PREPARAZIONE ALLA LETTURA DEL PROLOGO DEL VANGELO
SECONDO SAN GIOVANNI
di R. L.
Ritengo appropriato aprire queste note con un richiamo a G. K. Chesterton – L’ortodossia.
«… Come tutti i giovani che si rispettano bo voluto essere in anticipo sulla mia età…
La conclusione è stata che mi sono trovato in ritardo di diciotto secoli…
Le mie verità le ho conservate; senonché ho scoperto non che esse non erano verità, ma semplicemente che non erano mie».
Parte I – Il prologo
Il Vangelo secondo S. Giovanni e particolarmente il Prologo, è per noi tanto importante che, durante i lavori dei tre gradi azzurri, proprio su quella pagina sono appoggiate la squadra e il compasso, variamente connessi. La sua diversità dagli altri tre Vangeli, i così detti sinottici, oltre che dalla diversa impostazione, deriva dalla profondità del messaggio trasmesso, dal simbolismo che conferisce inusuale forza alle espressioni usate, dalle implicazioni mistiche che danno più ampio significato a tutto il testo ed in particolare al prologo. Il testo originale in greco da cui S. Gerolamo ha tratto la sua traduzione in latino, è stato compilato verso il 160-170. Il prologo è però precedente ed ha avuto una sua vita indipendente dal successivo Vangelo. Quasi certamente era un inno al Logos che ha avuto ritocchi e rielaborazione dopo la conversione di Giovanni al cristianesimo; e come inno veniva recitato o cantato dalle prime comunità cristiane di lingua greca. Nell’originale esso ha, di fatto, la forma dell’inno, particolarmente i primi cinque versetti, ognuno dei quali inizia con l’ultima parola di quello precedente. Come è noto, le parole e le frasi dei testi ispirati o rivelati hanno molti significati. Il primo, evidente a tutti, emerge dalla attribuzione alle parole del loro significato corrente ed usuale, così che la lettura scorre facilmente e la comprensione sembra facile e sicura.
Questa è la maniera con cui il profano si avvicina a testi del genere fermandosi al piano delle apparenze. Il secondo e di successivi significati derivano invece da un esame sempre più approfondito delle parole e delle loro interconnessioni e consonanze, per trarre dal testo il messaggio nascosto, e cioè la particella di Vero che l’Ispiratore ha voluto consegnarci. Questo è il significato esoterico che gli iniziati, affrontando la lettura e quindi la interpretazione di un testo del genere, dovrebbero tentare ogni volta di attingere.
Questo metodo esegetico ha tracce lontane. Come vedremo meglio più avanti, già nei tempi immediatamente seguenti all’epifania del Cristo, nel tentativo di conciliare il vecchio con il nuovo testamento, si affermava che la Bibbia poteva essere suddivisa in tre parti: la prima, immune dal male ed emanata direttamente da Dio, racchiude quanto Cristo è venuto a realizzare (ad es. il decalogo); la seconda, mescolata con concetti inferiori, è superata dall’avvento di Cristo (ad es. molte leggi e disposizioni mosaiche e successive); la terza, simbolica, nasconde la visione profetica di realtà superiori che Cristo ha trasferito dal piano materiale a quello spirituale (ad es. il sacrificio, la circoncisione, la Pasqua, il digiuno, diventati con Cristo riti puramente spirituali). Così Tolomeo, discepolo di Valentino, nel II° secolo.
Lo stesso Origezìne nel III° secolo di Cristo afferma che i libri sacri contengono un significato corporeo o letterale ed uno allegorico o spirituale. Il passaggio dal primo al secondo corrisponde al passaggio dalla fede alla conoscenza che la comprende. Ne che in consegue un piano superiore al Vangelo storico ed al suo completamento c’è un Vangelo eterno che è dato a pochi di conoscere. Insomma, i testi sacri comprendono rivelazioni di valore eterno, norme contingenti e simboli di verità superiori. Per avvicinarsi più compiutamente al 4° Vangelo è indispensabile un richiamo alle basi culturali che ne formano il substrato. Chi vorrà meglio approfondire questo aspetto potrà riferirsi alla seconda parte di queste note. Qui basti ricordare che l’ebreo Giovanni è un profeta, cioè un mistico. Come tutte le persone colte dell’epoca ed in particolare come quelle che vivevano ad oriente di Roma, Giovanni partecipava alle due grandi correnti di pensiero allora dominanti: quello ellenistico, che ricercava la ragione logica e morale dell’universo e quindi una cosmogonia razionalmente accettabile; quella giudaica, o semitica in genere, depositaria di una tradizione profetica e permeata di profonde esperienze mistiche tese a stabilire e mantenere i rapporti con il Creatore in vista del ricongiungimento finale con Lui. Giovanni scopre nuovi e luminosi aspetti nel messaggio cristiano osservandolo attraverso il filtro speculativo della cultura ellenistica, ed in tal modo compie una sintesi delle esperienze mistiche giudaiche con la spiritualità greca.
Con queste premesse possiamo tentare il commento delle quattro parole del 4° Vangelo: « In principio erat Verbum ». Come vedremo, la traduzione in italiano fa perdere alcune importanti sfumature di significato.
Ci si chiede innanzi tutto cosa significa «in principio». Il primo significato, quello letterale, è «al principio della creazione del mondo», ma in realtà c’è un concetto più riposto sotto l’apparente semplicità delle parole.
«Principium» deriva da «primus» e da «capere», cioè comporta il significato di qualcuno che prenda il primo posto non avendolo prima. L’originale greco dice «èvxpys», in primo. L’espressione sembra comportare un doppio concetto: una cesura, un taglio tra ciò che era precedente e ciò che sarà susseguente; un Ente che sia passato dal secondo al primo piano. Questo Ente, come appare dalle parole successive; è il Logos, il Verbo di Dio, che si pone in primo piano per assolvere la sua funzione di creatore del mondo e tramite della sua salvezza finale.
Ma la cesura, il taglio, come si è manifestato? e cosa comporta? Mi sono posto a lungo questa domanda, correlata ad un’altra egualmente inquietante di cui dirò dopo. La risposta che mi sono dato alla prima delle due domande, risposta che non è assolutamente originale perché avanzata già in un passato oramai lontano, consiste nella creazione del tempo. «In principio» e «in primo» hanno dunque come secondo significato «prima che il tempo fosse creato». Il profano, legato all’interpretazione letterale, potrebbe sorprendersi. Dunque il tempo avrebbe avuto un inizio. Certo, rispondiamo, e avrà una fine. I testi cristiani, e non solo quelli, sono pieni di riferimenti a quando i tempi saranno compiuti, alla fine del secolo, ed altre frasi simili che chiaramente affermano che il tempo avrà un suo compimento.
«Il tempo è la misura del muoversi delle cose» è stato detto; ed è tanto vero che noi misuriamo il tempo attraverso il movimento o la trasformazione di un ente fisico. Con l’inizio del tempo è iniziato anche il moto delle cose in tutto l’universo e quindi la continua trasformazione delle cose stesse. Il tempo e l’universo sono nati insieme; frutto del medesimo atto di creazione, sono intimamente legati e indivisibili, creature dello stesso Creatore.
È veramente singolare che solo la fisica più recente abbia acquisito e dimostrato la particella di verità racchiusa in due parole scritte due millenni fa: che il tempo è una delle quattro dimensioni del mondo sensibile in cui viviamo; che queste quattro dimensioni sono indivisibili; che non c’è assolutamente alcuna ragione per ritenere che esse siano sostanzialmente diverse solo perché una di esse, il tempo, sembra sfuggire più delle altre al nostro controllo. Detto per inciso, l’idea della creazione unica e indivisibile dello spazio e del tempo e cioè l’idea che essi in principio non esistevano, illumina di nuova luce il concetto di Dio Onnipresente ed Eterno, del Dio che ha creato lo spazio ed il tempo ma ne resta al di sopra e al di fuori, pur comprendendoli nel rapporto Creatore-creatura. Se non esiste né tempo né spazio, tutto è solo presente. Sotto questo profilo dobbiamo considerare il tempo, così come l’universo sensibile, una parentesi di ciò che fu, è, sarà».
Tre tempi verbali sono per noi necessari ad indicare qualche cosa che supera ogni nostra capacità di comprensione, necessariamente legata alle idee di spazio e di tempo. Dicevo prima che queste conclusioni non hanno il pregio dell’originalità.
L’idea che la storia, cioè il tempo, sia stata creata in modo diretto o mediato da Dio perché «separatamente da Lui nulla fu fatto» è ribadita nello stesso prologo con conseguenze di estremo interesse.
Già nel III° secolo Origene, rispondendo alla domanda «Quando il Logos uscì dal Padre?», analoga a quella da noi posta, rispondeva che occorre trascendere dai concetti di tempo e di durata, perché se Dio è luce non si può concepire un tempo in cui non irraggiasse. «L’oggi del Padre dura per l’eternità perché Egli non conosce né albe né tramonti». Il concetto della creazione del tempo, se pure non esplicitamente espresso, è sottinteso in queste affermazioni.
Veniamo ora ad un’altra considerazione che confluirà con quella precedente. I testi sacri di quasi tutte le religioni e di quella cristiana in particolare, fanno frequenti riferimenti a punizioni eterne per coloro che infrangono i comandamenti divini. Mi sono spesso chiesto — ecco la seconda domanda di cui ho fatto cenno prima: Dio mi ha fatto imperfetto, strettamente legato all’universo sensibile, e la mia vita materiale dura un attimo; mi ha dato tuttavia un’anima immortale cioè fuori del tempo, ma non mi ha concesso la facoltà di concepire una esistenza fuori del tempo. Però, se così imperfetto come sono infrango i suoi comandamenti, mi punisce con una pena che dura al di là delle capacità di comprensione che Egli ha ritenuto di darmi.
Ho troppo evidente la vanità del tentativo di interpretare le leggi divine con mezzi umani: ma debbo anche constatare di aver avuto un solo mezzo di indagine, la ragione, e di poter adoperare solo quella per comprendere. Allora concludo che mi pare irragionevole, ossia contrario o al di là della ragione umana, che si punisca fuori del tempo chi è stato destinato a vivere nel tempo almeno nel periodo in cui è in condizione di mancare, cioè mentre vive la sua vita materiale.
Per questo non ho in realtà mai creduto nella punizione eterna. Ma, se quanto ho detto sull’inizio e sulla fine del tempo è vero, ed io credo che lo sia, il mio dubbio sparisce. Con la fine del tempo ha fine anche il concetto di eternità. L’esistenza dell’anima fuori del tempo, in una situazione per me oggi inafferrabile, mi convince. Se esiste punizione o premio e quale possa essere io non so né credo potrò mai sapere per via logica nella mia vita terrena. Ma certo non misurerò allora quanto dureranno premio o punizione.
La interpretazione data alle prime due parole del prologo fa sorgere un’altra domanda: «Cosa era prima che cominciassero e spazio?». tempo Era il Verbo, afferma Giovanni.
Intanto notate la forma verbale. Nel prologo vengono usati due verbi: essere (esse-einai) per indicare chi e ciò che è fuori del tempo; divenire (fieri-gignesthai) per chi e ciò che è nel tempo. Dunque il Logos esisteva prima del divenire, prima cioè che l’avventura della creazione dell’universo cominciasse (vedi il terzo versetto).
Con questa premessa, il punto fondamentale diventa ora la migliore comprensione del Logos e dei suoi rapporti con Dio. Come ho già detto, Giovanni era partecipe delle correnti di pensiero della sua epoca, e la preesistenza del prologo sotto forma di inno alla sua conversione ne è la prova. La conversione porta Giovanni a riconoscere in Cristo il Logos. Mail suo Logos non poteva essere quello configurato prima di lui, ad esempio quello di Filone. Per Filone il Logos è distinto e inferiore a Dio di cui è uno strumento; è l’intermediario non l’unigenito; ha una funzione cosmologica ma non rivelatrice e redentrice.
Dice il prologo che il Logos era da sempre in prossimità o rivolto verso Dio, come chi ascolta 0 riceve comunicazioni; la parola adoperata
«pros» rende anche questa idea. L’azione di mediazione e di esecuzione del Logos è affermata da Giovanni con la frase
«Tutto venne nell’esistenza per mezzo di Lui». La preposizione «dia» usata da Giovanni dà appunto l’idea della mediazione. Il rapporto con il Padre è di distinzione; indicando il Padre, Gio- vanni usa l’articolo «il» per distinguerlo dal Logos che è pure Dio, ma non «il» Dio. Il Logos è raffigurato dipendente dal Padre e a Lui totalmente fedele. Il Padre è la volontà creatrice che ha affidato al Logos, suo figlio, l’esecuzione dei suoi progetti. E l’idea di progetto è appunto racchiusa tra i significati di Logos. Il Logos racchiude anche i concetti di vita e cioè di realtà ed evoluzione della storia dell’uomo, e di luce che dà un senso e una spiegazione alla vita. La storia ed il suo significato sono dunque nel Logos; la luce brilla in tempo presente — vale a dire sempre, ma
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non viene compresa dalle tenebre che addirittura la vorrebbero sopraffare (kataleben).
Ed ora leggiamo i primi cinque versetti del prologo:
- In principio era il Verbo
e il Verbo era vicino (e rivolto) al Dio
e il Verbo era Dio.
2. Egli era da sempre vicino e rivolto al Dio
3. Tutto venne all’esistenza per mezzo di Lui
e senza di Lui nulla fu creato
di ciò che esiste.
4. In Lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini
5. E la luce brilla nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno afferrata
(o non l’hanno potuta sopraffare).
Parte II – … e le correnti di pensiero della sua epoca
Il prologo può più compiutamente comprendersi seguendo gli indirizzi speculativi che, a cavallo dell’inizio dell’era volgare e ancora per tre secoli dopo, hanno influenzato fortemente l’evolversi del pensiero cristiano fino alla sua cristallizzazione nei dogmi e nelle istituzioni della chiesa cristiana. È quindi opportuno riprendere e sviluppare il discorso sulla partecipazione di Giovanni alle due correnti di pensiero dominanti la cultura mediterranea dell’epoca, e sulla sua precisa intenzione di farne una ispirata sintesi, culminante nella figura del Verbo rivelante e salvatore. È anzi indispensabile accennare a quanto era stato fino ad allora detto in proposito e agli sviluppi maturati nei primi due secoli successivi alla venuta di Cristo.
Logos vuol dire parola, discorso, ma anche ragione, progetto; è corrispondente al vàk, la Voce degli indù. Già nel V° secolo a. C. Eraclito aveva chiamato Logos la ragione
determinante dell’universo, coincidente con la legge secondo la quale tale ragione si esprime. Esso è pertanto l’essenza più intima di ciascun uomo singolo e insieme ciò che lo lega per identità di natura ai suoi simili; è la legge l’umanità suprema che guida e regge l’uomo, e l’intero universo. Per afferrare la legge suprema del Logos occorre unire i contrari: il completo con l’incompleto, il con- corde con il discorde, l’armonico con il dissonante. Insomma, i contrari trovano nel Logos la loro unità. Vale la pena di accennare che, successivamente, gli stoici hanno in- dicato con Logos la ragione divina che amministra e dirige l’universo mondo verso il suo destino di perfezione, e che, nelle religioni di mistero, il Logos è stato riconosciuto în Orfeo e in Ermete Trismegisto.
Va ricordato Filone alessandrino, ebreo nato tra il 20 e il 30 a.C. contemporaneo di Cristo, dunque, e di grande rilievo nel mondo dell’ebraismo mistico.
Filone asserisce l’assoluta trascendenza di Dio. Di Lui si può dire quello che non è, non quello che è; il suo nome è appunto Jehova, colui che è. Il Logos è il Verbo di Dio, esalazione della virtù divina, perfetta immagine di Dio stesso, forza conciliatrice e temperante tra i due attributi fondamentali di Dio: il potere e la bontà. Il Logos che è simile se non coincidente con la Sapienza, è il tramite della crea- zione, colui che colma l’abisso fra Dio e il mondo sensibile di cui racchiude tutti gli archetipi; è la forza vitale che governa la natura; la sede delle idee attraverso le quali Dio dà ordine e forma alle cose materiali.
Dio ha creato un modello perfetto, incorporeo e quindi non sensibile, simile a Lui; il Logos; e attraverso il Logos ha tratto l’or- dine dal disordine creando l’universo. Il Logos non è quindi né creato come il mondo né non creato come Dio, ma un Ente inter- medio, raffigurabile come una forza cosmica e impersonale che nella tradizione talmuidica è verità, luce e vita. Ma è fondamentale un altro concetto espresso da Filone: il Logos è anche l’intermediario nel raggiungimento del fine ultimo del- l’uomo: l’unione con Dio. Manca però il concetto della funzione rivelatrice e redentrice del Logos. ; Occorre ricordare che il cristianesimo, nato come religione di tipo messianico ed escatologico, si è trasformato in tre secoli in una religione dogmatica e rituale. Gli entusiasmi e i fervori mistici del periodo immediatamente seguente l’avvento di Cristo si sono improvvisamente raffreddati ed immobilizzati sotto la forma del pensiero codificato e della liturgia formalizzata.
Quanto ci resta del travaglio spirituale di coloro che hanno partecipato
alla drammatica transizione può essere suddiviso in due indirizzi principali: quello apologetico e quello gnostico. Il movimento apologetico si è proposto la costruzione di un edificio razionalmente accettabile in cui trovasse luogo il messaggio e l’esperienza della salvezza cristiana. Investito dalle conseguenze prima etiche e poi politiche dell’annuncio di Cristo nelle provincie dell’impero romano, il movimento apologetico dovette dare giustificazione teorica e saldezza morale alle comunità cristiane che minacciavano di dissolversi per il sorgere e permanere di dubbi ed incertezze dottrinali e per lo sbandamento provocato dall’uragano delle persecuzioni.
Il movimento gnostico, invece, è la prima ricerca di una filosofia del cristianesimo. Esso nasce dal bisogno, radicato nel profondo dell’animo umano, di dare una spiegazione alla esistenza dell’universo e alla sua creazione, e alla presenza del bene e del male. Il pensiero filosofico e religioso di Pitagora e Orfeo viene interpretato attraverso Platone, pervenendo ad una visione mistica su cui domina la lotta tra i due princìpi del bene e del male. Lo gnosticismo divenne, per i primi due secoli dell’era volgare, il più importante movimento filosofico ispirato del cristianesimo.
L’annuncio della salvezza cristiana, interpretato in termini metafisici,
porta alla concezione di una forma superiore di conoscenza (gnosi) capace di riportare ciascun uomo al suo Creatore. Gnosi, insomma, non è una fede, ma è conoscenza religiosa o, in termini pitagorici, conoscenza redentrice. Nel periodo del suo splendore il movimento gnostico ha dovuto affrontare il problema delle delusioni conseguenti alle vivide ed irrequiete speranze dell’imminente ritorno di Cristo in terra, sorte nelle prime comunità cristiane, e lo ha risolto sostituendo l’atteso, prossimo e materiale ritorno con una lenta e astratta evoluzione dall’umano al divino, culminante nel riassorbimento di tutti gli elementi spirituali dispersi Pleroma, nell’universo, entro la pienezza della perfetta vita divina, formata da quattro coppie di divine determinazioni. Queste quattro coppie sono, secondo Valentino: Intelletto – Verità; Ragione – Vita; Uomo-Comunità; più quella intrinseca del Padre, Abisso – Silenzio.
Tracce gnostiche, sia pure in uno stato ancora informe ma pur vivido, sono evidenti nel Vangelo di S. Giovanni. Si ritrova, ancora allo stadio potenziale, la gnosi che assurgerà al suo pieno sviluppo e fulgore nei due secoli successivi. Per questo è utile soffermarci ad un breve esame del pensiero gnostico nei primi due secoli del- l’era volgare.
Va ricordato che non molto ci è rimasto della vasta letteratura gnostica; il trionfo delle tesi che emersero dai primi concili condannò lo gnosticismo, ne distrusse le tracce e dimenticò quanto la speculazione gnostica lasciò in eredità perenne al cristianesimo dogmatico. Noi, quindi, salvo pochi documenti originali, cono- sciamo molto del pensiero gnostico attraverso le confutazioni dei suoi avversari,
I princìpi generali comuni a gran parte degli gnostici, pur nelle differenze qualche volta notevoli tra i vari autori, possono essere riassunti così. Esiste un Dio Padre, inattingibile, inconoscibile, Fone perfetto in se stesso, da cui tutto trae origine. Dal Dio sconosciuto sono state emanate tutte le realtà che sono tra l’infinito ed il finito, cioè tra la spiritualità pura del pleroma e la materialità del mondo sensibile. Queste realtà sono le determinaioni di Valentino alle quali ho già accennato; puramente spirituali ed in armonia con il loro Creatore, sono state emanate in coppia e popolano il pleroma.
Proprio una misteriosa frattura di questa armonia ha provocato la formazione dell’uomo e del mondo materiale. Rappresentazione mistica di questa frattura è la caduta dal cielo dell’Eone Sophia che volle salire a Dio per scoprire l’abisso; cadde e attraversò tutte le esperienze possibili, da quelle puramente spirituali del pleroma a quelle permeate di passioni del mondo sensibile, imperfetto come lo sforzo che lo ha prodotto.
Mala tendenza pessimistica di questa visione è superata dalla presenza
di una scintilla divina che si diffonderà nell’universo e porterà alla redenzione e alla gloria dei predestinati. Cristo è venuto in terra per mostrare agli uomini la sua potenza; non può avere sofferto la passione per la sua natura incorporea, pleromica e inattingibile.
Queste brevi note lasciano vedere due posizioni antitetiche: quella realistica, comunitaria e sociale sorta dalla interpretazione letterale del testo evangelico, e quella individualistica ed iniziatica della gnosi.
Il cristianesimo primitivo si era fermato nell’attesa imminente del passaggio dalla vita materiale a quella eterna, della palingenesi cosmica e sociale, e quindi della scomparsa del dualismo bene-male nell’immenso dramma dell’apocalisse. Esso, nella scia della tradizione profetica ed apocalittica giudaica, attendeva l’avvento, tramite Cristo, di una perenne, intramontabile comunanza umana e sociale.
La gnosi, invece, concepiva il raggiungimento della salvezza cosmica attraverso un lento processo capace di riparare i danni provocati dalla caduta di un Eone dalla perfezione del pleroma. La salvezza è un fatto individuale, è l’acquisizione della luce intellettuale attraverso la parola di Dio, sempre presente in tutto ciò che è stato creato.
Il cristianesimo ufficiale si è attestato a metà strada tra queste due concezioni, ma esse hanno continuato ad essere il lievito di tutte le fermentazioni che hanno mantenuto e mantengono vivo il pensiero cristiano.
Questa rapida rivista delle idee predominanti nel periodo immediatamente seguente l’apparizione di Cristo sarebbe fortemente incompleta senza un accenno al pensiero di Origene, forse il più forte
e originale pensatore del III° secolo.
Per Origene Dio è un essere omogeneo, una monade o «enade», e cioè una singolarità assoluta al di là di tutto. Dio è il Bene, è la Vita. L’assoluta trascendenza e unicità di Dio ha reso necessario un intermediario, un anello di passaggio tra l’Uno e il molteplice: il Logos.
AI Logos, creatura di Dio e immagine del Bene assoluto da cui riceve la vita e da cui dipende nel rapporto Padre – Figlio, sede del. l’essere, della sostanza, delle idee, di tutti i tipi e di tutte le forme archetipe, è stata affidata la creazione del mondo sensibile. Il Logos è l’unico essere perfetto creato dal Padre. Gli altri esseri si sono ribellati a Dio e sono precipitati causando la degenerazione delle essenze razionali inizialmente pure, e la formazione di una scala di imperfezioni che vanno dagli angeli ai diavoli. Il mondo quale noi lo percepiamo o intuiamo è dunque il frutto della caduta. Anche l’uomo era inizialmente sostanza razionale, intelligenza incapace di male; ma è caduto ed ha assunto un’anima che è una essenza intermedia tra intelligenza e corpo, capace quindi di bene e di male. La libertà concessa da Dio e quindi la possibilità di scelta, è stata male adoperata ed ha provocato la caduta; la stessa libertà, bene adoperata, provocherà la redenzione, poiché gli esseri razionali naturalmente aspirano alla conoscenza di Dio. In questo ciclo il Logos si raffigura come l’ordine razionale del mondo, la forza divina viva in ciascun componente del mondo stesso ed operante per ricondurre l’uomo a Dio. Perciò il Logos si è appropriato di un’anima e di un corpo umani e li ha unificati Per portare all’uomo la Luce che, attraverso un progressivo pro- cesso di penetrazione, dovrà condurlo alla redenzione. L’uomo può dunque risalire alla percezione del Logos e cioè della natura intelligibile, della saggezza, della verità e, attraverso di esso, discernere direttamente Dio.
Ma una sola vita non è sufficiente a recuperare quanto perduto: l’uomo dovrà vivere molte vite in molti mondi. Origene, pur essendo anche temporalmente fuori della diretta corrente gnostica, adotta degli gnostici i princìpi cosmogonici della caduta e della redenzione attraverso un’essenza venuta dal pleroma ad illuminare progressivamente l’universo. Tutto ciò che esiste è sempre esistito nel Padre che tutto contiene; perciò la creazione è solo una parentesi intermedia nella esistenza a-temporale di Dio e di quanto è in Lui. Anche le esistenze superiori, alcune delle quali sono poi cadute, esistevano ab-aeterno.«Il nostro mondo empirico è solo un anello della catena iniziata prima del mondo e destinata a prolungarsi nei secoli in una serie indistinta di cicli».
Si vede qui esplicitato in forma diversa il concetto, su cui mi sono soffermato nella prima parte, della creazione del tempo. L’uomo è responsabile della scelta della sua condizione e del suo destino. Ma attraverso il Logos, redentore e rivelatore, l’uomo si riscatterà; tutti si salveranno e saliranno lentamente gradino per gradino, quali che siano state le loro colpe, fino all’avvento di Dio, cioè al trionfo incondizionato del bene sul male. Un’ultima citazione da Origene:
«Chi si accosta con più adeguata intelligenza alla Scrittura scopre in ogni parola un significato recondito ed un valore riposto».
Ed ora un accenno al pensiero di alcuni tra i maggiori rappresentanti
dello gnosticismo.
Mani, da cui prese il nome il manicheismo, riprendendo il primitivo concetto di Zoroastro e rielaborandolo con dottrine orientali, afferma l’esistenza di due princìpi originali, la Luce e le Tenebre, perennemente in lotta tra di loro. Eventi cosmici hanno provocato un predominio delle Tenebre, e la creazione dell’uomo e la venuta di Cristo sono conseguenze e parte di questi eventi. L’uomo ha due anime, l’una luminosa, l’altra corporea; in ogni uomo insomma, c’è una scintilla di luce che potrà liberarsi solo attraverso tre sigilli: la astensione da cibo animale e da discorsi impuri; dalla proprietà e dal lavoro; dal matrimonio e dal concubinaggio.
Basilide, autore di un Vangelo secundum Basilidem, sostiene anch’egli
il principio di due entità contrapposte ma non necessariamente in lotta tra di loro. Il predominio iniziale delle tenebre ha comportato la formazione del mondo immaginario in cui viviamo.
Il Padre ha emanato quattro entità: il Nous, che è Cristo, la Luce, Phrénesis, Sophia e Dynamis. Dalle due ultime, per successive emanazioni, sono stati creati i 364 cieli.
Eracleone, premesso che la materia è il prodotto delle passioni e delle sconfitte degli uomini, sostiene che l’immortalità è una conquista di coloro che non si lasciano corrompere dai richiami della materia; gli altri si perderanno. La dottrina gnostica è stata confutata dai neo-platonici e dai sostenitori del cristianesimo dogmatico.
Plotino, il neo-platonico più rappresentativo dell’epoca, ebbe nella sua scuola di Roma un incontro con gli gnostici dei quali confutò molte delle conclusioni.
Secondo Plotino Dio è assoluto, immobile, al di là dell’essere, della sostanza e delle idee. Dio non crea, ma emana. Il solo pensiero di se stesso emana l’intelletto, il Nous, simile al Logos di Filone, sede delle idee e demiurgo delle azioni di Dio. Dio si manifesta in molti modi, ciascuno dei quali ci appare come uno degli “dei”, molto vicini a quelli di Giamblico.
Pensare a Dio in termini di potenza e di movimento è ridicolo: ecco un’altra affermazione della illogicità di collegare il concetto di Dio con quelli di movimento e di tempo, fenomeni questi assolutamente marginali e connessi esclusivamente con il mondo materiale. Parimenti Plotino riteneva ingiustificato ricercare l’origine del mondo che non è stato creato in un istante. È errata la convinzione che il mondo, in quanto originato dalla caduta di un Eone dal pleroma divino, è carico di male e che quindi solo un altro Eone disceso nel mondo possa riscattarlo. AI contrario, nel mondo esiste la traccia divina del bene e la divina provvidenza pervade l’intero universo. in una sorte di panteismo, Plotino ritiene che tutto ciò che esiste sia animato, e che l’uomo in questo non sia superiore ad altri esseri; che se l’uomo si sente a disagio racchiuso in un corpo materiale, non può per questo guardare con spirito malevolo chi ha fatto il suo corpo.
D’altra parte i disagi materiali che accompagnano la vita dell’uomo non sono importanti per il saggio, il cui unico fine è l’attesa del ricongiungimento con l’anima universale. È quindi ingiustificata l’importanza che tante dottrine filosofiche danno alla sofferenza umana.
Per quanto riguarda la confutazione da parte del cristianesimo dogmatico, ricorderò Ireneo (II° sec.) il quale sostenne che Dio non ha bisogno di intermediari; il Figlio e lo Spirito Santo sono eguali e della stessa essenza di Dio, non Eoni a Lui subordinati. non II male sta nel possesso di un corpo materiale, ma nell’abuso che l’uomo fa della libertà concessagli.
Ippolito, il primo antipapa della storia contrapposto al papa Cal- listo, ribadisce che il Padre e il Logos suo Figlio sono due persone diverse della stessa essenza, e che il Figlio esisteva da sempre nel Padre e indistinto da Lui. Quando essi vollero, il Logos divenne “un altro”, assunse cioè la figura di un’altra persona della stessa essenza, intermediario nella creazione; con l’incarnazione il Logos divenne il Figlio del Padre, la sorgente di luce, Infine Tertulliano sostiene che l’essere appartiene al Padre che lo trasmette al Figlio e, suo tramite, allo Spirito Santo. Il Logos ha due origini: una immanente per la quale è generato dalla stessa sensibilità del Padre, ed una emanante perla quale può distinguersi dal Padre e dare corso alla creazione del mondo.