DODICI COME LE COLONNE DEL TEMPIO
Rivive negli obelischi romani il massonico ed umano desiderio di Luce
di P. P.
La frase d’ Eraclito: “Il Sole è nuovo ogni giorno”, pronunciata ovviamente in senso mitico, trova ragion d’essere nella nostra antica capacità di cogliere impressioni luminose e senso spaziale, le due forme più primitive e, nel contempo, l’espressione più profonda dell’intelligenza umana.
Per noi Massoni, non solo la terra, ma anche noi stessi, il nostro lo spirituale, tutto è alimentato dal Sole e dalla luce. Ogni singola determinazione spaziale, acquista un particolare carattere divino o demonico, positivo o negativo, sacro o profano. E forse per queste ragioni ed intime sensazioni, che i dodici obelischi esistenti a Roma, unica città al mondo a poterli vantare, ci appaiono. come un simbolico riferimento alle dodici Colonne del Tempio, alle stesse dodici fatiche di Ercole, corrispondenti al dodici segni zodiacali. Una realtà che va al di là della curiosità turistica, identificando in essa, oltre ad un ideale legame con l’Egitto, fonte della civiltà occidentale e di una parte stessa della nostra cultura, soprattutto la simbolica rappresentazione del “desiderio di luce”, da intendersi come “luce dello spirito”, “luce della saggezza”. Agli scopi commemorativi di queste steli, così come alle loro funzioni di -gnomoni- di gigantesche meridiane, si aggiungono pertanto aspetti allegorici. Ecco così che quel loro offrirsi al Sole, assume il sapore di desiderio umano di luce. Sole e Luce che non vengono interpretati ben inteso, come divinità, ma come la più prossima ed immediata testimonianza del divino, della divina volontà di redenzione e della potenza salvatica del nostro G.A.D.U.
Sebbene distanti dalla nostra cultura contemporanea del mondo profano, provenienti da un lontano passato, questi dodici obelischi, con la loro nobile semplicità, ci sembrano esaltare la triplice costituzione energetica dell’uomo: fisica, animica e spirituale, assumendo per noi Massoni, con la loro stessa natura granitica o di sienite, come un richiamo alla pietra grezza ed al mito greco di Decaulione e Pirra, che fa nascere gli uomini dalle pietre.
Sarà dunque per questo insieme di sottile esoterismo, che i dodici “raggi di sole” giunti a Roma in epoca imperiale, suscitano in noi delle particolari sensazioni. Dimenticati nel periodo di decadenza e nel Medio Evo, tornarono poi a svettare nelle piazze dell’Urbe, offrendosi agli occhi di tutto il mondo. Questi i nomi ed in breve la loro storia, nell’intenzione un po’ provocatoria, di invitarvi a guardarli con gli occhi dello spirito e del cuore.
1)Agonale
2) Aureliano
3) Esquilino
4) Lateranense
5) Macuteo
6) Minerveo
7) Matteiano
8) Popolo o Flaminio
9) Quirinale
10) Sallustiano
11) Solare
12) Vaticano.
Fatta la loro globale conoscenza, scopriamoli uno per uno, più da vicino. Il primo: Agonale, e così detto perché posto in Piazza Navona, il cui nome deriva dalla parola greca ‘agon’ e cioè combattimento, riferito al circo di Domiziano, che la occupava. Fu Innocenzo X che lo fece collocare dal Bernini sullo scoglio quadruplice della meravigliosa fontana centrale, detta dei Fiumi. In origine tale obelisco, di granito rosso, con geroglifici, si trovava nel Circo di Romolo, figlio di Massenzio sulla via Appia.
Il secondo è l’Aureliano, dal nome dell’imperatore, fu innalzato sul Colle del Pincio. Collocato in un primo tempo presso il monumento funebre di Antinoo, il favorito di Adriano morto annegato, venne poi eretto ad ornamento della spina dell’anfiteatro Castrense, eretto dal suddetto sovrano. Terzo obelisco l’Esquilino, sul colle omonimo, detto anche Cispio, presso il tempio di Giunone Lucina, dove sorge la Basilica di Santa Maria Maggiore dalla parte absidale. E in granito rosso e senza geroglifici. In origine ornava il Mausoleo di Augusto. Vi è poi quello Lateranense, in Piazza di San Giovanni in Laterano, così chiamato perché vi si trovava la splendida villa di Plauzio Laterano, morto per aver partecipato alla congiura contro Nerone. Questo monumentale monolito è il più alto di tutti (32 metri) ed è anche il più ricco di geroglifici. Innalzato a Karnak per adornare il tempio di Ammon-Rhà, da Tutmosi II. Per quanto riportato sul geroglifici, Tutmosi III e Ramses VI (Sesostri) lo fecero restaurare. Fu Costanzo, dopo il tentativo di Costantino, reso vano dalla morte, a trasferirlo a Roma su di un vascello di trecento remi, ponendolo sulla spina del Circo Massimo. Giacque poi sepolto per secoli, sino a quando Sisto V lo fece dissotterrare, restaurare ed innalzare su un piedistallo di granito rosso.
Quinto “raggio di sole”, il più piccolo: Macuteo, dal nome appunto della piazza (di San Macuteo) in cui si trovava sin dal tempi di Paolo V; fu Gregorio XIII a farlo porre sulla fontana che adorna Piazza della Rotonda.
Copia pressoché perfetta di questo obelisco, vero e proprio gemello, il Minerveo, eretto dal Faraone Psanatico II e dedicato alla Dea Neith. Entrambi servivano in Roma, ad adornare il tempio di Iside e di Serapide. Fu il Bernini a trovargli un inconsueto basamento: la groppa di un meraviglioso elefantino bardato, che ancor oggi adorna Piazza della Minerva. Il nostro viaggio continua, con il Matteiano, sito nella villa Mattei, poi Godoi (ed oggi villa Celimontana). Antico nella parte alta, è rifatto in quella in basso con geroglifici imitati. A questo obelisco è comunque legato un tragico episodio: quando nel 1820 gli fu data l’attuale sistemazione, mentre gli operai provvedevano ad ultimare le operazioni, l’obelisco amputò traumaticamente, ad uno di essi, braccia e mani che, per macabro particolare, sono rimaste imprigionate sotto di esso.
Superbo ed imponente invece, l’obelisco di Piazza del Popolo da cui prende il nome (o Flaminio), in granito rosso, coperto di geroglifici, che si leggono su tre file, dall’alto in basso. Voluto da Ramses III in Eliopoli, città del basso Egitto, fu dedicato al Dio Sole Rhà. Fu Ottaviano, dopo la vittoria di Azio, a trasportarlo a Roma ed a farlo collocare nel Circo Massimo, rimanendo sempre dedicato al Dio Sole. Furono poi Sisto V e Leone XII a farlo rispettivamente, restaurare e porlo dove si trova attualmente (il primo), ed a farlo circondare con gradinata, quattro leoni in stile egizio e vasche sottostanti (il secondo).
Il nono svettante obelisco è invece il Quirinale, sulcolle dove sorgeva l’antico tempio di epoca regia, dedicato al Dio Quirino (Romolo). E in granito rosso e pressoché gemello dell’Esquilino. Sempre in granito rosso, anche il Sallustiano, situato di fronte alla Chiesa di Trinità dei Monti. Deve il suo nome al fatto che adornava il Circo che si trovava negli Orti Sallustiani, circo detto anche Apollinare poichè dedicato ai giochi in onore di Apollo. Rimasto per secoli interrato nella Villa Ludovisi, nel 1789 venne posto, quasi come coronamento, in cima alla gradinata a due rampe, che sale da Piazza di Spagna. Undicesimo “gigante” il Solare, situato in Piazza di Monte Citorio. Portato dall’Egitto da Augusto, venne collocato in Campo Marzio e serviva da gnomone per la meridiana: di qui il nome e dedica al sole. Restaurato al tempi di Pio VI, venne “arricchito” sulla cima da una palla traforata che a mezzodì viene attraversata dal raggi solari.
Ultimo ed unico superbo monolite intatto è il Vaticano. Composto da tre basi in granito, sorgeva a Eliopoli. Caligola lo trasportò a Roma e lo pose nel proprio Circo, alle falde del Colle Vaticano, dedicandolo ai predecessori Augusto e Tiberio. Per la sua attuale collocazione, avvenuta il 10 settembre 1586, vennero spesi 40 mila scudi, impiegati 40 argani, 140 cavalli ed 800 operai. L’obelisco, che è stato dedicato alla Croce, serve anche da gnomone alla esistente meridiana.
Senza intenzioni da “obeliscomani”, abbiamo dunque voluto tracciare un breve profilo di questi obelischi, unici al mondo. Pur lasciando libero ciascuno, di usare le più diverse chiavi di lettura, riteniamo che per la loro rappresentatività, per quel simbolismo e quell’allegoria che noi vi ritroviamo, agli occhi di un Massone, sempre appariranno, aldilà della loro materialità, come espressione di ‘primitiva’ ed inesauribile fonte di ‘religiosità’ e vita morale. Un segno, solo in apparenza profano, pregno di silenziosi messaggi e sottili vibrazioni.
(tratto da Hiram n.9 – )