PIETRE LEVIGATE (parte prima)
di Luciano Rossi
L’architettura lavora per via di porre; la scultura per via di torre.
Leonardo da Vinci
Il levigatore, nella sua operadi “rectifica”, è sia architetto che scultore: lavora siaper viadi porre che per viadi togliere, così il massone leviga se stesso restituendo le introiezioni (togliere) e ritirando le proiezioni (mettere).
Esposta lapidariamente la tesi, vediamo ora di chiarirla.
Spesso accade (ancorché troppo poco perla verità) che una persona non si senta “costruita” come vorrebbe. Può accadere per esempio che
si sente “grezza”, o incrostata da scorie, o appesantita da “metalli”; o ancora può accadere che non si senta libera da difese limitanti o costellazioni fastidiose!”.
In tal caso sarebbe veramente auspicabile che quella persona volesse cambiare la sua condizione psicologica, che volesse perdere (togliere)
alcune delle caratteristiche apprese, per riprendere invece (mettere), o evidenziare nei loro contorni più puliti e levigati, alcune delle sue caratteristiche originarie che sente ora di poter reintegrare perché profondamente proprie e assolutamente legittime.
Quando accade che una persona riconosca i propri difetti (di abbondanza e/o di assenza) e decida di cambiare è una fortuna: per lei e per chi la circonda. In tali casi fortunati questa persona comincia a desiderare, più o meno consciamente, ma sempre di più, di operare una trasformazione in sé, di compiere un’operazione costruttiva su di sé: questa operazione sarà da effettuarsi, come dice Leonardo da Vinci, in parte per via di togliere e in parte per via di mettere.
Naturalmente la persona in questione, a meno che non sia un esperto della materia, non sa granché di queste modalità di cambiamento. Magari sente disagio, ma non sa bene di che si tratti e men che meno sa come porvi rimedio. Vediamo perciò di fissare alcuni punti elementari che possano aiutare l’uomo di desiderio nella sua trasformazione.
Oggi sappiamo che è possibile la “costruzione” di una Persona, prendendo naturalmente questo termine con le pinze e intendendo con esso la modificazione strutturale della sua esperienza. E, cosa certamente più importante, sappiamo oggi anche come si fa a mettere in operatale modificazione.
Non abbiamo però ancora finito di compiacerci della nostra conoscenza (pur se scarsa) che già si deve prendere atto di un limite importante.
Il limite è che purtroppo nessuno può fare questa operazione per un altro; non è davvero possibile a qualcuno costruire un’altra persona, un suo simile, l’altro da sé. È solo possibile ristrutturare se stessi. Certo è possibile che il mio inconscio ristrutturi la mia esperienza attraverso l’ascolto della voce di un altro, un terapeuta, ma l’utilizzazione della voce altrui devo farla io stesso. Del resto in un certo senso la gnosi, sul piano del metodo, non è nient’altro che questo. Preferiamo dire ristrutturare anziché costruire perché non appare possibile per l’uomo costruirsi come vuole. Gli è invece possibile diventare quello che già egli è nel suo profondo; gli è possibile far emergere domani quel che oggi ancora non può emergere. Gli è possibile costruirsi come già egli è dentro la grezza forma della pietra di cava, liberandosi da ciò che opprime e imprigionala sua forma pura, dai metalli che incrostano e appesantiscono la sua forma levigata già presente all’interno di lui.
Una volta affermato che è possibile per l’uomo costruirsi, dicixmo anche che è possibile per un uomo conoscersi. Egli può farlo se conosce le operazioni da compiere e se può vedere le parti di sé che sposta nel costruire se stesso. L’operazione che l’uomo compie, per realizzare quel detto lapidario, e sconosciuto, che è il ben noto “conosci te stesso”, è quella di vedere, accettare, mettere o togliere pensieri e sentimenti, sensazioni e intuizioni, esprimendo ciò che fa con parole dette all’altro, o agli altri, di fronte a sé, vuoi che egli si trovi in uno studio di psicoterapia o in un Tempio massonico.
È tuttavia questa un’operazione complessa che non può essere improvvisata, né in un ambulatorio, né in un Tempio massonico. L’operazione resta sconosciuta perché troppo spesso diciamo agli altri: “Sii te stesso, conosci te stesso”: ma poi evitiamo accuratamente di dire loro come si fa a farlo. Questa volta ci proponiamo invece di essere espliciti e ci assumiamo la responsabilità di dire in termini tecnici, speriamo non troppo ostici (ma inevitabilmente un po’ lo saranno), in cosa consista, in teoria e in pratica, questa operazione trasformativa della levigatura.
La levigatura ha delle regole che possono essere apprese. La magia del cambiamento iniziatico ha una struttura che può essere insegnata. Ma sono regole complesse e delicate. Se non si conoscono in profondità meglio lasciare perdere l’aspetto – esoterico della levigatura, meglio lasciare che gli Apprendisti si nutrano del solo pane caldo e profumato dell’Amore e della Fratellanza che in qualche modo sconosciutoli levigherà. Vediamo allora di dare qui alcune informazioni teoriche sulla levigatura della pietra come operazione gnostica. Le riflessioni, di cui scriviamo qui, non appartengono ad una disciplina ben precisa; si situano piuttosto in quel terreno gnostico che sta al crocevia di svariate discipline fra cui le principali
appaiono essere oggi la filosofia, la psicoanalisi, la pedagogia, la PNL (programmazione- neuro-linguistica)”. Il suo utilizzo è per- ciò di pertinenza, più che dello specialista, dell’uomo in quanto tale, ed è a lui che sonori- volte; anche se il filosofo, l’educatore, e soprattutto lo psicoterapeuta, si troveranno più spesso ad aver a che fare con questo tema. Ci occuperemo principalmente di una varietà particolare, sagace e fattiva, di homo sapiens che chiameremo l’Artefice, e che altrove abbiamo chiamato Artifex, o uomo che costruisce se stesso. Però, per arrivare a lui, dovremo partire dal concetto di Artificiale.
Ma chi è questo Artifex di cui stiamo parlando? Artifex è colui che costruisce se stesso. Artifex sono io mentre scrivo queste riflessioni: io che vado conoscendo la cosa da me scritta mentre la costruisco; Artifex siete voi mentre leggete: voi Lettori che andate conoscendo la cosa da voi letta mentre (la riscrivete e) trasformate il territorio del testo da me scritto nella vostra mappa personale. Artifex sono io mentre scrivo, io che vado conoscendo me stesso, in quanto cosa costruita, nello stesso istante in cui la costruisco; Artifex siete voi che leggete, che andate conoscendo voi stessi nella cosa letta mentre la trasformate con la vostra percezione. L’Artifex è un Artificiale, sia in quanto oggetto che in quanto soggetto del costruire, 0ggetto della costruttività dell’Artifex soggetto. Nell’accingervi a leggere questo saggio cercate, Vi prego, di dimenticare ogni idea pregiudiziale che avete adesso di artificiale con la “a” minuscola. Il mio Artificiale ha tutt’altro significato rispetto a quello che il senso comune attribuisce all’artificiale; il termine assume qui un significato nuovo, inedito.
Fate lo sforzo di intendere, durante questa lettura, I’ Artificiale come voi stessi, come il Sé quindi; e fate lo sforzo di intendere il Sé come Conoscenza di sé e la Conoscenza di sé come Costruzione di sé. Perché per noi “conoscere è costruire”. Fate infine lo sforzo di intendere l’Artificiale come il Levigato.
Simili costruzioni di noi stessi siamo abituati a vederle, a livello psicologico individuale, come processi naturali che possono avvenire
durante l’infanzia, l’adolescenza, o. meno spontaneamente, durante la psicoterapia; e noi massoni durante la levigatura. Conosciamo dunque tre costruzioni di sé: costruzione infantile, costruzione adolescenziale e costruzione terapeutica o massonica.
Di che costruzioni si tratta? Cercherò di essere il più semplice possibile nell’esposizione, ma il meccanismo è complesso e non posso essere semplice al punto di alterarlo. D’altro canto mi pare che un’operazione di levigatura si sostanzi proprio di questi meccanismi ancorché non ce ne rendiamo conto. Mi armerò dunque di squadra nella scelta dei vocaboli, mentre chiedo a voi di armarvi, ancora un po’ di pazienza. I contenuti psichici sono frammenti autonomi di personalità che entrano (i mattoni nuovi dell’Architetto) ed escono (le schegge grezze dello Scultore) continuamente dai confini simbolici della psiche. Siamo noi a farli entrare ed uscire: lo facciamo, pur senza saperlo, per conoscerli e in tal modo conoscerci. Insomma conosciamo i nostri contenuti, e i nostri contorni, attraverso una serie di spostamenti di rappresentazioni psichiche, da dentro a fuori e da fuori a dentro. Vediamo di illustrare alcuni di questi movimenti che di solito l’uomo mette in moto non solo per difendersi dall’ansia, ma anche, senza saperlo, per conoscere, per crescere. Diciamo spesso che si deve restituire all’altro ciò che di suo sta dentro di noi (l’opinione che abbiamo di noi) e riprenderci dall’altro ciò che di nostro sta dentro di lui (i nostri difetti). Queste operazioni possiamo chiamarle “rifiuto delle introiezioni” e “ritiro delle proiezioni”. La frase è un po’ complicata, ma le due operazioni sono semplici.
Di che si tratta? Vediamo di spiegarle un po’ semplificando al massimo questi concetti.
Proiettare è espellere inconsciamente una parte di noi (per esempio i nostri metalli) all’esterno e buttarla addosso ad un’altra persona; terminata questa operazione cominciamo a vedere addosso all’altro la parte proiettata e crediamo che sia sua. È l’altro ad avere il difetto; è l’altro, non noi, ad essere ancora grezzo. Siamo del tutto inconsapevoli di ciò che abbiamo fatto e crediamo che la cosa che “vediamo” sia davvero addosso all’altro.
Allo stesso modo introiezione è inglobamento di contenuti altrui, ad esempio norme morali, divieti, paure, giudizi negativi, ecc.
Anche di ciò siamo inconsapevoli. Crediamo di essere noi a pensarla così e invece questo che noi abbiamo è il pensiero di un altro, che magari ci è stato ficcato dentro a forza tanto tempo fa.
Ritirare le proiezioni significa riconoscere che ciò che vediamo fuori “sta” in realtà dentro i nostri confini, ossia riconoscere che il difetto è nostro. Restituire le introiezioni significa pronunciare il nostro “no” a pensieri riconosciuti come imposti, per vivere la nostra vita e darci la nostra etica.
Eseguite queste due operazioni i nostri contorni, i confini della nostra pietra, si precisano e noi ci conosciamo con nuovi contorni.
Abbiamo operato dei movimenti, rectificando in tal modo la nostra superficie esterna. Metaforicamente il masso informe lo abbiamo reso cubico togliendo materiale dove ce ne era troppo, apportando materiale dove mancava.
Se questi sono stati movimenti consapevoli, se abbiamo seguitole varie fasi della costruzione, diciamo che abbiamo una sia pur limitata conoscenza di noi. Ma perché, se poi deve ritirarla, l’uomo ricorre alla proiezione? Per due motivi:
a) Per motivi gnoseologici. Proiettare è necessario per conoscere se stessi fuori di sé, ossia la propria forma nascosta, la pietra occulta
portata alla luce per essere vista. Si tratta di prendere distanza dalla pietra levigata per vederla meglio.
b) Per motivi etici. Si tratta conoscere se stessi per fare evolvere (costruire) il sé e umanità. Se l’aspetto di integrazione scopre la vocazione gnoseologica della precedente operazione di negazione, l’aspetto di individuazione ne rivela la vocazione etica, rivela quale è il
fine del lavoro che l’artista compie: tale fine è precisamente il ritrovamento di se stesso, del Sé nascosto, della statua occulta. Così costruire è etico e gnoseologico insieme: e noi compiamo le due funzioni con un solo gesto.
Scrivevo nel ’92: “Rectificando invenies occultum lapidem” ci sussurra, premurosamente quanto misteriosamente, da tempi lontani, la Tavola smeraldina. Tale statua, o lapis, essa ci dice, verrà negando trovata (rectificando) alcune parti della pietra data, ma, essa aggiunge, prima di tale negazione la pietra rettificata è occulta. A noi importa però soprattutto precisare che essa è occulta solo a chi non sa guardare, solo a chi non ha dentro di sé a priori la forma della statua, solo a chi non è Artista.
L’Artista infatti “vede”, già da prima, l’opera dentro la pietra grezza. A lui non resta che rettificare, ossia togliere il di più. Egli vede tale forma dentro la realtà data perché essa altro non è che una sua Îmago interna proiettata all’esterno, una forma con la quale egli veste la materia,
Egli prima proiettala propria anima dentro il masso poi la riprende dicendo: la bellezza di questa statua è solo mia.
Nuovi contorni vengono allora forniti alla pietra grezza, ossia alla pietra-in-sé, naturalmente data. Attraverso la negazione dei metalli, attraverso la separazione delle scorie, lo scultore trasforma, con paziente opera di scalpello, la vecchia forma del Naturale già dato, nella nuova forma dell’Artificiale costruito col lavoro.
Ma l’Artifex vede tale forma prima dell’opus, prima del Lavoro, e questo è a lui possibile perché il figlio dell’Opera sua è forgiato a immagine e somiglianza del suo pensiero”,
Egli trasforma, per via di togliere, una pietra grezza in una pietra definita. In tal modo la pietra grezza si adegua al suo desiderio. Ossia è la realtà che si adegua all’intelletto umano, non viceversa. L’intelletto umano è così immaginato come un grande costruttore di rappresentazioni esterne della sua anima, di rappresentazioni sue fuori di lui, rappresentazioni di sé fuori di sé. La Grande Opera dunque, essendo un adequatio sui ad imaginem sui. Potremmo tradurre massonicamente così le precedenti espressioni: la Grande Opera essendo un adeguamento della realtà grezza al desiderio iniziatico, diviene allora un adeguamento del sé profano all’immagine iniziatica di sé. “Cosa” e intelletto vengono nell’Artifex a coincidere, ad essere l’una ad immagine e somiglianza dell’altro. Ma non per adeguamento dell’uomo alla realtà bensì per adeguamento della realtà all’uomo. Noi diventiamo quel che l’intelletto vede e desidera. Noi vediamo ciò che l’intelletto costituisce.
Alla pietra togliamo materiale (grezzo) suo ed aggiungiamo forma (iniziatica) nostra. Come è per la statua, così è anche per noi; anche noi abbiamo scorie da togliere, così come abbiamo ricchezze da aggiungere.
( Fine della prima parte)
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