LE QUATTRO INVISIBILI COLONNE

Le quattro invisibili Colonne

di Michele Moramarco

Nella consuetudine massonica italiana (rettificata, ma non rigettata in toto dalla GLSU), durante l’apertura dei Lavori in Grado di Apprendista si indica ai Fratelli che la disciplina rituale e tematica dovrà garantire che tutto, nel Tempio, sia “serietà, senno, benefizio e giubilo”.

Agli occhi di molti Fratelli, tale sequenza valoriale può apparire stereotipa, ma se riflettiamo adeguatamente sui suoi aspetti esoterici, troveremo che essa riveste un valore fondante, anche se ritualmente ridondante (uno dei motivi per cui non compare nei rituali della GLSU).

Tradizionalmente si afferma che tre Colonne simboliche (oltre a quelle “storiche” B e J) reggono il Tempio Massonico: Saggezza, Forza e Bellezza.

Ebbene, voglio qui proporre l’ipotesi che oltre alle tre classiche, altre quattro colonne invisibili (per un totale di sette) sostengano l’edificio della Loggia. Si tratta appunto di Serietà, Senno, Benefizio e Giubilo.

Esse costituiscono due coppie, speculari a J e B: la prima è formata da Serietà e Senno; la seconda da Benefizio e Giubilo. Le due diadi manifestano nel contempo una polarità interna e una consequenzialità.

Nella coppia Serietà e Senno il polo attivo o positivo è il Senno, quello ricettivo o negativo è la Serietà, che senza intelligenza è solo una larva, un’ombra; nella coppia Benefizio e Giubilo, il polo attivo è rappresentato dal Benefizio, ovvero dal “salario” interiore che deriva dall’esperienza massonica, quello ricettivo dal Giubilo, che trae origine e sostanza dal Benefizio medesimo, senza il quale è vacua euforia.

La consequenzialità è leggibile sia nella configurazione bipolare che abbiamo appena identificato, sia – ed ancor più – nel rapporto che lega prima e seconda coppia. Benefizio e conseguente Giubilo conseguono (mi sia consentito il bisticcio di parole, che ha qui il senso di un’incisione semantica) dal Senno e dalla conseguente serietà. Il rettangolo colonnare simbolico, nascosto agli occhi profani, si compie in tal guisa.

E proprio sull’invisibile colonna della serietà, la meno compresa tra le qualità massoniche che stiamo contemplando, possiamo cercare di proiettare nuova luce.

“Chiunque – ha scritto un rosacrociano contemporaneo – può esibire rigore esteriore, ma l’uomo serio ed assennato gioisce di una sorta di pudore, quasi di invisibilità, corrispondente a un tratto identitario suo tipico: la flessibilità, quella ingenita libertà che gli consente di aprirsi, di mutare, di giocare come un Amleto rallegrato tra l’essere e il non-essere. E se verranno i piccoli atomi umani induriti a dirgli: mostrati davvero serio!, egli risponderà: la vostra è solo seriosità, non serietà; quest’ultima appartiene in via esclusiva agli spiriti liberi che veleggiano verso il porto dell’invisibile “.

Ecco, Fratelli, teniamo a cuore questo monito: evitiamo la seriosità, la retorica affatto esteriore che tanto ha nuociuto, anche in un passato non lontano, alle sorti della Istituzione Massonica.

Riprendiamo, nel Tempio, la gioiosa sobrietà (parola, non dimentichiamolo, che ha un’etimologia parallela a quella di “serietà”) che sola ci consentirà di tenere testa agli attacchi dei nostri testardi avversari.

Richiamiamoci ai miti di fondazione (non c’è solo la leggenda di Hiram), nei quali accadeva spesso che l’artefice mettesse pietra su pietra, gioiosamente, fino al momento della morte sacrificale.

Così troveremo la chiave per interpretare massonicamente la serietà: essa non è altro, in definitiva, che la perseveranza illustrata dal grado di Compagno d’Arte, illuminata dall’intelligenza (senno), risultante nell’arricchimento interiore (il tesoro nei Cieli, di evangelica memoria, che i ladri non possono rubare) e riverberante in quella sublime gioia che il Fratello Schiller esaltò nel suo celebre inno musicato da Beethoven.

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