I GIOVANI E LA MORALE

I GIOVANI E  LA MORALE

di G. D. N.

I giovani, contrariamente a quanto in genere si tende a credere, hanno un preciso senso di orientamento etico, anche se in molti casi non rispecchia quello di noi adulti.

Interrogandoli sui loro orientamenti di vita, sulle scelte di fondo, sui criteri alla base delle loro decisioni, riscontriamo una notevole uniformità di tendenze e questo al di là delle differenze geografiche, di sesso o di ambienti. Per quanto riguarda i principî, possiamo quindi dire che esiste un consenso morale. Cambiano invece le modalità di concretizzarli, di tradurli nella pratica quotidiana e nei modelli di vita.

Questo perché i giovani riconoscono ad ogni persona la possibilità di fare scelte con criteri propri.

Schematizzando possiamo ridurre a tre i criteri fondamentali su cui si fonda l’orientamento morale giovanile.

Il criterio base è il principio dell’autorealizzazione: il giovane d’oggi è un soggetto che si affaccia alla società con una forte esigenza di radicamento personale, di dare un senso alla sua vita e realizzare le sue potenzialità.

Rileva una attenzione per la sfera della libertà ed espressività personale e quindi un rifiuto dei condizionamenti.

AI di là dei vincoli del sistema che riconosce esistere, cerca una propria individualità.

Questo è un dato molto importante, tipico di una cultura della società avanzata o pluralista, che permette ad ogni persona di ritagliarsi un suo spazio, sebbene piccolo, ridotto, ridimensionato rispetto alle attese, in cui giocare la propria libertà.

E questo è un valore: è l’affermazione dell’autonomia di realizzazione al di là dei vincoli del sistema sociale.

Il secondo criterio è un corollario del primo e chiarisce la prospettiva dell’agire morale. Lo potremo definire «l’intento dell’affettività».

Qualsiasi situazione, avvenimento, relazione, viene valutata in base alla sua possibilità di migliorare o meno la comunicazione interpersonale. Il giovane valuta positivamente le situazioni in cui si sente accolto  e accettato, nelle quali può essere riconosciuto e riconoscere gli altri.

Egli intende costruire la propria identità all’interno di uno scambio affettivo e delude le aspettative di coloro che si aspettano una maggiore

attenzione per la carriera e il successo mondano. Anche questo è un dato positivo.

Il terzo criterio è quello della «praticabilità».

I giovani ricercano una qualità della vita realizzabile nel contesto quotidiano, non si propongono grandi ideali, ma tendono a obiettivi praticabili; a delle mete che in qualche modo si possono comporre con

le tensioni, le speranze, le difficoltà, i bisogni dell’esistenza quotidiana.

Siamo in presenza di giovani realisti meno velleitari di un tempo, intenti

a creare delle sane, pacifiche, vivibili condizioni di vita.

Tutto questo in un contesto dove invece sembrano prevalere l’insicurezza, l’incertezza, la frammentarietà.

Sembra assente nei giovani la preoccupazione di conformare il proprio

comportamento a norme morali oggettive universalmente riconosciute,

ispirate da istanze sociali, religiose o politiche.

Essi vivono in un contesto sociale in cui prevale la cultura che propone

come criterio primo quello dell’autorealizzazione e pone il soggetto al centro delle cose: è l’individuo a determinare ciò che è bene e ciò che è male. E’ vero che esistono criteri tendenzialmente uniformi, ma, senza schematizzare, possiamo affermare che la nostra è una società così complessa e articolata che, se non ha senso dire che la persona è libera da ogni condizionamento, non ha neppure senso dire che il soggetto non ha libertà ed è sempre condizionato.

L’ambivalenza è ovunque ed emerge anche nel rapporto tra libertà e determinismo, creatività e costrizione.

A questo riguardo, la condizione giovanile prefigura quello che capiterà un domani, quando i giovani saranno adulti e dovranno confrontarsi con la molteplicità dei modelli e delle istanze culturali, bombardati continuamente dai mass-media, liberi dalle barriere geografiche, costretti a ridurre la propria vita culturale a spazi ristretti, per potere a questo livello, trovare un equilibrio.

È impensabile che una persona potrà far fronte a tutte le sollecitazioni

che le arriveranno dalla sua esposizione socio-culturale.

Sarà necessariamente costretta a ridurre il suo ambito di conoscenza e, all’interno di questo, trovare una risposta.

Ciò significa che un equilibrio sarà possibile, ma solo a patto di restringere i confini del problema che di volta in volta verrà immesso

nel campo di riferimento.

Lo si vede già oggi di fronte ad alcuni fenomeni. Chi interroga i giovani o gli adulti su problemi emergenti come l’eutanasia o la fecondazione artificiale constata che le persone non conoscono il problema nella complessità delle sue istanze etiche e culturali. L’individuo valuta il problema in base a due o tre convinzioni che valgono in termini personali.

Dal punto divista dei principî oggettivi siamo evidentemente difronte ad una riduzione e semplificazione del problema. Eppure, oggi, è in questo modo che i giovani impostano la loro esistenza.

È una delle tante ripercussioni provocate dalla complessità sociale sulla coscienza del singolo.

Oggi è impensabile che in campo morale, come in altri, si arrivi al l’oggettivo. La semplificazione è una condizione di governabilità.

Di fronte alla molteplicità dei problemi e delle soluzioni possibili, l’individuo è costretto, se non vuole esplodere, a semplificare e ridurre

la complessività del problema.

I giovani in questo sono dei prototipi. Sono i primi ad inaugurare un processo decisionale che non si propone di risolvere tutto, ma di elaborare una soluzione possibile che permette al singolo di affrontare

in modo non traumatico la realtà. Anche se la società ha il suo peso, si rilevano capaci di trovare degli anticorpi che permettono loro di affrontare le situazioni secondo modelli non convenzionali.

Nella distinzione tra bene e male, da sempre cardine di ogni concezione

morale, il bene è fondamentalmente, per i giovani, essere se stessi, è non dipendere dagli altri non solo in termini economici, ma in senso spirituale. È realizzarsi: riuscire a far coincidere l’ideale con la vita quotidiana, con le scelte pratiche di tutti i giorni. È essere autentici. Il bene è un bene soggettivo. Bene non significa uniformare il comportamento ad un ordine morale esteriore, ma va cercato dentro di sé.

E qui i giovani ci danno una lezione di vita e di moralità, quando interrogati rispondono che per loro l’essere prevale sull’avere, sulla  carriera, sul successo. E noi sentiamo allora che i principî massonici

che ci hanno affascinato e che tentiamo di realizzare, rispecchiano in fondo gli ideali insiti nel cuore umano, quegli ideali che da giovani spontaneamente si abbracciano, prima che il vivere nel mondo ci contamini.

Il richiamo alla serietà, all’onestà, alla sincerità, alla correttezza è continuo nella concezione morale dei giovani.

Altrettanto forte è la convinzione che per ogni persona esiste una zona

«franca» rappresentata dalla sua esperienza e autonomia, che nessuno

può violare.

La tolleranza è una virtù cara ad un’ampia fascia giovanile; soprattutto

i soggetti con istruzione medio-elevata, accettano il pluralismo delle scelte e manifestano grande tolleranza nei confronti della diversità di opinioni e comportamento.

A volte sono rigidi. Criticano con severità il modello etico dei padri, centrato sull’apparenza, sul successo, la buona reputazione, le consuetudini o le abitudini. Almeno a parole, vogliono una vita più autentica e immediata, meno dipendente dal consenso generalizzato, dalle consuetudini, e dalle norme tradizionali.

Non sono contro le norme come tali. Rifiutano quelle norme che sono prive di senso o costringono a impostare la vita in modo troppo formale.

Sono sensibili ai problemi della giustizia, auspicano una maggiore distribuzione dei beni, condannano l’evasione fiscale e l’assenteismo, chi si è arricchito troppo o ingiustamente.

In altre parole sono migliori di noi perché più «nuovi», più intatti.

Ma hanno bisogno del nostro aiuto; schierandoci al loro fianco, noi possiamo far si che le difficoltà non li fiacchino, la negativa esperienza

della non conseguenzialità fra sforzi e risultati nella scuola e nel lavoro non li demotivi e li induca ad accontentarsi di spazi troppo ristretti.

Se così fosse, rischieremmo di avere delle nuove generazioni che, rifiutando lo sforzo di trovare soluzioni radicali, avranno orientamenti

morali autori produttivi che si perpetueranno senza rigenerarsi e senza maturare scelte alternative.

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