Colpiti e divorati dagli squali: l’orribile fine di 651 italiani
Silurati e condannati alle onde a causa dell'”ordine Laconia”, i prigionieri di guerra italiani vennero divorati dagli squali. Si stima che almeno un quarto di loro finì nelle fauci dei temibili pinna bianca
C’è una ragione precisa se Jacques Cousteau ha definito lo squalo longimano come “il più pericoloso di tutti gli squali”, ed è il terribile destino che ha raggiunto nelle acque del Sud Africa quasi 800 prigionieri di guerra italiani, che, come i ben più noti marinai della Uss Indianapolis, rimasero alla mercé degli squali dalla pinna bianca per ben due giorni. Seicentocinquantuno perderanno la vita, molti di loro vennero divorati davanti agli occhi dei superstiti, che nel mortale gioco combinato da guerra e natura, assistettero inermi al banchetto tra le urla strazianti dei vecchi compagni in armi.Quando il 28 novembre del 1942, il comandante del sommergibile tedesco U-117 inquadra nella croce di collimazione del periscopio l’unità nemica, a bordo del RMS Nova Scotia, piroscafo di seimila tonnellate di stazza requisito dal Ministero dei Trasporti di Guerra all’inizio del conflitto per essere convertito in trasporto truppe, ci sono 1052 anime. Nessuno a bordo del sommergibile poteva immaginare, però, che quasi 800 di loro erano “alleati”. Prigionieri di guerra italiani, reduci dalla campagna perduta nell’Africa Orientale. Imbarcati forzatamente al porto di Massaua, in Eritrea, per essere internati nei campi di prigionia sudafricani.Alle 7:07 del mattino, quando il Nova Scotia è quasi in prossimità della sua meta, viene raggiunto da tre siluri lanciati dall’U-Boot tedesco che centrano lo scafo e lo lasciano affondare in appena dieci minuti. I sopravvissuti lasciano la nave in fiamme sulle lance di salvataggio disponibili, ma sono più che altro membri dell’equipaggio della Marina mercantile britannica e soldati dell’esercito sudafricano. I prigionieri italiani, liberati per mettersi in salvo, dovranno accontentarsi di arrancare tra e onde, aggrappati ai salvagenti e ai pochi oggetti galleggianti che il relitto non porta con se nelle profondità degli abissi. L’U-Boot, riemerso dopo la sua caccia, non può fare altro che accorgersi del danno inflitto e di lanciare un SOS alle marine neutrali per trarre in salvo i superstiti. Restare lì significherebbe l’affondamento o la cattura da parte degli inglesi. Un increscioso incidente avvenuto quello stesso anno di guerra ne ha dato prova.
Il precedente del Laconia
A bordo di un sommergibile non c’è spazio per accogliere superstiti e nella flotta del Reich era ormai ben noto l’incidente del Laconiae il relativo “Triton null”: l’ordine emesso dall’ammiraglio Dönitz in seguito ai fatti. Dopo il siluramento del Laconia, unità per il trasporto truppe analoga al Nova Scotia, tre sommergibili tedeschi conversero nel settore interessato per trarre in salvo i superstiti – anche in quel caso vi erano numerosi italiani – ma vennero bombardati dall’aviazione britannica nonostante i numerosi messaggi inviati, la presenza di croci rosse sui ponti. In seguito a questo incidente il vertice della Marina tedesca ordinò ai comandanti di U-Boot di “non prestare soccorso ai naufraghi delle navi affondate“, per non rischiare di perdere unità da guerra impreparate a combattere.
I prigionieri del Nova Scotia abbandonati alle onde
In virtù dell’ordine impartito dall’alto comando della Kriegsmarine, il capitano del sommergibile Robert Gysae ritirò l’U-177 dall’area dopo aver tratto in salvo solo due ufficiali, e aver trasmesso al Befehlshaber der U-Boot (BdU) le coordinate dei superstiti. Proseguendo il suo pattugliamento nell’Oceano Indiano.La richiesta di soccorso venne trasmessa al Portogallo, che inviò la fregata NRP Afonso de Albuquerque, schierata nelle acque di Lourenço Marques, nel vicino Mozambico portoghese. I superstiti, sarebbero rimasti in balia delle onde, ma soprattutto degli squali che giù nelle prime ore, iniziarono a mietere vittime. Silenziosi e letali, gli squali longimano, lunghi tra i tre e quattro metri, con una stazza di oltre 250 chilogrammi, iniziarono ad attaccare i naufraghi facendone strage. Quando la fregata inviata dai portoghesi raggiunse le coordinate, alle 5:45 del 30 novembre, erano solo 181 i sopravvissuti. Secondo le testimonianze, almeno un quarto di loro venne sbranato dagli squali. L’Italia piangeva 651 uomini. A ricordo dei sopravvissuti del Nova Scotia venne eretto dei pochi superstiti, alcuni dei quali stabilitisi in Mozambico dopo essere stati sbarcati e curati, un monumento alla memoria visibile presso il cimitero di Asmara. Una stele commemorativa venne eretta anche a Durban, la meta della salvezza che quei prigionieri sfortunati non raggiunsero mai.
ARTICOLO SEGNALATO DAL FR.’. A. F.