MASSONERIA E CULTURA

MASSONERIA E CULTURA


In un mondo di sconsiderati irragionevoli, quale è quello che oggi quotidianamente ci consuma, la massoneria è un ospite sgradito e comunque scomodo perché insegna a pensare. Fedeli a questa lezione, vogliamo dedicare la nostra odierna riflessione all’argomento prescelto perché, oltre ad essere intrigante, non risulta, almeno a quanto consta, oggetto di tutta quella considerazione che, invece, per certo merita. Sulla materia non esistono infatti studi specifici. Da qui la sua messa a tema. Domandiamoci allora in che rapporto si trovano i due termini che costituiscono il titolo di queste note. Reciproca indifferenza? Antitesi? Identità? O altro ancora? Prima ancora, secondo quanto impongono rigore e metodo, dobbiamo però chiederci cosa intendiamo, e per cultura, e per massoneria. Quando affrontiamo il tema della cultura, un dato balza subito evidente. La cultura non è un fatto omogeneo. Esiste infatti una pluralità di forme culturali che si distinguono fra di loro su diverse basi, ad esempio, territoriali (cultura popolare; contadina) o storiche (cultura primitiva). Queste distinzioni, com’è ovvio, sono però dettate unicamente da semplice comodità espositiva. Per attribuire alla nozione un senso compiuto, come insegnava Hegel, occorre allora recuperare un concetto unitario della cultura. Una volta postisi da quest’ultimo angolo prospettico, si deve riconoscere che esistono molte e ottime definizioni della cultura. Intendendo, però, offrire un contributo personale anche da quest’ ultimo profilo, con visione antropologica del fenomeno, ne azzardiamo una nostra. Secondo noi, la cultura può essere definita come quel complesso di tradizioni e di conoscenze, nei numerosi campi del sapere caratteristico di un popolo, che viene trasmesso da una generazione all’altra. Ogni popolo è infatti il creatore della propria cultura, oltre che il protagonista della propria storia. Pur restando rigorosamente ancorati ad una visione unitaria della cultura, non si può tuttavia tacere che, sotto l’unico paradigma, ribollono diverse culture che presentano fra loro conflitti talora pacifici, ma più spesso, invece, conflittuali, dal momento che un tipo di cultura può presentarsi come una messa in discussione pericolosa della integrità culturale di un’altra e perfino una autentica minaccia. Da qui la reazione volta all’assorbimento culturale, inteso per lo più come un processo di occidentalizzazione, destinato tuttavia all’insuccesso, soprattutto quando lo scontro avviene fra culture che sono espressione di diverse società particolarmente caratterizzate dal fenomeno religioso. Ancora una volta, l’etimo della parola giova poi a inquadrare e ad approfondire il concetto. Cultura deriva dal verbo latino colere = coltivare. L’espressione riferita al terreno significa coltivazione; correlata all’uomo, educazione e istruzione; al popolo, vale civiltà, esprimendo la cura assidua per conseguirla, pari a quella dell’agricoltore. La cultura è pertanto elevazione del singolo individuo al collettivo sociale. Ogni cultura è dinamica, perché ha capacità creativa che si annida in ogni popolo che affronta o cerca di rispondere alle diverse situazioni, interne o esterne, che gli riserba il divenire del tempo. Da questo profilo ogni essere umano è insieme figlio e padre della cultura in cui è immerso. La cultura presenta tre caratteristiche negative. Innanzi tutto, non fa parte del patrimonio genetico in quanto viene appresa dai singoli nell’ambito in cui si formano. In secondo luogo, non si colloca in una sfera metafisica perché è sempre espressione di un orientamento pratico di un determinato gruppo sociale. Da ultimo, perché non è mai una crescita di tipo organico e armonioso posto che si realizza invece attraverso lacerazioni successive. Rimane poi questione controversa se la cultura sia un fenomeno autonomo, posto che, a formarla, sono pur sempre – e soprattutto – le classi c. d. dominanti. In questo sia pur sintetico panorama va ricordato, infine, che non è mancato neppure chi ha prospettato la cultura come un fattore negativo, perché la stessa si realizzerebbe in modo precipuo attraverso la repressione delle pulsioni individuali dell’uomo. Così Freud in Totem e Tabù (1914) e nel Disagio della civiltà (1930) e, successivamente, pure Jung, che, nell’affrontare la vita, suggeriva di approcciare il cammino… senza bagagli. Tesi, quest’ultima, assolutamente minoritaria, considerato all’opposto che la cultura, intesa in senso antropologico, dal profilo collettivo, è un indubbio fattore di coesione sociale, mentre da quello soggettivo si configura come lo strumento che rende possibile ai singoli il raggiungimento degli scopi socialmente accettati. Va notato infine – e il rilievo è fondamentale – che, senza cultura, non c’è libertà. Quanto alla massoneria, è fenomeno così complesso e articolato che non è possibile imprigionarla in una definizione univocamente accettata. Per questo, gli studiosi preferiscono perimetrarla in senso negativo. Si insegna così che la massoneria non è una filosofia (perché la massoneria è anche una prassi etica individuale), né una scienza (perché non ha per oggetto un sapere unico), né una antropologia (perché è al servizio di ogni singolo uomo considerato nella sua irripetibilità), né un metodo (perché nella ricerca non impone una via obbligata). Su quest’ultimo punto, ci permettiamo di rinviare al nostro precedente scritto Sulla inesistenza del metodo massonico (comparso nel numero di Officinae del 17 ottobre 2017). In particolare, si sottolinea con fermezza che la massoneria non è una religione (perché non propone sacramenti, né ha dogmi, né ha una propria teologia, né ha la pretesa di condurre le anime alla salvezza post mortem, avendo invece come proprio scopo soprattutto – anche se non solo – la liberazione dalla ignoranza e dai vincoli della finitudine). Ciò posto del tutto correttamente, si deve tuttavia ugualmente riconoscere che la massoneria, in una sorta di ibridazione, finisce però per avere contatti con tutte le precedenti discipline. Ad esempio, con la filosofia (in quanto ricerca del Vero) e con la scienza (in quanto, nelle proprie investigazioni, si avvale pur sempre tanto del metodo deduttivo quanto di quello induttivo). In particolare, ha insopprimibili punti di tangenza con la religione, in quanto anche l’Arte Reale è ancorata al Sacro. Non è infatti sicuramente un caso che la squadra e il compasso siano collocati sul Libro. Per la verità storica si deve poi rammemorare che non sono poi neppure mancati studiosi che hanno tentato di definire la massoneria in positivo. A nostro sommesso, ma ponderato avviso, si tratta però di tentativi non riusciti. Così, quando si è definita la massoneria come una associazione filantropica, o una unione di uomini che ricercano il vero, che praticano la fratellanza e il reciproco aiuto, non si è colto sicuramente il segno perché nessuno di questi elementi (né la filantropia, né la ricerca del vero, né la fratellanza, né la solidarietà) è proprio ed esclusivo della massoneria che, invece, tutti li compendia. Ne deriva la non solo personale insoddisfazione di ancorare un fenomeno composito e complesso quale quello latomistico a concetti vaghi e imprecisi, per certo non caratterizzanti, senza dei quali il fenomeno non è, in presenza dei quali il fenomeno invece è. Si parva licet, ci permettiamo di sostenere che la massoneria è un’arte. Come tutte le arti, non tollera però le ristrettezze di alcuna definizione. Si dice poi Arte Reale perché, in quanto ortoprassi, trasmuta l’Essere in un Uomo vero e autentico, coinvolgendolo in una avventura spirituale che altro non è che un impasto fatto di studio, di riflessione, di immaginazione e fantasia che, unito alla quotidiana pratica di vita, rende a ciascuno unico esclusivo e irripetibile il proprio accidentato cammino. Definiti a questa stregua i due lemmi del problema, rimane ora da affrontare il tema – delicato e complesso – della natura della relazione che intercorre fra cultura e massoneria. Alla luce dei risultati ai quali si è in precedenza pervenuti, risulta fin troppo ovvio che le due nozioni non sono fra di loro antitetiche, perché palesemente non risultano in conflitto. La soluzione del problema sollevato va dunque ricercata altrove. Avuto riguardo alla sede alla quale vengono destinate queste note, non è certo possibile svolgere il tema, e tutte le sue complesse implicazioni, con ogni necessario respiro. Ci limitiamo pertanto a proporre un semplice abbozzo del nostro pensiero, tale comunque da lasciare intravedere una risposta al quesito sollevato, quanto meno soggettivamente appagante. Questi i passaggi attraverso i quali si dipana l’argomentazione. La cultura deve essere – e rimanere – libera. Ogni censura, anche la più debole e sfumata, va combattuta con determinazione, occorrendo pure con ferocia. Il massone attinge alla cultura profana. Se ne alimenta, perché con i suoi molteplici apporti, e segnatamente con le suggestive rappresentazioni del mondo che la stessa via via propone, diventa un imprescindibile momento di confronto e di crescita che all’iniziato rende più facile la propria questua. Si potrebbe così ipotizzare una relazione funzionale nel senso di servizio dell’una (cultura) a vantaggio e beneficio dell’altra (massoneria); fermo restando, tuttavia, il profondo mutamento di significato che assume la cultura sia nel mondo profano che nel mondo latomistico. Infatti, mentre nel primo persegue e di norma realizza pure il successo mondano, la cultura in massoneria obbedisce invece ad un altro e ben più alto scopo, quale è quello del compimento, in capo all’iniziato, della sua più completa umanità, e ciò fino all’ultima vocale che conchiude la parola. La cultura si configura dunque come il fondamento stesso sul quale si regge la massoneria. Del re-sto, è noto che non esiste un autentico massone che non sia, nel contempo, anche un essere umano molto acculturato. Rimane comunque incontestabile – la circostanza va ribadita – che l’uso della cultura in massoneria è diverso da quello che la cultura assolve nella comunità. Le due finalità, infatti, sono e rimangono differenti. Quanto dire che il cammino iniziatico richiede un salto qualitativo perché alla cultura richiede uno scopo differente, quale è quello di rendere l’Uomo sempre più consapevole, sempre più autentico, sempre più umano. Per dirla, conclusivamente, in termini diversi, ma sostanzialmente uguali a quanto fin qui sostenuto, alla massoneria non può essere assegnata la cultura propria di ciascun singolo sapere (filosofica, scientifica, ecc.), per definizione unilaterale, in quanto circoscritta all’ambito in cui si forma. Altrimenti, assisteremmo ad una cultura superflua in quanto inutile doppione. Dunque, se, come la logica suggerisce, ha un senso parlare di cultura in massoneria, bisogna riconoscere alla massoneria una sua cultura specifica, per definizione totalizzante, volta com’è a sviluppare la nascosta umanità in chi la pratica e la vive, recupero della sua essenza più profonda, osservanza del suo destino più autentico. Esito dell’uomo inteso come progetto e come compito nato dalla libertà.

TAVOLA SCOLPITA DAL FR.’. ANTONIO BINNI

DALLA RIVISTA “OFFICINAE”

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