LA VITA È UN SOGNO
In verità l’uomo si impegna sempre per il futuro: il passato è per lui un ricordo, e così tutta la vita trascorsa appare un sogno, dilettevole od orrendo. Il guaio è che si vive sempre in ciò che passa, sicché se la speranza stimola lo spirito vitale, l’opera nostra si rinnova continuamente daccapo. Per questo l’attività umana non ha limiti, né di tempo, né di fini: solo la morte tronca tale connubio, questa relazione fra uomo e lavoro, togliendo al primo lo spirito vitale. Ove esso vada, come sopravviva al corpo, come si ricongiunga e ritorni al mondo dello spirito, ognuno la veda come vuole: resta certo però che difficilmente esso riesce a riprendere il contatto con la materia, prova ne sia (a parte per chi crede, le miracolose apparizioni che, per altro, vengono appunto a ribadire l’eccezionalità di tale contatto e le sedute spiritiche, di incerto valore) che spiriti intelligenti, a noi ben cari, benché pregati, supplicati, non si sono più fatti sentire, malgrado ogni accordo preso con essi in questo mondo. C’è dunque una volontà che vieta loro di manifestarsi, in qualche modo, a noi, anche se noi avvertiamo la loro presenza confortatrice e protettrice in momenti gravi. Dal fatto della inesorabilità e impossibilità di un ponte fra anima dei trapassati e i viventi, alcuni deducono una ennesima (ma non superflua) prova della seconda, « diversa vita », propria dello spirito, congiuntosi ormai con il grande Spirito dell’universo; altri invece colgono occasione dalla constatazione del silenzio dei morti, per trarre ed affermare la loro convinzione sulla inesistenza dell’al di là: muore, con il corpo, anche la ragione, lo spirito: si muore come le bestie, come le piante, come muore la natura effettuato il suo ciclo. Resta a chi vive il « ricordo » della persona che non c’è più, poche ossa ancora: resta, ciò che vive nella nostra memoria, l’eredità di affetti finché vive memoria di essi. Il sogno continua: la vita è attesa, è speranza ed è ricordo: è memoria estesa al passato, è presentimento del futuro e sensibilità in atto di ciò che passa. Il presentimento del futuro va pero di là della
durata della vita terrena: che cos’è dunque tale ansia, che significa questo sguardo oltre la tomba? Chi ce l’ha suggerito? Chi ci spinge a pensare, a volere eterni i nostri morti, e beati? La ragione, che si rifiuta di accettare la tesi della fine dell’uomo come bestia, insiste nell’avvertire l’uomo anima immortale. Tale fede è comune a tutte le religioni, ossia a tutti i popoli. Perché, dunque? Tale speranza è dovuta soltanto al perdurare degli affetti per la persona estinta? o al bisogno di protezione, venuta a cessare con la dipartita del genitore, del capo famiglia, della madre? o alla necessita (spirituale) di ritrovare il bene momentaneamente perduto? ossia, lo spirito non può dunque arrestarsi alle barriere terrene e ha bisogno di un suo mondo?
La risposta a detti interrogativi non può essere che positiva: secondo quali motivi si potrebbe negare questa forza dello spirito che sopravvive al corpo; che accende, con l’educazione, altri spiriti; che inonda di sé il creato; che dà un significato al nostro turbamento di esseri in transito, di passaggio in questo breve mondo, di turisti verso l’eterno? Come non si potrebbe ammettere la volontà dello spirito di perdurare in eterno?
Beati i popoli che onorano le tombe degli avi perché, nella luce del loro ammaestramento, conservano e migliorano i propri costumi! La forza del Giappone e della Cina, ad esempio, è questa virtù, più potente di ogni esercito perché è l’anima di ogni sacrificio e di ogni impresa. Un popolo che ha il culto degli antenati, non può perire, qualunque siano le prove che sopporta € che lo attendono. Lo scetticismo invece non solo ruba all’uomo la speranza, ma gli nega la conquista dei valori morali, e così della verità, relegandolo in una notte senza fine.
Il superuomo, privo di ogni legge morale, muove a pietà: si è grandi davvero, quando si compiono regolarmente e scrupolosamente i nostri doveri di piccoli uomini, di uomini morali. In tal caso la vita diventa kantianamente dovere e il piacere deriverà, incontenibilmente gioioso, dal dovere compiuto; e appare essa realtà certa e confortante e il nostro destino chiaro, logico, naturale, e il ricordo del passato, sogno di beatitudine e di gloria. Il dubbio potrà sopravvenire soltanto in merito alla bontà o meno, al valore, al pregio delle nostre azioni, e quindi sulla validità ed efficacia di esse in relazione ai talenti di cui disponiamo, in quanto
ognuno è responsabile di sé « sulla base di ciò che è », principio di cui la legge dei tribunali deve tenere conto per essere veramente « uguale per tutti ». Dico dunque agli uomini di buona volontà: lasciamo gli insoddisfatti per carattere, gli increduli, i saccenti, i « bastian contrari » agitarsi nel loro mondo di contraddizioni, di paure, di sgomenti, di cecità e di irrisione; diamo anzi ad essi una mano fraterna per un aiuto a vedere e a credere; ma non lasciamoci distrarre dalle loro argomentazioni, arzigogolature o derisioni. Preghiamo invece affinché venga il giorno in cui la santa volontà del Signore sarà fatta in cielo e in terra; in quel giorno questo mondo della materia avrà fine, perché sarà cessata la ragione della sua esistenza e dell’« esilio » dell’uomo.
TAVOLA SCOLPITA DAL FR.’. B. C.