RIFLESSIONI SU ALCUNI SIMBOLI

RIFLESSIONI SU ALCUNI SIMBOLI

VEGETALI NEL SECONDO GRADO DELLA LIBERA MURATORIA

di Marcello Mura

I Misteri occulti della Natura e della Scienza sono i particolari oggetti di ricerca del Grado di Compagno di Mestiere, anticamente il Grado della completezza, oggi colpevolmente relegato al livello di un momento di Passaggio tra l’Apprendistato e la Maestria.

Questa definizione deriva da un’epoca in cui l’intellettuale era tale in quanto studioso a 360 gradi: scienziato, letterato, esoterista, religioso. Mediante lo studio e la costante applicazione esso riusciva a intuire e cogliere la dimensione del Sacro.

Pensiamo ad esempio a John Dee (1527-1609), matematico, astronomo, mago; a Elias Ashomle (1617-92), archeologo e alchimista; a Sir Isaac Newton (1642-1727), fisico, astronomo, teologo e alchimista.

Le allegorie della Libera Muratoria alludono al simbolismo del mestiere dei costruttori ed al regno minerale, ma nel Secondo Grado ritroviamo significative allusioni a quello vegetale. E questo un peculiare sistema di moralità velato da allegorie e illustrato da simboli, che si ispira in particolar modo alla cultura ed alla civiltà ebraica.

Da essa la Libera Muratoria non può prescindere: deriva parole, simboli, misteri, la sua sacralità e le sue leggende da un contesto biblico: vi ritroviamo frequenti riferimenti al regno vegetale.

Storicamente la attività umane più antiche sono la caccia e la raccolta, mentre sul piano allegorico lo sono invece l’agricoltura e la pastorizia; ne parla il racconto biblico relativamente alle mansioni di Adamo e successivamente quello di Caino e Abele. La Seconda Sezione della Seconda Lezione Emulation ci insegna: «La Terra era ancora irregolare e incolta: D*o pronuncio la parola ed essa fu subito coperta da un meraviglioso manto di erba, utile all’alimentazione delle forme primordiali; seguirono erbe, piante, fiori, arbusti ed alberi di tutti i generi, che crebbero fino a completa maturazione e perfezione». Nella Genesi si narra che il Signore piantò il Giardino e coltivo alberi da frutto belli da vedere e buoni da mangiare, poi prese l’uomo e lo colloco nell’Eden a coltivarlo e custodirlo senza fatica.

L’allegoria insegna che il genere umano doveva lavorare fisicamente nel compito ecologico di conservare l’ambiente, e moralmente con quello di coltivare e custodire le virtù etiche e spirituali.

La Torah e antropocentrica, pone l’Uomo al centro della creazione: viene posto nel Giardino per coltivarlo, custodirlo e farlo fiorire, non è il despota che opprime e opera violenza sulle creature.

Il Santo Benedetto consenti e comando agli esseri umani di mangiare di tutti gli alberi salvo di quello della Conoscenza del Bene e del Male e di quello della Vita: sono i Mitzvot, i Precetti del fare e i Precetti del non trasgredire: nel Servizio Divino (Avodat Hashem) e necessario fare certe cose e proibito farne altre.

Non si voleva che l’Uomo fosse individuo ottuso privato del discernimento morale, ma anzi che gli fossero concesse molteplici possibilità e maggiori dignità: senza limiti non c’è libertà di scelta né libero arbitrio. Questi Precetti ammoniscono l’Uomo affinché rinunci all’arroganza di crearsi ambiziosamente da sé il Bene e il Male. Una velleità impropria e ingenua: non essendo Creatore e privo della competenza di farlo, non può pretendere di ottenere la conoscenza spirituale da un frutto materiale, da un idolo.

L’idolatria e necessariamente avversata e stigmatizzata dagli estensori del Volume della Legge Sacra, perché sterile e non feconda, inadeguata, non coerente, conseguentemente portatrice di catastrofe.

Adam non doveva mangiare di quegli alberi, poiché nel giorno in cui lo avesse fatto, sarebbe decaduto da uno stato di Grazia, e sarebbe diventato mortale. Certamente sarebbe morto.

L’albero proibito non e il melo né il frutto la mela; questa e una interpretazione derivante da una eredita letteraria latina che gioca con l’assonanza tra melo (malus) e male (malum); e stata cosi immaginata una sua rappresentazione fisica, oltre che allegorica, e secondo una lettura rabbinica potrebbero essere addirittura individuati quattro alberi.

Il fico, con le cui foglie i nostri antichi genitori coprirono le nudità: rappresenta la carnalità. La vite: l’alcol e i vizi. Il cedro: il culto della bellezza, l’estetica, il narcisismo. Il grano: l’ingordigia, passione per la ricchezza, il denaro, l’ambizione.

La caduta, consistente proprio nel trasgredire e sovvertire le regole infallibili per il tramite di quelle fallibili, viene qui spiegata attraverso il simbolismo vegetale.

Dopo la caduta, Ish (uomo) e Isha (donna), Adam, Hawa devono fare fronte a una terra improvvisamente divenuta infertile e ostile; devono cosi sviluppare necessariamente due arti primordiali: coltivare e costruire; in una dimensione storica ed in quella allegorica sembra delinearsi davvero il regno vegetale come fondante per l’Uomo.

Scorgiamo pertanto due antiche arti primordiali: la coltivazione e la costruzione.

La prima perché il suolo produceva ora con fatica e sudore solo cardi e spine, la seconda per fare fronte alle intemperie e per ripararsi da esse.

Per inciso, appare ovvio che l’edificazione avvenne dapprima con tronchi di legno e frasche e solo successivamente con la pietra; per questo il Grande Architetto potrebbe a buon conto essere definito il Grande Artigiano, e per questo il padre terreno del Cristo non poteva che essere un falegname, artigiano, maestro dell’arte del legno.

Il legno viene dall’albero; questa immagine ritorna in tanti simbolismi: l’Albero Cosmico rappresenta l’asse che congiunge tra loro i poli, ed il cielo e la terra, e nelle nostre Officine la Scala e il Filo a Piombo.

C’è un Libro del Volume della Legge Sacra che parla ancora una volta di premi e punizioni, lealtà e tradimento, delitto e castigo, ed e sottilmente allusivo al simbolismo vegetale.

E il Libro dei Giudici, che narra dell’epoca turbolenta che segui all’Esodo dall’Egitto ed all’insediamento degli Israeliti nella Terra Promessa; storie violente di tumulti, assalti ricevuti e guerre mosse contro gli idolatri oppressori, al fine di affrancarsi dall’oppressione dell’idolatria e cioè dalla schiavitù del peccato, per il tramite dei Giudici e Governatori, scelti dall’Altissimo per governare le Tribù e condurle alla liberazione.

Si riferisce all’epoca compresa tra la morte di Giosue e l’ascesa di Saul, e il declino dell’età mosaica e l’inizio dell’età di Davide e dei Re.

Spesso capitava che, per la loro inevitabile fragilità, gli Israeliti perdessero la costanza e la Fede, e facessero ciò   che è male agli occhi del Signore; caduti ancora una volta nella schiavitù morale, dovevano iniziare un nuovo percorso doloroso, accidentato, travagliato verso la salvezza.

Sono storie liminari che alludono alla soglia di passaggio morale tra infanzia ed età adulta attraverso la conflittuale linea di confine della pubertà e dell’adolescenza: narrazioni di passioni e di conflitti morali e materiali col nemico esterno e quello interno; raccontano di adesione ai precetti e trasgressione, alleanze e tradimenti, premi per gli onesti ed i meritevoli, sconfitte e punizioni per i traditori. C’è sempre una prospettiva duale in queste narrazioni, perché la vita è sempre complicata, tumultuosa, l’errore immancabile perché connaturato alla dimensione umana e la pietra d’inciampo sempre vicina al nostro passo. E’ questa la suggestione evocata dal racconto biblico espresso nella Tavola di Tracciamento del Secondo Grado. Si narra che i popoli di Moab, degli Ammoniti, di Kades, di Edom, degli Amorrei e di Chesbon avessero mosso guerra agli Israeliti in uscita dall’Egitto, rimanendo sconfitti e perdendo il dominio di quelle terre fino al Giordano, ove Israele si era quindi stanziato; qualche tempo dopo, gli Ammoniti mossero guerra ad Israele con l’intento di riconquistarle.

Cosi gli anziani Galaaditi andarono da Gefta, un potente guerriero, e lo pregarono di essere loro condottiero, suscitando tuttavia le sue perplessità e, nel contempo, stimolando la sua ambizione.

«Non siete forse voi quelli che mi avete odiato e scacciato dalla casa di mio padre? Perché venite da me ora che siete nell’angoscia?».

Gefta (o Iefte) era infatti il figlio illegittimo di Galaad e di una prostituta, che venne emarginato da bambino e cacciato dai fratellastri, perdendo diritto alla sua parte di eredità; si era ritirato nella terra di Tob, raccogliendo attorno a sé sfaccendati e briganti, con cui si dedicava a compiere scorrerie. Risposero: «Proprio per questo ora ci rivolgiamo a te: verrai con noi, combatterai contro gli Ammoniti e sarai il capo di noi

tutti abitanti di Galaad».

Una volta incaricato, ebbe cosi l’opportunità di vendicarsi; da buon stratega, invio messaggeri al nemico ma a nulla valsero i tentativi di dialogo: il re degli Ammoniti non ascolto le sue parole e nel conflitto rimase sconfitto e umiliato, grazie anche all’aiuto dello Spirito del Signore. Prima di recarsi in battaglia, il condottiero aveva fatto un voto

al Signore, un voto dettato dalla brama; un voto immotivato, non necessario, quasi superstizioso e pertanto idolatrico: «Se tu consegni nelle mie mani gli Ammoniti, chiunque uscirà per primo dalle porte di casa mia per venirmi incontro, quando tornerò vittorioso dagli Ammoniti, sarà per il Signore e io lo offrirò in olocausto». Sono invocazioni enoteiste, quasi volte a divinità locali, più che al D*o unico e universale.

Tornato vittorioso dalla guerra Ammonitica, vide uscirgli incontro la figlia, con tamburelli e danze. Era l’unica figlia. Appena la vide, si straccio le vesti e disse: «Figlia mia, tu mi hai rovinato! Anche tu sei con quelli che mi hanno reso infelice! Io ho dato la mia parola al Signore e non posso ritirarmi».

Egli compi su di lei il voto che aveva fatto, e la sacrificò. Gefta fu vittorioso come soldato, sconfitto come padre; stratega da un lato, impulsivo e sconsiderato dall’altro; credente ma anche empio e superstizioso, perché cercando di lusingare la connivenza del divino mediante un sacrificio umano, divenne idolatra quanto i pagani Ammoniti. Sta scritto infatti: «Non imparerai a commettere gli abomini delle nazioni che vi abitano. Non si trovi in mezzo a te chi immola, facendoli passare per il fuoco, il suo figlio o la sua figlia, né chi esercita la divinazione o il sortilegio o l’augurio o la magia. (…) Tu sarai irreprensibile (…)». Sono parole del Deuteronomio.

Gefta soffri come figlio, e sua figlia fece soffrire senza motivo, ma non fece alcuna autocritica, rimproverando paradossalmente lei stessa: «tu mi hai rovinato».

Ricorda l’Uomo nell’Eden, che in modo analogo si deresponsabilizza: «La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». Questo richiamo alla continua oscillazione tra due estremità e due valori opposti, ricorda strettamente il dualismo espresso dal tappeto o pavimento a scacchi.

Ma proseguiamo nella nostra analisi. La parola di Passo che conduce dal Primo al Secondo Grado, e Sh…th, che significa spiga di grano ma anche torrente d’acqua; essa denota abbondanza, ed e normalmente rappresentata nelle nostre Logge con una spiga di grano accanto ad una cascata d’acqua. La spiga: vita e ricchezza; l’acqua: elemento vivificante per eccellenza. Significheranno il premio per gli onesti e la punizione per gli abietti.

La parola Sh…th trae le sue origini dai tempi in cui un esercito di Efraimiti si radunò, passo il fiume Giordano, con atteggiamento ostile nei confronti dei Gefta, dicendo: «Perché sei andato a combattere contro gli Ammoniti e non ci hai chiamati con te? Noi bruceremo te e la tua casa».

La ragione addotta per tale ostilità da parte degli Efraimiti era che essi non erano stati chiamati a prendere parte agli onori ed al bottino della guerra Ammonitica. Gli Efraimiti erano sempre stati considerati gente rumorosa e turbolenta, violenta. Gefta dal canto suo, tento ogni mezzo pacifico per parlamentare e placarli: «Io e il mio popolo abbiamo avuto grandi lotte con gli Ammoniti; quando vi ho chiamati in aiuto, non siete venuti a liberarmi dalle loro mani. Vedendo che voi non venivate in mio aiuto, ho esposto al pericolo la vita, ho marciato contro gli Ammoniti e il Signore me li ha messi nelle mani. Perché dunque siete venuti oggi contro di me a muovermi guerra?».

Rivelatosi ogni tentativo inutile, fece ricorso a metodi più drastici; radunati tutti gli uomini, diede battaglia ad Efraim, li sconfisse e li mise in fuga. Allo scopo di rendere la sua vittoria definitiva e di tutelarsi da simili attacchi in futuro, invio alcuni distaccamenti del suo esercito a presidiare i passaggi attraverso il fiume Giordano, ove i ribelli dovevano necessariamente passare per riguadagnare le loro terre.

I Galaaditi intercettarono gli Efraimiti presso i guadi.

Quando uno dei fuggiaschi diceva: «Lasciatemi passare», gli uomini di Galaad gli chiedevano: «Sei un Efraimita?». Se quegli rispondeva: «No», i Galaaditi lo avrebbero messo alla prova con una parola; gli dicevano: «Ebbene, di’ Shi…th», e quegli diceva Si…th, non sapendo pronunciare bene a causa di un difetto tipico della pronuncia del loro dialetto.

Allora lo afferravano e lo uccidevano presso i guadi del Giordano. In quella occasione perirono quarantaduemila uomini di Efraim.

Gefta fu giudice d’Israele per sei anni, poi morì e fu sepolto nella sua città; la sua storia e dolorosa, perché non esiste liberazione senza fatica, impegno, dolore, lealtà. Non esiste maturazione e perfezionamento senza fatica, e senza lealtà.

«Poiché Shi…th venne allora usata quale parola d’esame per riconoscere l’amico dal nemico, Re Salomone comandò che essa venisse adottata come Parola di Passo in una loggia di Compagni di Mestiere, per evitare che una qualsiasi persona non qualificata potesse salire la scala curva, che conduce alla camera di mezzo del Tempio, dove i Compagni Di Mestiere ricevevano il loro salario in preziose spezie, cosa che facevano

senza scrupolo o diffidenza.

Senza scrupolo, ben sapendo di averne il giusto diritto, e senza diffidenza, per la grande fiducia che essi riponevano nella probità dei loro datori di lavoro di quel tempo».

Il Rituale Antient York nel Secondo Grado conferma questi valori ribadendo altri importanti simboli, frutti di un’agricoltura sacra: il salario per il Compagno Di Mestiere e il granoturco per il nutrimento, il vino per il ristoro, l’olio per la gioia. Si fa spesso menzione all’allegoria del melograno, ma esso cresce spontaneamente, mentre il grano e frutto di un lungo lavoro che parte dal chicco disperso in una terra feconda (l’Apprendista Ammesso) che ha le potenzialità latenti di elevarsi verso l’Alto grazie anche all’acqua: promessa di una ricca messe futura, invariabilmente in comunione con le altre spighe del campo. Dice Yeshua Ben Youssef nel Vangelo di Giovanni: «se il chicco

di grano caduto in terra non muore, rimane solo, se muore produce frutto». E il ciclo nascita-morte-rinascita, ma di questa dimensione mistica si potrà parlare in altra sede. Questo antico Grado suggerisce tante altre metafore legate ai prodotti della terra, ma lo spazio e tiranno, e si rischia di divagare troppo.

La nostra lunga e travagliata riflessione viene riassunta dagli Attrezzi da Lavoro del Compagno di Mestiere Libero Muratore: la squadra ci insegna la morale; la livella l’uguaglianza; il filo a piombo la giustizia e la rettitudine nella vita e nelle nostre azioni.

La raccomandazione della La Terza Sezione della Seconda Lezione del rituale Emulation, infine, insegna: «Possano l’Abbondanza, la Pace e l’Unanimità regnare per sempre tra i Compagni Di Mestiere». «Tu sarai irreprensibile (…)»; ce ne dovremo ricordare se ci sarà concesso di accedere a Camere Superiori, ma anche e soprattutto nella vita di tutti i giorni.

TRATTO DA “HIRAM” 2/2020

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