IL PROLOGO GIOVANNEO
Roberta Belluati
Uno dei tanti miti passati anche alla Massoneria è quello di Giano, il dìo dall’aspetto bicefalo, di probabile derivazione orientale, il cui culto fu creato da Numa Pompilio (VI sec.a.C.), con il nome di Lanus Geminus, col quale fu istituito l’anno solare e dunque il primo mese: Tanuarius, appunto il mese di Giano, “il dìo degli inizi”. lanus etimologicamente è stato 0ggetto di varie interpretazioni, dall’identificazione con il Sole insita nella radice indoeuropea “dey”: brillare, all’assimilazione con “janua”: porta e con il verbo lat. “ire”, corrispondente al sscr. “yana”: cammino, che rimanda ad un’idea di movimento e di passaggio, laddove il duplice aspetto si riferirebbe alla doppia funzione di apertura e di chiusura della dimensione spaziotemporale, implicando dunque l’idea sottesa di un cardine immobile, costitutivo del “terzo volto”, quello nascosto, simbolo dell’eterno presente, da cui il flusso temporale nei due sensi del passato e del futuro. lanus è dunque correlabile all’antica concezione di “seminus”, connotante i due aspetti del tempo, le due porte: dell’inferno e del paradiso, le due facce d’Oriente e d’Occidente, riferibili ai due solstizi, rappresentativi del cammino del sole. Giano dunque quale “axis mundi”, cardo anni, ad indicare il solstizio, ossia il punto celeste
cardine della ruota cosmica. Datali correlazioni emerge un duplice riferimento, ad una tradizione cioè solare ed iniziatica.
È noto d’altronde anche il riferimento di Virgilio alle porte del Tempio di Giano dell’ Argileto, che venivano aperte quando Roma entrava in guerra e chiuse quando entrava in pace, da cui l’idea di “renovatio”, di rinnovamento. Per tali aspetti simbolici e per le correlazioni etimologiche, ecco che Ianus si presenta a noi trasmesso nella tradizione “ioannita”. Hannà. Tohan, Ioanne Giovanni. Giovanni bifronte: Battista ed Evangelista a scandire l’alternanza solstiziale massonica. Giovanni viene rappresentato dalla tradizione ioannita come “la grandi de aquila dalla vaste ali e dalle ampie membra, ricca di piume di vario colore, che venne al Libano e prese il midollo del cedro, strappò la cima dei suoi rami e li trasportò in terra di Canaan.” (Ez.17,3-4) Analogamente al volatile regale, in grado di guardare direttamente la luce del sole, emblematico dunque dell’intelligenza intuitiva, Giovanni dalle profondità dei misteri divini coglie direttamente il Verbo e lo manifesta, irradiandolo agli uomini sulla terra.
Giovanni Evangelista, il discepolo che Gesù amava, che riposò sul suo petto, fu testimone oculare dei fatti che racconta e trasmette attraverso
una delle prime comunità cristiane:”
Questo è il discepolo che rende testimonianza su quei fatti e li ha scritti.” (Gv.21,24).
E Giovanni Evangelista testimonia di Giovanni Battista: “Venne un uomo mandato da Dio, ed il suo nome era Giovanni… Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.” (Gv.1,6-8).
È la metafisica della luce dunque a collegare i due Giovanni ed il Prologo ai primi versi del Genesi: “la Luce Vera” (Gv.1-8) e “la luce del
Principio” (Gen.1-3). Principio traduce infatti l’ebraico Bereshit: “In Principio”, in cui Dio disse :’Sia la Luce. E la Luce fu”. Luce-non luce, in quanto si tratta dell’origine della luce, “luce prima” della creazione, quella “nascosta” del “giorno uno” o del “giorno dell’Uno” (Rashi), anteriore al cielo, all’acqua ed alla terra, anteriore ai grandi luminari del sole e della luna, regolativi del giorno e della notte.
Analogamente alla “luce” di Giovanni, l’interpretazione del Genesi di Rashi, ispirata all’antico Midrash, fonte della stessa tradizione ioannita, pone all’inizio del testo, non “lInizio”, ma “la Parola creatrice di luce”, indicando in tale Principio non un ordine cronologico, ma un atto unitario. Principio dunque non equivale ad Inizio, pur contenendo ogni inizio. Principio dunque come Parola di Luce secondo la sinestesi biblica la luce è percepita contemporaneamente come suono, parola: “Davar”, che in ebraico designa la cosa ed è al contempo la cosa stessa, in quanto “illuminata” dalla parola . In questo senso dunque, Davar, il Logos, il Verbo “si fece carne”, in quanto parola di vita, “luce che splende nelle tenebre” (Gv.1,5) Il Verbo infatti “era nel Principio” Gv.1,1): “ciò che è prodotto o che procede da qualcosa è prima di tutto in esso, preesiste in esso come seme, come potenza.” (Eckhart) “Il verbo era Dio”. (Gv.1,1) Tale seme-parola contenuta nel Principio. dice, annuncia ed enuncia ciò da cui procede. in quanto è in esso, ad esso simile ed al contempo distinto. Contemporaneamente l’identico ed il diverso. Così è l’uomo, a sua volta identico e diverso dal suo simile ed adesso irreversibilmente legato, con esso fondamentalmente in relazione. La relazione è ciò che è “In Principio”, come principio di relazione. Afferma il Genesi Rabbà (1,1) “In Principio significa “per amore della Torah” che è chiamata “il principio della sua via” (Prov. 8,22.) Dunque si tratta del Principio di relazione, del Principio d’Amore. La particella “Be” di “Be-Reshit” (letteralmente :’In-Principio), significa infatti, sia “in” che “per amore di”.
L’Atto Primo è quindi Atto d’Amore, nell’accezione ebraica di “Hesed”: grazia, sovrabbondanza, carità, da cui si può tornare peraltro al significato del nome di Giovanni, attraverso il sistema combinatorio delle associazioni etimologiche radicali, proprio dell’ermeneutica midrashica. La radice ebraica “hnn”, in forma nominale, ricorre nei sostantivi “hen”: favore, grazia, c “hanninà”: misericordia, e viene tradotta in greco dai Settanta, con “caris”: carità. Amore, Misericordia, Carità. “Hnn” è anche radice del nome proprio: “Hannà”, da cui Giovanni. Il nome di Giovanni verrebbe così a corrispondere all’“annuncio dell’ Amore”. Amore quale Atto Primo del Genesi, reiterato
nel Prologo, ad indicare la creazione continua della vita. un Unico Atto d’Amore, in quanto “In Principio”. Amore dunque quale principio vitale di relazione, da cui l’indivisibile coppia prima: “Io-Tu”, l’identico ed il diverso, insieme all’Origine. Ne segue il “Facciamo l’uomo” dell’ Antico Testamento Gen.1,26) e l’analogo “Non fare agli altri… Fai …Ama il prossimo tuo come te stesso” del Nuovo Testamento, in quanto la molteplicità è nell’Unità, gli uomini nell’Unico Uomo Universale ad imago Dei. Tale Uomo-Verbo, se è sempre “In Principio”,“sempre nasce e sempre è nato”, afferma Echkart. A suffragare tale affermazione la frase: “In Principio era il Verbo” del Prologo, rivela l’influsso ebraico nell’uso del verbo essere, il cui imperfetto può al contempo indicare
sia l’azione del futuro che quella del passato, rotazione resa possibile dall’aggiunta della particella inversiva “waw”, corrispondente al punto nascosto, al cardine centrale: l’eterno presente, l’istante di ogni attimo, il Centro ovunque, in riferimento al quale la vita appare essere continua.
È così allora che “In Principio era il Verbo” o “Il Verbo era nel Principio”, si danno come due possibili traduzioni, ad indicare rispettivamente le due dimensioni della temporalità e dell’eternità, l’una generando e contenendo altra, in virtù della Parola che sempre È, la quale, come afferma la Torah (la Parola per eccellenza), “è strumento di lavoro del Santo” (Bereshit RabbàI). La Torah, in quanto Parola, era infatti al suo fianco nell’opera della creazione, come “Amon”: come “Architetto dell’Universo”. (Prov.$8,3 0).
La tradizione giudeo-cristiana ioannita si ricongiunge così alla tradizione massonica.