LA TOLLERANZA ED ALTRI PENSIERI
(considerazioni di un Toscano)
Noi Toscani, siamo gente di parte, uno bianco, l’altro nero, mai uniti, sempre divisi. Siamo litigiosi, rancorosi, velenosi, pronti a giocarci un’amicizia per il gusto di una battuta feroce: siamo “toscanacci”.
La nostra è una storia (complicatissima) di scontri, lotte fratricide, battaglie all’ultimo sangue, di polemiche astiose. Basta una partita di calcio fra due squadre di città, di paesi, di borghi e subito il campanile infiamma gli animi.
Non parliamo poi delle contrade (quartieri con compiti di assistenza reciproca e solidarietà ad ogni costo). Avete presente il Palio di Siena? Ebbene sino al 1754 (il nostro, checché ne dicano coloro che in altre Città organizzano corse di ronzini, è il più vecchio), per decreto del Granduca, era ammesso l’omicidio, in Piazza del Campo, per ragioni di rivalità … Le sventure del nostro sommo poeta Dante, costretto all’esilio eterno (anche da morto) sono lo specchio della nostra intolleranza, così come le vendette piccole o grandi che Dante si prende dei suoi avversari nella Commedia (tutti all’inferno, naturalmente) sono lo specchio del nostro bisogno di rivalsa.
Dopo queste premesse è quasi un obbligo per noi toscani sentirci non tollerati fuori dai nostri confini, anche se “dentro” non sono tutte rosee fiori …
Queste considerazioni preliminari, forse folkloristiche, servono per andare più lontano.
Giornalmente, più volte al giorno, veniamo a contatto con gli “altri”. Chi sono? Neri, gialli, biondi, condomini, gay , colleghi, etc., etc.. Per quanto mi riguarda una volta al giorno ne mando a stendere almeno uno, non necessariamente, però, uno per categoria.
Poi ci ripenso e mi viene in mente un termine: TOLLERANZA di cui sento parlare fra le colonne. Che poi ne senta parlare e non riesca a vederne l’applicazione, questo dipenderà sicuramente dalla mia cecità.
Cosa vuol dire questo termine? A mio avviso, ma non pretendo di indovinare al primo colpo e sono consapevole che la mia difficilmente potrà essere “la” definizione, la tolleranza è permettere al prossimo di essere libero senza che questo limiti la mia libertà.
Vorrei pormi delle domande ad alta voce e verificare se tutti insieme potremo arrivare ad una risposta adeguata:
La tolleranza, può essere imposta?
La tolleranza è connaturata nell’individuo?
La tolleranza vuol dire permissività e/o lassismo?
La tolleranza ammette o giustifica discriminazioni e/o distinguo?
Si può affermare: Sono tollerante, ma non verso chi mi da fastidio o verso chi IO giudico fuori dai MIEI schemi? Le domande non sono solo queste, naturalmente, ma penso siano sufficienti per dare il via alla catena di altre domande alle quali ciascuno dovrà rispondere non agli altri, ma alla propria coscienza. Vorrei citare un episodio ricorrente che mi riguarda. Sono in Piemonte da 34 anni (in Toscana ne ho vissuti 24) eppure, quando mi scappa la battuta, l’osservazione, la frase ironica, qualcuno, come sempre, ripete: “… ma lascialo dire, è un toscanaccio …”. Credo che questa frase, sempre detta in tono scherzoso, ed apparentemente tollerante, nasconda invece, nel profondo, l’intolleranza. Sembra quasi che mi si riconosca il diritto di cittadinanza, ma non di uguaglianza. Probabilmente qualcuno può pensare “cosa pretende? Appartiene ad una razza di intolleranti …”.
Appunto. Episodi presi dalla quotidianità sono un esempio di quanta tolleranza vi sia nell’ambiente in cui viviamo.
Prendo due fatti a caso: gay pride ed extracomunitari, ma potrei parlare di vecchi, bambini, donne, operai, etc., etc., etc.
Un inciso mi sembra doveroso: questa tavola intende parlare di episodi sotto l’ottica della tolleranza, non della solidarietà.
Sul gay pride, probabilmente le polemiche hanno avuto il sopravvento
sull’accaduto, tant’è che qui da noi, in Italia, siamo stati subito pronti a dividerci in “circa” due fazioni. In effetti, le fazioni coincidono perfettamente con il numero degli abitanti della Penisola, residenti all’estero compresi. L’argomento non è facile, ma credo che uno dei modi per affrontare il problema, visto con gli occhi della tolleranza, sia quello di essere convinti che “Esistono”.
Fanno parte quindi, non so in che percentuale, del nostro prossimo. Noi massoni come ci poniamo, di fronte a questo problema? Siamo coscienti del fatto che, essendo noi estrazione della società, essi sono
anche fra noi? Li trattiamo come fratelli od abbiamo delle riserve mentali? Se abbiamo delle riserve per loro, perché no per gli ebrei, i neri, i drogati e tutta quella parte della società che, per un nostro individuale modo di pensare non corrisponde agli schemi prefissati che ci poniamo? L’Umanità che ci siamo impegnati a migliorare, non è onnicomprensiva? Potremo rifiutare l’iniziazione ad un profano di buone intenzioni che si dichiara gay?
E se si manifesta dopo? Lo convinciamo che non può stare con noi?
Per gli extracomunitari è stato detto tutto ed il contrario di tutto. Tranne l’incontrovertibile fatto che se sono qui da noi, nella stragrande
maggioranza dei casi, dipende anche dal nostro egoismo di società grassa, opulenta, ma soprattutto sorda e cieca.
Moltissimi sarebbero stati felici di restare a casa se avessero potuto usufruire di minime condizioni umane, economiche e politiche. Non credete?
Noi Massoni siamo promotori di alcune iniziative che sicuramente, pur nel loro limite, tendono la mano ai bisognosi. Ho però la sensazione che vi sia la tendenza a scaricare su queste iniziative ciò che ognuno di noi dovrebbe essere lieto di fare anche individualmente. Certo, si può obiettare che essendo le istituzioni composte di persone … Cito il rituale quando durante l’iniziazione recita che “la mano sinistra non sappia cosa fa quella destra” forse intendendo che l’impegno di ciascuno di noi deve essere costante, al di là di ciò che appare ed indipendentemente da associazioni od istituzioni. In alcuni casi queste sono raggruppamenti di cui è molto gratificante far conoscere agli altri di appartenere. È molto facile, in questi casi, dimenticare per strada Io scopo che esse si prefiggono.
Le azioni che porteremo avanti, individualmente, nei confronti di chi soffre, rientreranno fra quelle più efficaci per levigare la nostra pietra e migliorare l’ambiente che ci circonda. Dobbiamo fare qualcosa, altrimenti se attendiamo che il mondo migliori perché noi ci atteggiamo a belli, bravi, buoni, rischiamo l’estinzione della razza umana.
Vorrei citare un episodio che mi riguarda, assicurandovi che, per questa tavola, è l’ultimo.
A Pasqua è venuto a trovarmi un amico di infanzia dalla Toscana, redattore, tra l’altro, di un giornale in vernacolo (noi toscani non abbiamo dialetti a volte incomprensibili e che vengono utilizzati per alzare un muro di intolleranza), appunto il Vernacoliere, famoso tra noi toscani, residenti o transfughi. Guardando tra i miei libri, ha visto alcuni titoli sicuramente massonici e mi ha chiesto quale scopo ci prefiggiamo. Fra le altre cose, ho detto che uno dei nostri scopi è quello di cercare di migliorare l’ambiente che ci circonda (il mondo mi sembra utopia) attraverso il miglioramento di noi stessi. La cosa finì lì. La sera successiva, a cena, mi disse: “Sai, Carlo, voi massoni mi ricordate un film che a suo tempo fece molto successo: L’Armata Brancaleone. Non per quanto riguarda l’organizzazione che non conosco (ripensando