MANZONI E IL ROMANZO TACIUTO

MANZONI E IL ROMANZO TACIUTO.

 Lettura esoterica dei Promessi Sposi.

di Antonino Iacino

.L ’ironia romantica è certamente radicata nel nostro romanzo nazionale più di quanto la critica abbia mai fatto apprezzare: un aristocratico narratore, anzi sdoppiato che guarda con distanza i suoi personaggi, li giudica, interviene, spesso commenta. Per la coscienza moderna, un narratore quasi antipatico che palesa una sorta di compiacimento nei confronti del personaggio di Lucia , una sorta di doppio al femminile, che tuttavia segue con qualche palpito, anche se condito con un tacito rimprovero, il giovane Renzo, l’anima palpitante del romanzo di contro all’anima pensante di Lucia. Il progetto manzoniano è passato attraverso la critica cattolica, liberal-cattolica, marxista: si è sempre discusso sull’evidenza della scrittura e sulle fonti riconoscibili e ammesse dallo stesso auto l’esperimento del romanzo storico e della sua ambientazione ha fatto scorrere fiumi d’inchiostro su Cervantes e sul romanzo spagnolo del siglo de oro. Più difficile è riconoscere dietro le pagine del casto Manzoni un autore mirabolante come Apuleio e le sue Metamorfosi, un romanzo iniziatico ed esoterico. Più facile è riconoscere Voltaire e gli altri illuministi, i romanzieri inglesi del Settecento: l’evidenza è sempre meno importante di ciò che è  e diverte senz’altro meno anche il lettore moderno. Il Manzoni avverte ad un certo punto del romanzo, nel cap. XV, ossia lascia una traccia che i suoi venticinque lettori, i suoi interlocutori ideali, possono cogliere: Renzo, all’osteria della Luna Piena, ormai privo di ogni freno inibitore viene portato a letto dall’oste e a questo punto vi è una curiosa similitudine condita di forte ironia decisamente voluta, non certo indispensabile, che rimanda all’episodio di Psiche che spia furtivamente le forme del consorte sconosciuto. Va premesso, a ricordo, che il Manzoni nella sua Lettera sul Romanticismo del 1823 al marchese Cesare D’Azeglio traccia il quadro di un manifesto su quello che sarebbe dovuto essere il Romanticismo italiano: la lettera si compone di una pars destruens e una pars construens e nella prima vi è una lunga tirata contro la mitologia detta idolatria e una critica severa ai classicisti. Eppure nel quadro di questo assoluto rifiuto spunta Amore e Psiche; ma la citazione risulterebbe peregrina, se il risveglio di Renzo non fosse simile a quello di Lucio nel III capitolo delle Metamorfosi all’indomani dell’ammazzamento dei briganti-otri nella ricorrenza della festa del Risus. Lucio come Renzo completamente sbronzo dopo il banchetto a casa di Birrena torna a notte inoltrata a casa del suo ospite Milone e crede che la casa sia assalita da briganti e non esita a ucciderli, pur nella convinzione di aver commesso un triplice omicidio: il risveglio è assolutamente simile a quello di Renzo con i gendarmi e le manette e il trasferimento del protagonista in un “luogo di giustizia” attraverso le strade della città. Per entrambi i protagonisti ci sarà la fuga e la salvezza: per Renzo il ricorso alla folla cittadina e la corsa fuori città per raggiungere Bergamo e per Lucio la presa di coscienza dello scherzo e la sua celebrazione. A prescindere dalle coincidenze della narrazione, dei luoghi e dei gesti, che rende inequivocabile il confronto, non si può negare che Renzo come Lucio sono personaggi in fieri, muoiono e rinascono diverse volte nel romanzo: per Renzo la calata nell’Inferno della Luna Piena rende possibile una sorta di rinascita al risveglio; per Lucio il dipanarsi delle metamorfosi scandiscono le fasi dell’iniziazione del personaggio: da pezzo d’asino (come dice l’oste della Luna Piena di Renzo) a sacerdote di Iside e Osiride. Renzo, dopo la fuga verso Bergamo, cambia radicalmente acquisendo una mentalità fattiva, pragmatica, concretamente antiutopica. È certo che Manzoni è più indulgente con il suo personaggio che Apuleio con il suo: a Lucio non è risparmiato niente, affonda nell’esperienza più sordida anche se la facies asinina diviene un filtro per il male universale, uno schermo come le mani di Virgilio davanti agli occhi di Dante al limitar della città di Dite; Manzoni è più mite con Renzo che viene mandato ad un decoroso esilio a Bergamo, viene allontanato, come in tutti i riti di iniziazione per tenersi pronto ad affrontare la città della morte, il lazzaretto e infine l’alter ego di se stesso, il proprio genius cattivo, Don Rodrigo, che deve essere perdonato per poter morire definitivamente. L’ultima prova di Renzo è vincere se stesso, l’ostacolo più sublime, il passo più difficile. La posta in gioco è Lucia, la nuova Psiche a cui Renzo non rinuncia e che ritrova nel cuore dell’Inferno della malattia e della sofferenza. Lucia, come Psiche, cade nel torpore del voto: la sua rinuncia è come il sonno che assale la protagonista della fabella. Renzo la risveglia e recupera la propria anima. Il Manzoni che il cattolicesimo liberale ha fatto suo per decenni e ne ha imposto la dottrina in tutti i gradi del sistema scolastico si riscopre autore esoterico che guarda non solo al Candido di Voltaire e ai teologi del Seicento, ma anche al medaurense del II secolo di cui per altro apprezza il linguaggio, quel sermo quotidiano che trancia la cesura fra lingua parlata e scritta. Scrive lo stesso Manzoni a C. Fauriel nel 1806: […] Per nostra sventura, lo stato dell’Italia divisa in frammenti, la pigrizia e l’ignoranza quasi generale hanno posta tanta distanza tra la lingua parlata e la lingua scritta, che questa può dirsi quasi lingua morta […]. Vi confesso ch’io veggo un piacere misto di invidia il popolo di Parigi intendere e applaudire alle commedie di Molière. A dimostrazione di questa filiazione Apuleio-Manzoni mi si conceda di sottolineare un altro prestito interessante: la vecchia che accudisce Lucia nel castello dell’Innominato, la vecchia dei bravi, è pressoché identica nelle fattezze alla vecchia dei briganti in cui incappa Lucio all’indomani della sua metamorfosi. Addentrarsi ulteriormente nella questione richiederebbe una lunga trattazione. Possano bastare a conclusione le parole di Gadda, grande lettore del Manzoni: Che avete mai combinato, Don Alessandro, che qui , nella vostra terra, dove speravate nell’indulgenza di venticinque sottoscrittori, tutti vi hanno preso per un povero di spirito-

HIRAM 1/2012

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