INO BUZZATI.
CE N’È TROPPO DI NATALE (Da: Milano Nostra)
Nel paradiso
degli animali l’anima del somarello chiese all’anima del bue:
– Ti ricordi
per caso quella notte, tanti anni fa, quando ci siamo trovati in una specie di
capanna e là,
nella
mangiatoia…?
– Lasciami
pensare… Ma sì – rispose il bue. – Nella mangiatoia, se ben ricordo, c’era un
bambino
appena nato.
– Bravo. E
da allora sapresti immaginare quanti anni sono passati?
– Eh no,
figurati. Con la memoria da bue che mi ritrovo.
–
Millenovecentosettanta, esattamente.
– Accidenti!
– E a
proposito, lo sai chi era quel bambino?
– Come
faccio a saperlo? Era gente di passaggio, se non sbaglio. Certo, era un
bellissimo bambino.
L’asinello
sussurrò qualche cosa in un orecchio al bue.
– Ma no! –
fece costui – Sul serio? Vorrai scherzare spero.
– La verità.
Lo giuro. Del resto io l’avevo capito subito…
– Io no –
confessò il bue – Si vede che tu sei più intelligente. A me non aveva neppure
sfiorato il
sospetto.
Benché, certo, a vedersi, era un fantolino straordinario.
– Bene, da
allora gli uomini ogni hanno fanno grande festa per l’anniversario della
nascita. Per loro è
la giornata
più bella. Tu li vedessi. È il tempo della serenità, della dolcezza, del riposo
dell’animo,
della pace,
delle gioie famigliari, del volersi bene. Perfino i manigoldi diventano buoni
come
agnelli. Lo
chiamano Natale. Anzi, mi viene un’idea. Già che siamo in argomento, perché non
andiamo a
dare un’occhiata?
– Dove?
– Giù sulla
terra, no!
– Ci sei già
stato?
– Ogni anno,
o quasi, faccio una scappata. Ho un lasciapassare speciale. Te lo puoi fare
dare anche
tu.
Dopotutto, qualche piccola benemerenza possiamo vantarla, noi due.
– Per via di
aver scaldato il bimbo col fiato?
– Su, vieni,
se non vuoi perdere il meglio. Oggi è la Vigilia.
– E il
lasciapassare per me?
– Ho un
cugino all’ufficio passaporti.
Il
lasciapassare fu concesso. Partirono. Lievi lievi, come mammiferi disincarnati.
Planarono sulla
terra,
adocchiarono un lume; vi puntarono sopra. Il lume era una grandissima città. Ed
ecco il
somarello e
il bue aggirarsi per le vie del centro. Trattandosi di spirito, automobili e
tram gli
passavano
attraverso senza danno, e alla loro volta le due bestie passavano attraverso i
muri come
se fossero
fatti d’aria. Così potevano vedere bene tutto quanto.
Era uno
spettacolo impressionante, mille lumi, le vetrine, le ghirlande, gli abeti e lo
sterminato
ingorgo di
automobili, e il vertiginoso formicolio della gente che andava e veniva,
entrava e usciva,
tutti
carichi di pacchi e pacchetti, con un’espressione ansiosa e frenetica, come se
fossero inseguiti.
Il somarello
sembrava divertito. Il bue si guardava intorno con spavento.
– Senti,
amico: mi avevi detto che mi portavi a vedere il Natale. Ma devi esserti
sbagliato. Qui
stanno
facendo la guerra.
– Ma non
vedi come sono tutti contenti?
– Contenti?
A me sembrano dei pazzi.
– Perché tu
sei un provinciale, caro il mio bue. Tu non sei pratico degli uomini moderni,
tutto qui.
Per sentirsi
felici, hanno bisogno di rovinarsi i nervi.
Per
togliersi da quella confusione, il bue, valendosi della sua natura di spirito,
fece una svolazzatine
e si fermò a
curiosare a una finestra del decimo piano. E l’asinello, gentilmente, dietro.
Videro una
stanza riccamente ammobiliata e nella stanza, seduta ad un tavolo, una signora
molto
preoccupata.HTTP://COPIONI.CORRIERESPETTACOLO.IT
Alla sua sinistra, sul tavolo, un cumulo alto mezzo metro di carte e
cartoncini colorati, alla sua
destra una
pila di cartoncini bianchi. Con l’evidente assillo di non perdere un minuto, la
signora,
sveltissima,
prendeva uno dei cartoncini colorati lo esaminava un istante poi consultava
grossi
volumi, subito
scriveva su uno dei cartoncini bianchi, lo infilava in una busta, scriveva
qualcosa
sulla busta,
chiudeva la busta quindi prendeva dal mucchio di destra un altro cartoncino e
ricominciava
la manovra. Quanto tempo ci vorrà a smaltirlo? La sciagurata ansimava.
– La
pagheranno, bene, immagino, – fece il bue – per un lavoro simile.
– Sei
ingenuo, amico mio. Questa è una signora ricchissima e della migliore società.
– E allora
perché si sta massacrando così?
– Non si
massacra. Sta rispondendo ai biglietti di auguri.
– Auguri? E
a che cosa servono?
– Niente.
Zero. Ma chissà come, gli uomini ne hanno una mania.
Si
affacciarono, più in là, a un’altra finestra. Anche qui, gente che, trafelava,
scriveva biglietti su
biglietti,
la fronte imperlata di sudore.
Dovunque le
bestie guardassero, ecco uomini e donne fare pacchi, preparare buste, correre
al
telefono,
spostarsi fulmineamente da una stanza all’altra portando spaghi, nastri, carte,
pendagli e
intanto
entravano giovani inservienti con la faccia devastata portando altri pacchi,
altri scatole altri
fiori altri
mucchi di auguri. E tutto era precipitazione ansia fastidio confusione e una
terribile fatica.
Dappertutto
lo stesso spettacolo. Andare e venire, comprare e impaccare spedire e ricevere
imballare e
sballare chiamare e rispondere e tutti correvano tutti ansimavano con il
terrore di non
fare in
tempo e qualcuno crollava boccheggiando.
– Mi avevi
detto – osservò il bue – che era la festa della serenità, della pace.
– Già –
rispose l’asinello. – Una volta infatti era così. Ma, cosa vuoi, da qualche
anno, sarà questione
della
società dei consumi… Li ha morsi una misteriosa tarantola. Ascoltali,
ascoltali.
Il bue tese
le orecchie.
Per le
strade nei negozi negli uffici nelle fabbriche uomini e donne parlavano fitto
fitto
scambiandosi
come automi delle monotone formule buon Natale auguri auguri a lei grazie
altrettanto
auguri buon Natale. Un brusio che riempiva la città.
– Ma ci
credono? – chiese il bue – Lo dicono sul serio? Vogliono davvero tanto bene al
prossimo?
L’asinello
tacque.
– E se ci
ritirassimo un poco in disparte? – suggerì il bovino. – Ho ormai la testa che è
un pallone…
Sei proprio
sicuro che non sono usciti tutti matti?
– No, no. È
semplicemente Natale.
– Ce n’è
troppo, allora. Ti ricordi quella notte a Betlemme, la capanna, i pastori, quel
bel bambino.
Era freddo
anche lì, eppure c’era una pace, una soddisfazione. Come era diverso.
– E quelle
zampogne lontane che si sentivano appena appena.
– E sul
tetto, ti ricordi, come un lieve svolazzamento. Chissà che uccelli erano.
– Uccelli?
Testone che non sei altro. Angeli erano.
– E la
stella? Non ti ricordi che razza di stella, proprio sopra la capanna? Chissà
che non ci sia
ancora. Le
stelle hanno una vita lunga.
– Ho idea di
no – disse l’asino – c’è poca aria di stelle, qui. Alzarono il muso a guardare,
e infatti non
si vedeva
niente, sulla città c’era un soffitto di caligine e di smog.