Virgilio per Dante.
Un maestro che sappia indicare la retta via, che aiuti a superare dubbi e ostacoli, e che si faccia garante per coloro che saranno chiamati a dar conto di chi sono, presentandoli come uomini alla ricerca della libertà, bene supremo e indispensabile per proseguire l’arduo percorso che porta alla somma Sapienza, alla contemplazione della Luce, che è Amore, Verità e Bellezza.
“Nel ciel che più de la sua luce prende
fu’ io, e vidi cose che ridire
né sa né può chi di là sù discende;
perché appressando sé al suo disire,
nostro intelletto si profonda tanto,
che dietro la memoria non può ire. ”
(Paradiso I vv 1-9)
DALLA RIVISTA “ERASMO” 2021/1