Hiram 2/2018 web
Massoneria e
qualificazioni iniziatiche
Raffaele K. Salinari
L’argomento che proponiamo in questo brevissimo studio è, apparentemente, tra i più classici e documentati della tradizione massonica, e non solo: le qualificazioni iniziatiche. Eppure, come spesso accade, forse queste fondamentali condizioni per l’ammissione al percorso libero muratorio, riassunte nella nota formula rituale «libero e di buoni costumi», rischiano, se non richiamate nella loro centralità originaria alla luce del presente, di apparire appannate dallo spirito dei tempi, come fossero un semplice formalismo, se non addirittura un anacronismo; questo darebbe un esito infausto, non solo per il singolo che deve possederle per essere iniziato fattivamente, ma per tutta l’Istituzione di cui entra a far parte. Già la verifica di una vera e propria precondizione formata dal binomio «libertà e buoni costumi» del bussante, significa assumere che il soggetto persegue nel mondo profano uno stile di vita che, indipendentemente dall’entrata in Massoneria, esprime delle potenzialità positivamente evolutive. Considerando che la libertà è una delle componenti del Trinomio e che i buoni costumi indicano moralità, e dunque la formula rituale si configura come una vera e propria verifica di predisposizioni necessarie, ma non sufficienti. un comportamento aperto all’egualitarismo ed alla fratellanza.
Per questo, una riflessione sulla ragion d’essere delle qualificazioni iniziatiche stricto sensu appare dunque opportuna, come pure sull’altra questione, strettamente correlata, cioè quella della verifica di tali qualificazioni, non meno importante per la scelta dell’ammissibilità o meno del bussante. Nello specifico della nostra Comunione Universale tutto ciò avviene notoriamente attraverso le «tegolature», che servono appunto a tale scopo. Ora, senza la minima pretesa di essere esaustivi, ma solo per richiamare gli elementi fondamentali della prospettiva tradizionale entro cui situare le conclusioni che proporremo in merito ad un argomento così evocativo, cerchiamo di riassumere schematicamente le ascendenze storico dottrinali di questo aspetto iniziatico.
L’iniziazione
Come ogni Libero Muratore sa bene, i procedimenti fondamentali dei riti iniziatici, cioè i dispositivi attraverso i quali ha luogo la morte dell’uomo vecchio, del profano, e si accede alla rinascita di quello nuovo, il neofita, sono da sempre simili in ogni tempo ed in ogni cultura, essendo la catena di trasmissione dell’influsso spirituale derivante della Tradizione, per definizione permanente ed immutabile. Lo scopo del cammino iniziatico è, come ci ricorda Renè Guénon nei suoi Studi sulla Massoneria, quello di «sviluppare pienamente le possibilità propriamente inerenti allo stato umano».
In questo senso l’avventura iniziatica è classicamente paragonata ad una rammemorazione, vale a dire ad un ritorno verso quel Centro, non alterabile e primordiale, preesistente alla manifestazione ed immutabile, raggiunto il quale ogni individuo è in grado di partecipare all’Onniscienza del Principio spirituale immanente, che rappresenta, di fatto, il punto di scaturigine e, al tempo stesso, la meta di ogni percorso tradizionale. I Liberi Muratori lo trovano, riassunto in acronimo, quando vengono ammessi nel Gabinetto di Riflessione e lo sguardo del recipiendario, un poco sperduto e timoroso, si poggia sulla scritta V.I.T.R.I.O.L.: la nota formula, mutuata dai testi ermetici del XVI secolo, che epitomizza magistralmente sia il metodo della ricerca, sia il suo fine.
Anche l’adepto Dante, il Fedele d’Amore che costella la Commedia di rimandi esoterici posti «sotto il velame de li versi strani», interpretabili solo da coloro che hanno «li intelletti sani», cioè gli iniziati, muove il suo cammino di liberazione ascensionale, verso il Principio, avendo smarrito quella «retta via» che il viaggio attraverso le varie regioni dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso, servirà appunto a rettificare, per ritrovare, alla fine, il ricongiungimento con l’Origine. Squadrare la pietra, utilizzare in maniera rituale e simbolica, speculativa, gli stessi strumenti ereditati dai Liberi Muratori operativi, è invece la nostra modalità per arrivare al Lapis.
Ma, in ogni caso, e qui sta la caratteristica che distingue lo studio esoterico da quelli essoterici, non tutti gli individui possono divenire degli iniziati: sono necessarie, infatti, proprio quelle qualificazioni che li rendono potenzialmente tali, e che vanno dunque preventivamente verificate. In altre parole l’iniziato appartiene ad una élite. E, per essere chiari, qui naturalmente stiamo coerentemente applicando questo concetto al percorso esoterico, per cui esso non ha nulla a che vedere con le definizioni, sul piano profano, che lo mettono in contrapposizione all’egualitarismo o, peggio, configurano una casta a difesa dei propri privilegi. Al contrario, lo spirito di servizio che contraddistingue la Libera Muratoria, ne chiarisce il senso autentico. E allora, se le vie per accedere ai penetralia condividono da sempre un’essenza comune, questo vale anche per le qualificazioni iniziatiche.
A questo proposito Ananada K. Coomaraswamy, nel suo La tenebra divina, cita Firmico Materno che, trattando l’argomento, nel suo De errore profanarum religionum, ci ricorda che «esistono risposte giuste a domande giuste (habent enim propria
signa propria responsa), e che la risposta giusta (proprium responsum) è data dall’iniziando (homo moriturus), come prova della sua qualificazione iniziatica ad essere ammesso (ut passitad mitti)».
Lo studioso indiano, peraltro amico e sodale di Guénon stesso,col quale ha intrattenuto per anni una profonda relazione intellettuale proprio sui temi dell’esoterismo indiano e delle sue influenze su quello occidentale, richiama opportunamente un esempio di questo signum trovato nel Jaiminiya Upanishad Brahamana quando, al defunto che giunge alla Porta del Sole, viene posta la domanda: «Chi sei tu?». Se egli risponde con il suo nome rientra nella ruota del Samsara, se invece si identifica con il Principio rispondendo: «Chi io sono è la Luce che sei tu. Come tale sono venuto a te, alla Luce celeste», può entrare nel Nirvana, cioè nello stadio di Liberazione dalla legge di necessità legata al nesso causa-effetto.
Non sfugge ad un Massone l’analogia metaforica tra Luce e Liberazione. Diventare quella stessa Luce che all’inizio del nostro percorso abbiamo solennemente promesso di cercare, incessantemente praticando la via iniziatica libero muratoria, diviene qui il compimento stesso del percorso, il suo tèlos, com’è giusto che sia.
Anche restando nel campo dell’esoterismo occidentale, e più in particolare seguendo il motto delfico «Conosci te stesso», è chiaro che la simbolica entrata nel Tempio di Apollo, divinità solare per eccellenza, dunque legata alla Luce della conoscenza, esige una risposta da colui che la agisce. Platone, nel Carmide(164 D), quando Crizia, incalzato da Socrate, precisala definizione di sophrosyne, gli fa dire che l’iscrizione posta sul Tempio «sia lì incisa come un saluto del dio ai visitatori […] il dio si rivolge a coloro che entrano nel Tempio con parole di migliore augurio rispetto a quelle che gli uomini si scambiano tra loro […]. e ad ogni visitatore dice sii temperante (sophrosyne), ma lo fa in modo enigmatico, da indovino».
La formula augurale, dunque, va intesa come un enigmatico saluto del dio a chi entra, perché dovremmo augurarci di avere quella «conoscenza di sé» che è la sophrosyne. Platone, a questo riguardo, ci fa riflettere sul fatto che, naturalmente, le frasi di un dio come Apollo, dio della mantica, devono avere necessariamente anche un risvolto nascosto, enigmatico appunto, come nella natura stessa del dio che le pronuncia «con parole di migliore augurio rispetto a quelle che gli uomini si scambiano tra loro», e dunque che in questa sentenza augurale si cela, in realtà, l’invito a conoscere la parte più nascosta del proprio essere, quella legata al Principio Universale appunto, l’oggetto della conoscenza iniziatica.
Forse ancora più chiara, a questo proposito, la posizione platonica espressa nell’Alcibiade maggiore(131 A), quando Socrate afferma che è «l’anima, dunque, ad ordinarci di conoscere colui che comanda di conoscere sé stessi». È allora il Principio stesso, qui ipostatizzato in Apollo come dio solare, a chiederci di conoscerlo. La riflessione è importante rispetto all’oggetto della conoscenza, o del suo riconoscimento se si vuole, poiché spesso, senza questa chiarezza dottrinale, si può correre il rischio di fermarsi al soma del simbolo tralasciando di indagare il suo sema, limitarsi all’atto trascurando di comprendere la potenza che lo esprime, fermarsi cioè alla conoscenza formale delle cose, dei fenomeni, e non della loro Causa Prima. Errore comune da sempre, e forse oggi, nel Regno della Quantità, come direbbe Guénon, ancora più comune. Errore che anche Platone indica quando, nelle Leggi(898 D) ci ricorda che «non c’è uomo che non veda il corpo del Sole, ma nessuno ne vedel’anima».
Ecco, dunque, che le qualificazioni iniziatiche sono importanti per accedere al cammino verso la Pietra Occulta, o verso l’anima del Sole. E allora cerchiamo di definirle un poco meglio per potercene servire altrettanto bene nel nostro lavoro quotidiano verso la conoscenza del sé ed il cambiamento del mondo profano lavorando al bene ed al progresso dell’umanità.
Nel capitolo dedicato alle condizioni per l’iniziazione delle sue Considerazioni sull’iniziazione, Guénon chiarisce da subito che deve esistere, affinché l’iniziazione possa aver luogo, una certa «disposizione naturale»; in altre parole l’individuo deve risultare «iniziabile». Ma, prima di precisare ulteriormente questo concetto, alquanto generico, egli introduce un’altra precondizione che mette al centro del processo iniziatico, e cioè il «ricollegamento ad una organizzazione tradizionale regolare».
Ora non è certo questa la sede per discutere la vexata quaestio della regolarità, che ci porterebbe lontano dal nostro tema; tuttavia ci pare importante il richiamo poiché implica, da parte dell’Organizzazione, non solo il costante mantenimento della catena iniziatica, ma anche la sua, diciamo così, manutenzione, nel senso, appunto, della verifica per quanto concerne la presenza delle qualificazioni iniziatiche nei recipiendari.
In altri termini, appare chiaro come il cerchio tra regolarità della trasmissione e qualificazioni iniziatiche sia perfetto: mancando una parte finisce per mancare l’altra. Non a caso Guénon, Libero Muratore anch’esso, mette in parallelo, per distinguerle chiaramente, due forme di accostamento allo Spirito: il misticismo ed il cammino esoterico regolare. Mentre il primo è del tutto personale ed irregolare per sua stessa natura, il secondo, come abbiamo visto, necessita di una trasmissione regolare rigorosa, pena la sua stessa invalidità. Ma, a questo punto, ciò che forse a noi interessa di più, è la differenza tra passività ed attività che caratterizza le due forme di accostamento all’Essere del Vero. Il misticismo è pura passività, mentre il cammino iniziatico ha bisogno di un continuo sforzo attivo, dello studio, del superamento di sé stessi, poiché il suo scopo è quella «realizzazione» – la squadratura della pietra grezza – che ci viene proposta all’inizio del nostro percorso massonico.
La volontà di realizzarsi, dunque, è una delle qualificazioni iniziatiche fondamentali; perché? La spiegazione è data dal periodo spirituale nel quale viviamo, quello che nella visione induista viene definito lo Yuga di Kali, la divinità oscura che precede la rinascita palingenetica di un nuovo Kalpa. Questo significa che, in un’epoca in cui lo Spirito si è come ritirato dal mondo, o meglio si è nascosto, la sua ricerca, al contrario di epoche più luminose, va praticata attivamente, con intento. Senza limitarsi all’Oriente, ma in continuità con esso data la coerenza della Tradizione, Arturo Reghini, nel suo Sulla Tradizione Occidentale, parla diffusamente delle quattro Età legate rispettivamente all’Oro, all’Argento, al Bronzo ed infine al Ferro. Egli arriva alle stesse conclusioni, quando dice che Saturno aveva la sua profonda ragion d’essere nella comune connessione con il Satya-Yuga, lo Yuga in cui domina il Dharma, e nel quale gli iniziati orfici avevano il diritto di bere alla fonte di Mnemosine, superare quella del Lete, e da mortali divenire per tal mezzo immortali. Non essendo noi uomini dell’aurea età saturnina, la prima, ma appartenendo a quella del Ferro, lo sforzo di volizione verso la meta iniziatica risulta dunque fondativo delle qualificazioni.
Una seconda qualificazione, che a nostro avviso, e vedremo perché, assume oggi un’importanza forse maggiore che nelle epoche storiche immediatamente passate, è quella che Guénon chiama «orizzonte intellettuale». Certo, una definizione che va precisata poiché è esattamente questa apertura del «compasso mentale» che va verificata, oltre alla volontà dell’oltre passamento del sé pur rimanendo ad operare nel mondo.
Ora, adottando un metodo apofatico, quello che nella logica aristotelica viene riferito al giudizio che «nega l’appartenenza di un predicato a un soggetto», possiamo anche citare alcuni impedimenti all’iniziazione. Se, infatti, le qualificazioni sono costituite da determinate caratteristiche inerenti all’individuo– nel nostro caso la natura della pietra grezza che ci si accinge a squadrare – non tutte le pietre possono essere egualmente sottoposte al processo. È allora chiaro, ad esempio, che molto conta l’approccio del bussante alla Comunione. Se, ad esempio, per un senso di proselitismo, o per far numero, si spinge qualcuno ad entrare, spesso si corre il rischio di forzare un individuo che, sua sponte, non avrebbe pensato di accostarsi al percorso iniziatico. Guénon mette in guardia da queste tendenze che, lo sappiamo, aleggiano permanentemente all’interno delle Comunioni massoniche, quando dice che «ciò è di fatto una delle cause più sicure e più irrimediabili di degenerazione per un’organizzazione iniziatica».
In coerenza con questo, altro aspetto da verificare con chiarezza è quello della tendenza del bussante verso lo studio esoterico. Non esiste «iniziabilità» possibile, senza la tendenza verso il percorso simbolico-rituale proprio alla Comunione nella quale si vuole entrare. Quest’ultimo aspetto ci porta verso un altro ordine di problemi, che ineriscono comunque le qualificazioni iniziatiche, cioè il fatto che non tutti gli iniziati saranno automaticamente in grado di percorrere i gradi iniziatici previsti, o almeno che questa progressione debba essere accuratamente verificata esattamente come le qualificazioni atte all’entrata.
A questo punto è importante ribadire come – certo per la Massoneria, ma più in generale per tutte le scuole tradizionali – le qualificazioni debbano essere coerenti con l’apparato simbolico che le ispira. Ebbene, oggi, in quest’epoca travagliata da una relazione oltremodo insana tra l’umanità ed il resto della manifestazione, nell’epoca definita Antropocene, possiamo tralasciare di verificare se il recipiendario, il futuro iniziato, non includa nel suo orizzonte intellettuale la sensibilità, non solo di oltrepassare il suo stadio contingente, ma di costruire il suo tempio interiore nel rispetto, ed anche con l’aiuto, delle altre forme manifestate?
Ed è proprio quest’ultimo aspetto che vogliamo trattare in conclusione, poiché esso rappresenta un punto delle qualificazioni iniziatiche che dovrebbe essere maggiormente sviluppato e tenuto in considerazione: la convinzione cioè che senza una sostenibilità ambientale, cioè un equilibrio tra i cicli di vita di tutte le forme della manifestazione, non esiste nessuna possibilità di edificare alcunché, né a livello personale né, tantomeno, collettivo. In altri termini, mantenendo strettamente il punto di vista tradizionale, come espressione al tempo stesso sia dell’universalità che dell’unicità della Vita, possiamo citare, ad esempio, la potenza simbolica di una formula come Ab uno, proposta dal Filotete nei suoi Symbola Christianaper significare che tutto discende dallo stesso Principio, dove il riconoscimento fattivo della pluralità delle varie forme della manifestazione, e non solo la nostra singola vita individuale, caratterizzata, diviene la qualificazione iniziatica per eccellenza, quella che situa consapevolmente il recipiendario all’incrocio tra il piano analogico orizzontale, di relazione tra il sé ed il mondo, e quello anagogico verticale.
È proprio questa consapevolezza delle interrelazioni che esistono tra le varie forme del vivente che dovrebbe, dunque, essere verificata poiché, in coerenza con un nostro ruolo nel mondo profano, di trasformazione delle sue contingenze materiali, come abbiamo sempre cercato di fare costruendo le condizioni per l’attuazione del Trinomio nell’epoca contemporanea, oggi è compito precipuo della Libera Muratoria fondare una visione che renda armonica al resto del vivente la nostra stessa ricerca interiore dato che, alla fine, sarà proprio questo senso profondo, iniziatico, di comune provenienza, e dunque di destino, a darci una visione del mondo dentro e fuori di noi che può farci vivere, sia nel secolo, sia nell’intimo della nostra vita spirituale, l’esperienza della comunione con il Principio, con il Grande Architetto dell’Universo, l’Essere regolativo alla cui gloria dedichiamo i nostri lavori.
«Ciò che ascende converge», dice la Tradizione; ed è esattamente questo spirito di comunione con tutto il vivente, e non solo tra gli uomini, che cementa la possibilità di costruire il Tempio, non solo per e della nostra specie, ma la vera casa comune che non potrebbe essere ciò che vorremmo, o a cui aspiriamo, se qualcosa creata ne resta
HIRAM 3/2019