MODESTO ELOGIO DELLA DOTTA IGNORANZA

MODESTO ELOGIO  DELLA DOTTA IGNORANZA

Giovanni Greco

Oggi noi siamo sempre più, per usare le espressioni del  G.M. Stefano Bisi, costruttori  di una cittadinanza pluriculturale, con l’opportunità di realizzare compiutamente la nostra umanità anche nello spazio posseduto dalla grande eredità dantesca e perciò desidero agganciarmi ad un aspetto, a un segmento marginale, al concetto di ignoranza espresso da Dante: “Non men che saper, dubbiar mi aggrada”. Non casualmente nel settimo canto dell’inferno, si legge: “Oh creature sciocche, quanta ignoranza è quella che v’offende”.

Del resto Socrate sosteneva che, “il male del mondo è l’ignoranza”, e professava sempre la sua ignoranza, il sapere di non sapere era per lui il fondamento di qualunque conoscenza, ma c’è ignoranza e ignoranza. C’è l’ignoranza della scuola pitagorica, l’uomo immerso nell’oscurità, c’è l’ignoranza nel buddhismo che rappresenta un velo che va eliminato per determinare la nascita o la rinascita del percorso di un uomo. C’è l’ignoranza di quelli che non capiscono, ma non capiscono con grande competenza.

C’è l’ignoranza incolta, l’ignoranza di chi rifiuta di capire, di chi ritiene quasi tutto inutile e superfluo, l’ignoranza intrisa di stupidità. Senza dimenticare che lo sciocco sapiente è più sciocco di uno sciocco ignorante.

C’è l’ignoranza di chi pensa di sapere e di capire ogni cosa, più e meglio degli altri, di chi ritiene di sapere tutto, ma quello è tutto ciò che sa. Quanti sono quelli che hanno un gran talento nell’ignorare le cose, risultando di una ignoranza enciclopedica?

D’altronde non è casuale che la differenza fra genialità e ignoranza risiede nel fatto che la genialità ha dei limiti.

C’è l’ignoranza dei contadini – fare i contadini non è mai stata una scelta … terra terra – malgrado le sofferenze e le avversità, e anticamente le devastazioni e le guerre, stoici, saggi e imperturbabili, spesso capaci di nascondere la profondità in superficie. Contadini che hanno fatto sacrifici immani per far studiare al meglio i loro figli, auspicando per loro una vita migliore e un riscatto sociale per la famiglia. Pensieri e azioni che nascono dalle asperità dell’esistenza e dalla sua faticosa e coraggiosa quotidianità. Del resto quando Montale parlava degli analfabeti, diceva: “Dagli analfabeti c’è sempre da imparare. Possiedono alcuni concetti fondamentali, quelli che contano. Purtroppo pare che siano rimasti in pochi”.

C’è l’ignoranza dell’adulatore che conosce solo l’arte di dire a una persona ciò che pensa di sé. C’è l’ignoranza di chi non riesce a farsi capire, a far cogliere il suo animo e i suoi intendimenti.

Del resto non siamo proprio noi a nascere senza saper parlare e, a volte, a morire senza aver saputo dire? (Pessoa).

C’è l’ignoranza di chi ammira le altrui capacità, sa coglierle e valorizzarle, ha animo e acume, ma compie ogni sorta di  errori di grammatica (compresi alcuni studenti italiani che portano l’italiano come lingua straniera).

C’è l’ignoranza dell’asino, percepito in senso traslato come un analfabeta, la cui asinità è stata esaltata da Giordano Bruno, la santa stolticia, la pia divozione, la fede contrapposta alla scienza, l’involucro disadorno della verità, la materia grezza.

L’asino rappresenta egregiamente il senso del dubbio, l’umiltà del dubbio, non la vanità del dubbio. Nell’alveo della sua struggente solitudine, l’asino mi appare come un camminatore imperterrito tra gli sterpi del pensiero facendo udire distintamente il rumore insistente di un passo dietro l’altro.

C’è l’ignoranza di non pochi insegnanti, o presunti tali. Alcuni sono dei veri e propri artisti d’avanspettacolo, conoscendo l’arte d’insegnare ciò che non sanno. E’ difficile che un ignorante non cerchi d’insegnare qualcosa. Ma non disperatevi, in compenso nessuno è meno ricettivo di certi insegnanti: è proprio inutile insegnare a un insegnante! La massoneria è ricca di fratelli colti che sono qui per imparare, ma Ì non mancano fratelli ignoranti che sono qui per insegnare.

Alla Columbia di New York vi è un corso sull’ignoranza tenuto dal prof. di neuroscienze, Stuart Firestein, direttore del dipartimento di biologia. Non mi è però ancora chiaro quale è per gli studenti l’esito più funzionale al corso, prendere 18 o 30, essere promossi o bocciati: l’ignoranza a volte può essere ignorata dall’ignorante. C’è poi la dotta ignoranza, di montaignana memoria, quella che ha attraversato tanti saperi e si è resa conto che erano solo parziali. Montaigne: “l’ignoranza è il tratto che più mi caratterizza”.

Questa formula venne utilizzata per la prima volta da sant’Agostino e poi dopo da san Bonaventura, dotta ignoranza, al di sopra e al di là “di ogni più completo conoscere umano”. Dotta ignoranza nel dibattito della Scolastica, che trovò un superamento nello spirito di Nicola da Cusa, capace di concepire una sintesi fra lo spirito umano e quello divino. Per Cusano vi è un continuo progresso della conoscenza e l’esaltazione della potenza della mente, che si traduce nell’ossimoro, cioè in due termini che fungono da opposizione l’uno dell’altro, dotta/ignoranza. Una persona investita di una dotta ignoranza dovrebbe cercare di realizzare una  sorta di “mescolato” sapienziale nel quale incastonare la propria esperienza personale e dovrebbe sapere quasi tutto di un qualcosa e qualcosa di tutto, e dopo aver riscaldato e illuminato, saper tramontare.

Dotta ignoranza per pensare, per vivere, per scrivere. E’ la dotta ignoranza che consente di scoprire gli abitatori del tempo, ma un individuo alla volta, la dotta ignoranza, anteriore alle parole, svolazzante e libera.

Nella nostra vita credo che ogni persona ha attraversato vari aspetti che concernono l’ignoranza, ma se le tappe intermedie sono incerte, il punto d’arrivo per un massone è uno solo, chiaro, inequivocabile, la dotta ignoranza. La dotta ignoranza al centro della vita massonica, la vita massonica al centro della dotta ignoranza, scudo contro l’arroganza e la superbia, è un inno all’umiltà che è quella cosa che quando la si ha, si crede di non averla. Perciò quando scorgo la dotta ignoranza, l’accolgo a braccia aperte, e l’accarezzo ogni volta che la trovo, non importa in quali mani sia. Sono certo che essa è in grado di interpellare l’operosità e la coscienza di altri uomini lasciandosi attraversare e dischiudendosi ad una dimensione multipla di relazioni. La dotta ignoranza abitua alla complessità, all’argomentazione, al dubbio, è in grado di contrastare l’analfabetismo riduzionista, il qualunquismo appagato, è un omaggio alla speranza, è uno dei nomi dell’intelligenza. Per chi si fonda sulle sottigliezze della mente e sulle intuizioni del cuore, la dotta ignoranza è un punto di arrivo e di partenza unitamente alla buona fede e alla dignità. Il nostro mondo si forgia non mediante una neutra teoria dell’essere, ma attraverso la compenetrazione profonda di volti, (“lo viso mostra lo color del core”, Dante) volti da guardare, volti da  volti da accarezzare. Esattamente ciò che a volte accade fra noi.

HIRAM 1/2016

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