LIBERTA’ DI STAMPA. LUNGO TORMENTATO CAMMINO

LIBERTA’ DI STAMPA – UN LUNGO TORMENTATO CAMMINO

L’art. 21 della Costituzione al centro di un convegno a Casa Nathan. La storia dell’evoluzione della coscienza di un diritto, le battaglie i protagonisti. Tra loro Giuseppe Meoni, giornalista e massone. A ricordarne la figura Giancarlo Tartaglia, direttore della Fnsi.

“La libertà di stampa in Italia. Dal Risorgimento alla Costituente”.

E’ il tema del convegno con il quale il Servizio Biblioteca ha inaugurato il 29 novembre il nuovo ciclo di incontri che si terranno nei prossimi mesi a Casa Nathan, il Centro Polifunzionale del Grande Oriente d’Italia che si trova a Roma in Piazzale delle Medaglie d’Oro, 44. L’incontro, fortemente voluto dal Gran Maestro, soprattutto alla luce dei profondi cambiamenti all’interno del mondo dell’informazione prodotti dai nuovi media, si inserisce nel ciclo di manifestazioni che la Massoneria Italiana ha dedicato quest’anno ai settant’anni della Repubblica. Un’occasione per soffermarsi ad analizzare in chiave storica e giuridica uno dei passi più importanti della nostra Costituzione, a ripercorrere l’evoluzione, nel nostro paese, della coscienza di un diritto, quello alla libertà di stampa, che fu sancito con limiti e riserve per la prima volta nel 1848 da Carlo Alberto nel suo Statuto, ma che poi venne compresso fino a essere annullato dal

regime fascista, e che infine fu finalmente riconosciuto nella sua

pienezza dalla nostra attuale Carta Fondamentale. Ha presentato i relatori e moderato il dibattito, seguito con grande attenzione dal pubblico, il Gran Bibliotecario Bernardino Fioravanti.

L’informazione come diritto naturale

A dare il via ai lavori, Carlo Ricotti, Presidente del Collegio dei Maestri Venerabili del Lazio e docente all’Università Luiss, che ha ricostruito il “lungo e tormentato cammino” che ha portato nella nostra Costituzione al diritto all’informazione “come diritto naturale”, “come strumento di formazione della personalità e accrescimento concreto dei cittadini”, nello spirito dei principi sanciti nel 1789 nella Dichiarazione dei “Diritti dell’uomo e del cittadino” elaborata nel corso della Rivoluzione francese, che definisce la libera manifestazione del pensiero e delle opinioni un diritto prezioso dell’essere umano; ma anche sulla falsa riga dell’articolo 7 della Costituzione della Repubblica Romana del 1849, che stabiliva: “La manifestazione del pensiero è libera; la legge ne punisce l’abuso senza alcuna censura preventiva”. Due modelli che vanno ben oltre l’approccio liberale che improntò invece l’articolo 28 dello Statuto Albertino entrato in vigore nel 1848, che recitava così: “La stampa sarà libera, ma una legge ne

reprime gli abusi. Tuttavia le bibbie, i catechismi, i libri liturgici e di preghiere non potranno essere stampati senza il preventivo permesso del Vescovo”. Articolo che ebbe, comunque, ha ricordato Ricotti una notevole importanza politica. “Durante il periodo liberale la libertà di stampa assolse infatti alla funzione di moderare, attraverso la formazione dell’opinione pubblica, le istituzioni rappresentative, vale a dire il Parlamento. Era un baluardo –ha sottolineato – contro la dittatura dell’allora maggioranza”.

Il Risorgimento fu laico

Ha preso poi la parola Giuseppe Monsagrati, storico e grande studioso del Risorgimento che ha posto l’attenzione sul contributo dato dal movimento laico alla realizzazione dell’unità d’Italia. Monsagrati ha diviso la sua analisi in tre punti, cominciando anzitutto col mettere in evidenza l’assenza di qualsiasi riferimento al laicismo risorgimentale nei manuali di storia contemporanea. Il Risorgimento, ha sottolineato, viene presentato come un processo storico avente per obiettivi libertà, indipendenza e unità nazionale, viene di volta in volta definito come un evento di natura politica, culturale, nazionale, liberale, ma non viene mai associato all’aggettivo laico. “Vero è – ha spiegato – che nel concetto di libertà e delle sue possibili manifestazioni è implicito anche l’elemento del laicismo sviluppato come separazione

tra Chiesa e Stato o come neutralità dello Stato in campo religioso. Ma in un paese che come l’Italia ha conosciuto la Controriforma, non mettere l’accento sul Risorgimento come affermazione delle necessità di una svolta radicale in tale campo è senz’altro molto limitativo”.

La riforma di Pio IX

Il secondo punto analizzato da Monsagrati ha riguardato il laicismo

ottocentesco, che affondava le sue radici teoriche nel razionalismo, ma che da esso si differenziò, superandolo, quando, sfumato l’anticlericalismo di Voltaire, andò a incrociarsi col liberalismo e coi suoi principi così come venivano enunciati ed espressi da pensatori come Benjiamin Constant e Alexander de Tocqueville. Ciò significa, ha chiarito lo storico, che “pur mentre in alcuni ambienti permane un diffuso anticlericalismo, nell’élite intellettuale matura un’idea non solo di tolleranza ma anche di valorizzazione del sentimento religioso e della sua importanza sociale”. Intrecciandosi poi con le aspirazioni di carattere politico- territoriale che vedono nella Chiesa di Roma uno dei maggiori ostacoli al conseguimento dell’indipendenza successivamente dell’unità, tale atteggiamento, ha precisato Monsagrati, si riversò con tutto il suo spirito polemico sulla gerarchia ecclesiastica, il papato in testa, senza andare a toccare comunque la

sfera della coscienza. Nel corso dell’Ottocento anche l’anticlericalismo

non sempre coincise, ad esempio con l’ateismo. Quanto alla ricerca della libertà, essa, ha osservato lo storico, “ha uno dei suoi passaggi essenziali nella libertà di stampa”. Nel clima assai mosso del Risorgimento, ha detto, “è paradossale constatare come la prima legge regolatrice della stampa in senso più o meno liberale abbia luogo nello Stato Pontificio e porti la firma di un papa. E’, infatti, Pio IX che il 15 marzo 1847 procede pur tra mille dubbi a questa concessione. A prescindere dalle sue motivazioni, ciò che conta è che il fallimento della politica papale di riforme apra la strada a una nuova stagione del processo storico risorgimentale che elimina per sempre l’equivoco di una collaborazione della Chiesa di Roma all’emancipazione politica della Penisola. Il diritto di stampa – ha concluso – è dunque figlio delle

idee laiche sviluppatesi durante il Risorgimento, senza lo sviluppo del movimento laico poche libertà sarebbero state concesse”.

Lo Statuto Albertino e la libertà limitata

L’intervento successivo è stato di Mario Cignoni esponente della Società Biblica Britannica e Forestiera che ha donato al Gran Maestro per la Biblioteca del Grande Oriente la ristampa anastatica della Bibbia di Diodati, il primo testo protestante tradotto in italiano nel 1641. Citando il contenuto dell’articolo 28 dello Statuto Albertino, Cignoni ha sottolineato come con l’affermazione della libertà di stampa, dapprima riconosciuta negli stati del Regno di Sardegna e poi con le tappe dell’Unità in tutta Italia, si andò di fatto concludendo l’epoca della censura preventiva. “Perse efficacia – ha detto – anche l’Indice dei libri proibiti che, nato nel 1558 come reazione alla Riforma protestante, era diventato ormai un’istituzione che colpiva ogni tipo

di dissidenti: filosofi, politici, scienziati, storici, letterati erano caduti sotto il suo divieto. L’Indice reprimeva la lettura stessa, perché vietava il sapere. La libertà proclamata dallo Statuto non era comunque – ha osservato – assoluta ma veniva limitata

dalla legge contenuta nel successivo Editto sulla stampa (1848) che reprimeva una serie di ‘reati’ che riguardavano i responsabili delle pubblicazioni (autori, direttori, editori, stampatori)”. “La libertà di stampa – ha aggiunto – fu così un principio che venne ammesso e negato al tempo stesso, che lasciava libertà di manovra a chi deteneva il potere. La legge fu dunque frutto di un compromesso, pur equilibrato e accettabile da tutti. Unica eccezione espressa alla libertà di stampa era quella religiosa, anzi quella che riguardava la Bibbia. Tutto quel che c’era da vietare si riassumeva in un solo libro: la Bibbia. Dopo trecento anni perdurava il timore della propaganda protestante, rinnovata nell’Ottocento dalla missione delle Società Bibliche”.

La Chiesa temeva che la conoscenza della Bibbia portasse a una presa di coscienza auto-determinante: “Dio non era più mediato dalla Chiesa e dal messale latino, ma Cristo poteva essere conosciuto direttamente dagli evangeli tradotti in italiano”. Il libero esame

dei testi sacri faceva ancora paura: alcuni avevano scoperto che si poteva essere cristiani senza il Papa. Acquisire una coscienza biblica personale, costruita sul testo sacro, significava – ha concluso Cignoni – crescere, iniziare un percorso per una fede matura, capace di prendere posizione con cognizione di causa nella società e, al limite, di mettere in crisi l’autorità della Chiesa”.

Un massone paladino della libertà di stampa

Giancarlo Tartaglia, direttore della Federazione Nazionale della Stampa, ha ricostruito infine, nella sua interessantissima relazione,

la storia del sindacato dei giornalisti italiani dalla nascita fino all’avvento e poi alla caduta del Fascismo, “una storia che ha avuto tra i suoi principali protagonisti – come ha tenuto più volte a sottolineare – Giuseppe Meoni, direttore del Messaggero negli anni della Prima guerra mondiale e massone”, eletto Gran Maestro Aggiunto nel 1919, perseguitato dal regime di Mussolini, arrestato e condannato al confino. Le sue instancabili battaglie e quelle di uomini e giornalisti come lui, ha ricordato Tartaglia, hanno contribuito all’affermazione delle libertà di cui godiamo oggi. Tartaglia ha ricordato come, all’indomani della Grande Guerra, l’Italia si trovò ad affrontare una fase di forti conflitti sociali e di scontri politici. “La Rivoluzione Russa – ha ricordato – incombeva all’orizzonte e la scissione del Partito Socialista, con la nascita del Partito Comunista di Gramsci e Bordiga, intimoriva la borghesia, mentre, l’evoluzione del fascismo da movimento interventista a vero e proprio partito lo andava caratterizzando come tutore della legalità statutaria in funzione antisocialista. Lo scontro politico –ha aggiunto – degenerò con frequenza crescente in uno scontro fisico che coinvolse inevitabilmente  la stampa e i giornali. Le redazioni dei giornali erano

assalite, le copie sequestrate e bruciate nelle pubbliche piazze, i redattori minacciati e bastonati. Il fallimento del patto di pacificazione  tra fascisti e socialisti finì per acuire lo scontro. La Federazione Nazionale della Stampa, organismo unitario di tutto il giornalismo italiano, guidata dal Presidente Salvatore Barzilai e dal consigliere delegato Giuseppe Meoni, Gran Maestro Aggiunto del Goi (1919 -1925), divenne, perciò – ha sottolineato Tartaglia – il soggetto collettivo principale nella lunga battaglia per la difesa della libertà di stampa, una battaglia che si protrarrà sino alla sua definitiva sconfitta con l’approvazione delle leggi fascistissime che porteranno, a partire dal 1926, alla nascita della dittatura. In questa vera e propria guerra spicca la figura di Giuseppe Meoni, che si oppose fermamente

ai provvedimenti approvati dal Governo Mussolini nel ‘23 e resi operativi nel ’24 dopo l’uccisione del deputato socialista Matteotti e dopo la conquista da parte del fascismo della maggioranza assoluta

del Parlamento, grazie alla legge elettorale Acerbo”. Meoni fronteggiò i reiterati tentativi di Mussolini di conquistare le associazioni regionali di stampa e la stessa Federazione Nazionale.

Più volte i giornalisti fascisti, ha raccontato il direttore della Fnsi, tentarono nelle elezioni ordinarie di fare eleggere i loro

rappresentanti alla guida dell’Associazione Lombarda dell’Associazione di Roma, ma vennero sempre sconfitti. Per conquistarle il fascismo ricorse a sotterfugi illegali contrabbandati

per legalità. Il Prefetto commissariò l’Associazione della Stampa

di Roma con tre giornalisti fascisti. La stessa formula fu usata a Milano e nelle altre associazioni territoriali. Quando, alla fine del ‘25, si riunì il Consiglio Nazionale della Federazione della Stampa, i suoi membri erano ormai tutti fascisti. Meoni fu defenestrato e deferito ai Probiviri. Sarebbe stato in seguito condannato al confino. “Con la sua espulsione – ha rimarcato Tartaglia – tramontava di fatto in Italia la libertà di stampa che avrebbe, purtroppo, continuato a rantolare per pochi mesi prima di scomparire definitivamente nel buio della dittatura”.

La speranza per migliorare il mondo

A concludere il convegno è stato il Gran Maestro Stefano Bisi che

ricordato quanto sia importante coltivare la speranza, la “speranza di migliorare il mondo”, di preservare i diritti conquistati a caro prezzo e attraverso tante battaglie. “Si è parlato dei settant’anni passati, di grandi uomini come Giuseppe Meoni, ma quale futuro attende la libertà di stampa?” ha detto il G.M. riflettendo sulle grandi trasformazioni di cui è protagonista il mondo dell’informazione; sui nuovi media, che se non usati correttamente potrebbero mettere a rischio un diritto così importante per il quale in tanti si sono battuti anche a costo della vita, un diritto che è al centro delle libertà fondamentali dell’uomo; sulle sfide del web e le tante incognite che internet solleva; i diritti individuali che rischiano di essere violati. Il diritto alla privacy è uno di questi, è stato ricordato, e si pone in stretto collegamento con gli altri diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione.

La storia dell’art. 21

A proporre il testo di quello che poi è diventato l’articolo 21 della Costituzione fu Costantino Mortati (Dc) della Commissione del Ministero della Costituente, una pre-commissione per la Costituzione. Giunti all’Assemblea Costituente, due relatori di parte diversa, Lelio

Basso (Psi) e Giorgio La Pira (Dc), presentarono un testo

quasi uguale a quello redatto da Mortati; vi furono vivissime

discussioni in Sottocommissione, nel Comitato di Redazione

e nell’Assemblea Costituente ma, in sostanza, rimase quell’impostazione e, con qualche ritocco, il sistema delle norme

proposte. I principali argomenti di dibattito furono: affermare solo il diritto alla libertà di stampa (Lombardi e De Vita) oppure predisporre articolate casistiche da affiancare all’affermazione di principio per guidare il legislatore (Terracini Pci) e Basso; distinguere la stampa e le altre manifestazioni di pensiero (Dossetti), o la stampa periodica da quella non periodica (Lucifero); rivedere o meno l’istituto del sequestro giudiziario di fronte a reati; decidere a chi assegnare il compito di mettere in atto il sequestro. Alla fine di un lungo dibattito il testo definitivo dell’articolo 21 sarà questo: Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto

e ogni altro mezzo di diffusione/ La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure/ Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili. In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro

della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida

nelle ventiquattro ore successive,il sequestro s’intende revocato e privo d’ogni effetto.

La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica/ Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.

DALLA RIVISTA  “ERASMO” 2016/11

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