UN MONDO SENZA DIO

Un mondo senza dio

di Graham Lawton

in “Internazionale” dell’11-17 luglio 2014

In una domenica mattina londinese insolitamente calda, faccio una cosa che non facevo da trent’anni: mi alzo e vado in chiesa. Per un’ora e mezzo canto, ascolto letture, mi godo momenti di tranquilla contemplazione e getto qualche moneta nel cestino delle offerte. Alla fine c’è il tè con i biscotti, e una sensazione di calore in quella che immagino sia la mia anima. In centinaia di luoghi in tutta la città, nello stesso momento, sta succedendo la stessa cosa. Con una sola differenza: qui non c’è nessun dio. Benvenuti all’assemblea domenicale della “congregazione laica”, che si svolge ogni due settimane alla Conway hall, sede dell’organizzazione di liberi pensatori più antica del mondo. Il giorno in cui ci sono andato c’erano almeno duecento persone, a volte arrivano a seicento. Lo scopo dell’assemblea domenicale, nata nel 2013 dall’iniziativa degli attori Sanderson Jones e Pippa Evans, è offrire la consolazione di un servizio religioso depurata dagli aspetti soprannaturali. Neanche l’ateismo è nei suoi programmi: il gruppo si limita a celebrare la vita. “La nostra missione è aiutare le persone a vivere questa vita nel modo più pieno possibile”, dice Jones. Il suo obiettivo più ampio è far nascere “una congregazione laica in ogni città e paese che la desideri”. E sembra che lo desiderino in molti: dopo un umile inizio in una chiesa sconsacrata di Londra, oggi esistono 28 assemblee attive tra Regno Unito, Irlanda, Stati Uniti e Australia. E Jones lavora a tempo pieno per crearne altre. Entro la fine dell’anno prevede che saranno un centinaio.

Le persone che ho incontrato in quella domenica di sole erano una piccola parte di una nuova entità religiosa che si sta rapidamente diffondendo in tutto il mondo, e che è già più numeroso di alcuni dei

principali gruppi religiosi del mondo. Tra i suoi appartenenti, chiamati nones (da none ofthe above, nessuna delle sopracitate), ci sono non credenti di tutti i tipi, dagli atei convinti come me a persone che semplicemente non sono interessate alla religione.

A Londra, devo ammetterlo, non è niente di speciale: il Regno Unito è uno dei paesi meno religiosi del mondo, con metà della popolazione che dichiara di non appartenere a nessuna fede. Ma anche in altri

paesi i nones stanno aumentando rapidamente. Dieci anni fa più di tre quarti della popolazione mondiale si definivano religiosi. Oggi quel dato è sceso sotto il 6o per cento, e in circa un quarto dei paesi i nones sono la maggioranza. Il declino si è verificato soprattutto in paesi dove fino a non molto tempo fa sembrava inconcepibile non essere credenti. Come in Irlanda: nel 2005 il 69 per cento degli abitanti si considerava religioso, oggi solo il 49 per cento.

“In tutto il mondo c’è una forte tendenza alla secolarizzazione”, afferma Ara Norenzayan, psicologo e professore all’università della British Columbia di Vancouver, in Canada. “Ci sono regioni in cui il processo di secolarizzazione è in fase più avanzata, come l’Europa occidentale e settentrionale, il Canada, l’Australia, la Nuova Zelanda, il Giappone e la Cina”. Perfino negli Stati Uniti – un paese profondamente cristiano – dal 1972 a oggi le persone che dichiarano di non avere “nessuna affiliazione religiosa” sono passate dal 5 al 20 per cento. E tra la popolazione al di sotto dei trent’anni arrivano quasi a un terzo.

Questo non significa che tutti rifiutino esplicitamente la religione: solo il 13 per cento della popolazione mondiale si dichiara “decisamente” ateo. Si tratta comunque di quasi un miliardo di persone. Solo il cristianesimo e l’islam possono vantare più adepti. Senza contare un altro miliardo e mezzo di persone che, per qualche motivo, non si considerano religiose. Un secolo fa questa tendenza sembrava inevitabile. Emile Durkheim e Max Weber, tra i fondatori della sociologia, prevedevano che il pensiero scientifico avrebbe portato gradualmente alla scomparsa della religione. Vedevano la nascita di tante organizzazioni di umanisti, razionalisti e liberi pensatori in Europa occidentale come l’inizio di una rivoluzione laica.

Nati per credere

In realtà le cose non sono andate così. Anche se dopo la seconda guerra mondiale alcune regioni dell’Europa occidentale, dell’Australia, del Canada e della Nuova Zelanda si sono secolarizzate, il resto del mondo è rimasto saldamente devoto. Neanche l’ateismo ufficiale del blocco comunista si è mai veramente affermato nelle società. Al contrario, alla fine del novecento sembrava che ci fosse un ritorno alla religiosità. I movimenti fondamentalisti stavano guadagnando terreno in tutto il mondo, l’islam stava diventando una grande forza politica, gli Stati Uniti rimanevano ostinatamente religiosi e il laicismo europeo sembrava sempre più un fenomeno isolato. Ma oggi la secolarizzazione è in ripresa. “Negli ultimi vent’anni c’è stato un repentino calo della religiosità in tutte le società”, sostiene Philip Zuckerman, un sociologo del Pitzer college di Claremont, in California. “La religione sta perdendo terreno ovunque. Esistono ancora zone in cui il fondamentalismo è in ascesa, ma nel complesso assistiamo a un aumento della secolarizzazione in società dove prima non esisteva, per esempio in Brasile, in Irlanda e perfino in Africa”. Significa che  la profezia ottocentesca di un futuro senza dio si sta realizzando? È possibile che un giorno la maggioranza delle persone non sarà più religiosa? E se succederà, il mondo sarà un posto migliore? Per rispondere a queste domande dobbiamo prima di tutto capire perché la gente crede in dio.

Per molte persone la risposta è ovvia: perché dio esiste. Che sia vero o meno, questo ci dice qualcosa di molto interessante sulla natura della fede religiosa. La fede in dio non richiede nessuno sforzo. Come respirare o imparare la propria lingua madre, è una di quelle cose che ci vengono naturali. Perché? Negli ultimi anni i cognitivisti hanno fornito numerose prove della facilità con cui la mente umana recepisce le idee religiose. Secondo la teoria che considera la religione un sottoprodotto cognitivo, alcuni tratti della psicologia umana che si sono evoluti per motivi non religiosi creano anche un terreno fertile per la fede. Di conseguenza, quando qualcuno si imbatte in storie e credenze religiose, le trova istintivamente attraenti e plausibili. Per esempio, i nostri lontani antenati erano regolarmente attaccati dai predatori, così svilupparono la tendenza ad attribuire intenzionalità a qualsiasi agente esterno. È quella che i cognitivisti chiamano Hadd (hypersensitive agency detection device). Dal punto di vista evoluzionistico è comprensibile: se vivi nella savana e sai che un semplice fruscio può indicare la presenza di un predatore in agguato, è meglio essere molto prudenti. Ma questo modo di pensare ci porta anche a presumere che ci sia intenzionalità dove non c’è. E l’esistenza di un agente invisibile che ha creato il mondo ed è responsabile di tutto quello che succede è alla base della maggior parte delle religioni. Gli esseri umani hanno sviluppato anche altri tratti che favoriscono la diffusione della fede. L’idea che esista un benevolo dio a nostra immagine e somiglianza, una finalità superiore e una vita dopo la morte, per esempio, li aiuta a vincere la paura esistenziale e l’incertezza che sono comuni a tutti. Tendiamo anche a imitare chi consideriamo superiore a noi – pensate al culto delle celebrità – e a conformarci alle norme sociali. Due comportamenti che favoriscono la diffusione della fede. Siamo particolarmente colpiti da quelle che i sociologi chiamano “manifestazioni che aumentano la credibilità” (Creds), atti di fede estremi come il digiuno, l’autoflagellazione e il martirio. Infine, le persone che si sentono sorvegliate tendono a comportarsi meglio e a collaborare di più. Le società basate sull’idea di un controllo soprannaturale avevano più probabilità di funzionare bene di quelle che non lo facevano. Nel complesso, il modo in cui funziona la nostra mente ci rende  naturalmente ricettivi a queste idee ed estremamente propensi ad abbracciarle quando le incontriamo.

La teoria del sottoprodotto cognitivo è un’ottima spiegazione della propensione umana alla religiosità. Ma ha sollevato anche il problema opposto: se la fede ci viene così naturale, perché esiste l’ateismo? Fino a poco tempo fa molti davano per scontato che si arrivasse all’ateismo con il ragionamento, dopo aver analizzato i dogmi della religione e averli respinti perché inverosimili. Questo spiegava il motivo per cui gli atei erano una piccola minoranza di persone più colte, e perché la religione fosse così diffusa e persistente. Superare tutti i condizionamenti che abbiamo sviluppato nel corso dell’evoluzione richiede un duro lavoro cognitivo. Questo “ateismo analitico” è chiaramente la strada più comune per arrivare al rifiuto della religione, e potrebbe spiegare il recente aumento della laicità. Sicuramente è più diffuso nei paesi in cui la popolazione è maggiormente a contatto con la scienza e con altre forme di pensiero analitico. Maquesta non è l’unica causa dell’irreligiosità. Negli Stati Uniti, per esempio, del 20 per cento di persone che sostiene di non credere, solo una su dieci afferma di essere atea. La maggioranza, il 71 per cento, dice di non essere “niente di particolare”.

“I modi e i motivi per diventare atei sono molti”, dice Norenzayan. “Non sempre per arrivare a rifiutare la fede è necessario un duro lavoro cognitivo”. Quindi perché anche le persone che non rifiutano esplicitamente i dogmi religiosi si allontanano da dio? Secondo Norenzayan possiamo trovare la risposta a questa domanda in alcuni degli altri condizionamenti psicologici che rendono così facile credere alle idee religiose. Uno dei motivi principali per cui le persone abbandonano la fede è che non hanno più bisogno del suo conforto. La religione prospera sull’angoscia esistenziale: è un aiuto per chi si sente insicuro. Ma quando le società diventano più ricche e stabili, il bisogno di sicurezza diminuisce. In base a questo principio, non è una coincidenza che i paesi meno religiosi del mondo siano spesso anche i più sicuri. Danimarca, Svezia e Norvegia, per esempio, sono tra i meno religiosi, e anche tra i più ricchi, stabili e sicuri, con un’assistenza sanitaria estesa a tutti e una generosa previdenza sociale. Invece i paesi più religiosi del mondo sono spesso tra i più poveri. E al loro interno, secondo il Global index of religion and atheism, le fasce sociali più basse tendono a essere più religiose. A conferma di questa correlazione, alcuni studi hanno dimostrato che se le persone prendono coscienza di minacce esistenziali come il dolore, la casualità della vita e la morte, la loro fede in dio si rafforza, almeno temporaneamente. E sembra che nel mondo reale funzioni nello stesso modo: dopo il terremoto del 2011 a Christchurch, in Nuova Zelanda – che normalmente è un paese stabile e sicuro, e infatti ha un basso livello di religiosità l’impegno religioso è aumentato.

Norenzayan definisce il tipo di ateismo presente in questi paesi “apateismo” . “Non è tanto una forma di dubbio o di scetticismo, quanto di indifferenza”, dice. “Semplicemente non pensano alla religione”. Contrariamente a quello che ci si aspetterebbe, aggiunge, l’apateismo spiegherebbe anche la forza della religione negli Stati Uniti. Rispetto ad altri paesi ricchi, negli Stati Uniti il livello di angoscia esistenziale è molto alto. La mancanza di assistenza sanitaria per tutti, la precarietà del posto di lavoro e la debole rete di protezione sociale favoriscono la religiosità.

Un altro tipo di ateismo è quello di chi non è esposto a clamorose manifestazioni di fede. “Queste manifestazioni influiscono molto sulla trasmissione della religione”, dice Norenzayan. “Dove c’è chi è disposto a morire per quello in cui crede, per esempio, la fede diventa più contagiosa. Dove invece le persone non vedono queste manifestazioni estreme, anche se sono circondate da altre che sostengono di credere, è dimostrato che la religiosità diminuisce”.

Norenzayan non è ancora riuscito a stabilire la relativa importanza di queste diverse vie all’ateismo, anche perché si rinforzano a vicenda. Ma a suo avviso la più importante potrebbe essere l’apateismo.

“Probabilmente molte delle persone convinte che sia la razionalità a portare all’ateismo rimarranno sorprese. Ma è dimostrato che quando le società diventano più eque e le reti di protezione sociale aumentano, una delle prime conseguenze è la secolarizzazione”.

Per i credenti, questa è la prova che i nones non sono quasi mai veri e propri atei. Una tesi confermata da un recente sondaggio condotto nel Regno Unito dal centro di ricerche cristiano Theos. La ricerca ha dimostrato che, anche se le pratiche religiose diminuiscono, la spiritualità non è affatto in calo. Circa il 6o per cento degli adulti intervistati ha dichiarato di credere in un qualche tipo di essere superiore, e solo il 13 per cento ha affermato che “gli esseri umani sono esseri puramente materiali senza nessuna componente spirituale”.

Alcuni studiosi, come Pascal Boyer, antropologo dell’università di Washington a St. Louis, sostengono che l’ateismo è psicologicamente impossibile per via del nostro modo di pensare. Boyer cita alcuni studi in cui i ricercatori hanno dimostrato che perfino le persone che dichiarano di essere atee mantengono tacitamente alcune convinzioni religiose, come quella dell’esistenza di un’anima immortale.

Per Norenzayan è solo questione di semantica. “Non mi interessano tanto le etichette quanto la psicologia e i comportamenti. Le persone dicono di credere in dio?Vanno in chiesa, alla sinagoga o alla moschea? Pregano? Trovano un senso nella religione? Queste sono le variabili che ci dovrebbero interessare”. In base a questi parametri, la maggior parte dei nones non è religiosa, e questo indica che l’ateismo è molto più diffuso di quanto potrebbe esserlo se fosse caratterizzato solo dal rifiuto attivo delle idee religiose.

Atei in fuga

Questa tendenza continuerà? A prima vista sembra improbabile. Se l’ateismo prospera dove c’è stabilità e benessere, il cambiamento climatico e il degrado ambientale potrebbero seriamente rallentare la sua diffusione. “Se si verificasse una grande catastrofe naturale, mi aspetterei un ritorno alla religiosità, anche nelle società già secolarizzate”, dice Norenzayan. Non è detto che la laicità europea si estenderà al resto del mondo. “La strada che prende un paese è legata a contingenze storiche, ed esistono le eccezioni”, dice Stephen Bullivant, un teologo della St Mary’s university di Londra che è stato tra i curatori dell’Oxford hand book ofatheism. Nonostante questo, spiega Bullivant, è convinzione diffusa che se il benessere, la sicurezza e la democrazia continueranno a diffondersi, probabilmente il processo di secolarizzazione si rafforzerà. Il cambiamento che si è verificato in Irlanda è coinciso con il boom economico, dice Michael Nugent, presidente di Atheist Ireland, e ancora non si vedono segni di un ritorno alla religiosità nonostante la recente crisi economica. Potrebbe significare che una volta avviato, il processo di secolarizzazione è difficile da fermare.

Sembra che anche gli Stati Uniti si stiano allontanando da dio. I nones sono aumentati di più negli ultimi vent’anni, soprattutto tra i giovani. Una tendenza che potrebbe essere spiegata dal contesto storico: in particolare, dalla fine della guerra fredda. Per anni gli statunitensi si sono definiti in contrapposizione ai comunisti senza dio e hanno considerato l’ateismo poco patriottico. La generazione cresciuta dopo la caduta del muro di Berlino è la meno religiosa che ci sia mai stata. È interessante osservare che dopo la guerra fredda la Russia è andata nella direzione opposta. Nel 1991 il 61 per cento dei russi si dichiarava non interessato alla religione; nel 2008 erano il 18 per cento. Ma recentemente anche i russi sembrano aver imboccato la via della secolarizzazione: secondo il Global index of religion and atheism, nel 2012 solo il 55 per cento degli intervistati ha dichiarato di considerarsi religioso.

Secondo Bullivant, la secolarizzazione continuerà anche per un altro motivo: il modo in cui la religione viene trasmessa da una generazione all’altra. Un bambino con genitori praticanti ha circa il 50 per cento di probabilità di seguire il loro esempio. Un bambino con genitori non religiosi ha solo il 3 per cento di probabilità di abbracciare una fede. “In termini di capacità di mantenere i loro adepti, i laici se la cavano molto bene”, dice Bullivant. “È estremamente insolito che una persona cresciuta in una famiglia laica diventi religiosa, ma non è affatto insolito che una persona cresciuta in una famiglia religiosa finisca per non esserlo”. Bullivant osserva inoltre che la religiosità tende a consolidarsi intorno ai vent’anni. Quindi è improbabile che il 30 per cento dei giovani statunitensi che non si identifica con nessuna religione cambi idea invecchiando, mentre è probabile che trasmetta lo stesso atteggiamento ai figli.

Quindi il mondo rinuncerà veramente a dio? “Secondo me è possibile”, dice Norenzayan, “perché sta già succedendo”. Come sarebbe un mondo senza dio? Molti pensano che la religione sia il collante morale

che tiene insieme la società, e temono che se scomparisse crollerebbe tutto. “Negli Stati Uniti questo timore viene espresso continuamente, perfino dai laici”, dice Zuckerman. Le prove, però, fanno pensare che non sia così. Nel 2009 Zuckerman ha condotto un’analisi globale confrontando i livelli di religiosità di vari paesi in relazione a una serie di parametri del benessere sociale: ricchezza, uguaglianza, diritti delle donne, livello di istruzione, aspettativa di vita, mortalità infantile, gravidanze precoci, diffusione delle malattie veneree, tasso di criminalità, di suicidi e di omicidi. “In base a questi parametri, più un paese è laico, e meglio se la cava”. La stessa cosa vale per i cinquanta stati americani.

Bisogno soprannaturale

Questo non significa necessariamente che la secolarizzazione conduce a una società più sana: forse la diffusione dell’apateismo è una conseguenza più che una causa, “ma ci permette di smontare la tesi che la religione sia necessaria per avere una società sana”, dice Zuckerman. Lo studioso va anche oltre, sostenendo che la secolarizzazione può produrre miglioramenti sociali. “Ormai sono convinto che certi aspetti della visione laica della realtà contribuiscano a creare società più sane”, dice. “Prima di tutto, se pensi che questo sia l’unico mondo che abbiamo e non c’è un’altra vita nell’aldilà, cerchi di renderlo migliore che puoi. Un altro aspetto positivo è l’importanza che la visione laica attribuisce alla scienza, all’istruzione e alla soluzione razionale dei problemi. In parole povere: per mettere fine alla criminalità nelle nostre città dobbiamo pregare o combatterne le cause?”. È difficile parlare di ateismo di massa senza evocare lo spettro dell’Unione Sovietica, dei khmer rossi, della Corea del Nord e di tanti altri regimi che hanno bandito la religione. C’è il rischio che un mondo a maggioranza laica sia più simile a Stalingrado che a Stoccolma? Zuckerman ha buoni motivi per pensare di no: “Dobbiamo distinguere tra l’ateismo coatto imposto dall’alto da un regime dittatoriale e l’ateismo organico di un paese libero. Quest’ultimo può avere un effetto positivo sulla società”.

Forse un timore più comprensibile è quello che riguarda le conseguenze della secolarizzazione sulla nostra salute fisica e mentale. Negli ultimi vent’anni sono state condotte molte ricerche sui vantaggi della religiosità, e la maggior parte degli studi sostiene di aver riscontrato una piccola correlazione tra religiosità, salute e felicità. Di solito questi risultati sono spiegati affermando che le persone religiose conducono una vita più sana e hanno reti di sostegno sociale più sicure. Così alcuni studiosi sono arrivati alla conclusione che, se la religione porta salute e felicità, l’ateismo deve avere un prezzo. Ma la correlazione tra religione e salute non è certa come sostiene qualcuno. Da una meta-analisi di 226 di questi studi sono emersi molti problemi metodologici e conclusioni errate. Inoltre, le poche ricerche sulla salute fisica e psicologica degli atei non hanno riscontrato nessuna differenza rispetto alle persone religiose. Invece, a livello di gruppi sociali, una più alta percentuale di atei è generalmente associata a una migliore salute pubblica.

Ma vi sbagliate se pensate che un mondo ateo sarebbe un paradiso di razionalità. “Anche se non credono più in dio, non significa che le persone non sentano il bisogno del soprannaturale”, dice Norenzayan.

“Perfino nelle società a maggioranza atea, molti credono nel paranormale: nell’astrologia, nel karma, negli extraterrestri, in cose che non hanno nessuna base scientifica ma che intuitivamente appaiono credibili”. Questa, però, non è necessariamente una cosa negativa. “L’importante è rendersi conto che la religione nasce da un bisogno psicologico”, dice Norenzayan. “Non possiamo liquidarla dicendo semplicemente che è una forma di superstizione”. Dobbiamo trovare soluzioni alternative agli eterni problemi della vita che la religione cerca di risolvere. Se una società riesce a fare questo, può anche accettare l’ateismo”.

Riunioni come quella della congregazione laica di Londra possono essere utili in questo senso, andando incontro alle esigenze dei non credenti che sentono il bisogno di una comunità e di una visione morale condivisa. Esprimono valori laici e trasmettono il messaggio che anche una società senza dio può essere sana. Se questo significa accettare un certo livello di irrazionalità new age, pazienza.

Tutto questo ci porta a immaginare una futura società atea molto diversa da quella fredda e razionale di Weber e Durkheim – e più recentemente di Richard Dawkins e degli altri nuovi atei. Più indifferente che ostile alla religione, ma tutto sommato una società sana. Non molto diversa da quella britannica di oggi. E mentre torno alla mia macchina in un’assolata domenica mattina, non posso fare a

meno di pensare che non sarebbe poi tanto male.

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