CARATTERA E STRUTTURA DEL RITO D’INIZIAZIONE

Mariano L. Bianca  
Caratteri e Struttura del Rito d’Iniziazione
I caratteri fondamentali del rito iniziatico in ambito esoterico permettono di comprendere la sua natura e i processi che coinvolgono gli officianti e il neofita.
1. Introduzione

La nozione di iniziazione fa riferimento, in generale, a una pratica rituale, a un processo e a un percorso nel quale l’iniziando passa da uno stato o condizione di vita a un’ altra non solo in modo effettivo ma anche come predisposizione verso un iter interiore che si svolgerà in modo comunitario. In termini generali, ogni iniziazione è sempre un passaggio e specificatamente un rito di passaggio in quanto si realizza all’interno di una ritualità. In questo lavoro verranno analizzati alcuni caratteri fondamentali del rito iniziatico in ambito esoterico che permettono di comprendere la sua natura e i processi che accadono al suo interno.

2. Alcuni elementi strutturali del rito di iniziazione

In questa sezione ci occupiamo, anche se non in modo approfondito, di alcuni aspetti che caratterizzano il rito di iniziazione. Il primo gruppo di elementi  strutturali sono quelli che chiamo i presupposti rituali.

Presupposti rituali

I presupposti rituali sono quelle condizioni precedenti al rito vero e proprio che permettono la sua riuscita: il rito si può dire ‘riuscito’ o ‘felice’ quando ha ottenuto come risultato la modificazione psichica del neofita, della sua prospettiva su di sé e sul mondo e dei suoi modi di essere e di agire; cioè ha permesso al neofita di entrare nella continuità iniziatica e così intraprendere il suo iter entro la comunità. Il primo presupposto rituale è la presenza di una comunità iniziatica. Questo presupposto sembra ovvio, ma non lo è affatto se si considera come comunità iniziatica non la mera presenza di uomini che si dichiarano iniziati, ma una loro effettiva partecipazione e pratica, antecedente al rito e al suo interno, che rientra entro una Tradizione esoterica assodata o in una prospettiva esoterica nascente. Ciò significa che i partecipanti agiscono ed operano in riferimento a specifici contenuti esoterici, metafisici, simbolici, etici e rituali. In questa sede ci soffermiamo solo sul primo caso: quello della presenza di una Tradizione assodata. Il caso di una prospettiva esoterica nascente genera condizioni diverse, ma assimilabili a quello che esaminiamo in questa sede. L’iniziazione acquista significato solo entro una Tradizione esoterica, per questo il presupposto della comunità iniziatica indica la necessaria presenza di una Tradizione; se questa viene meno, si vanifica anche la comunità che in tal caso non può dirsi iniziatica, anche se usa questo aggettivo per denominarsi. La Tradizione, è bene sottolinearlo, non è un corpus definito e inalterabile, bensì è sottoposto a uno sviluppo che deriva dalle pratiche rituali, dagli uomini che ne fanno parte e dalle condizioni socio–culturali in cui è inserita. Una Tradizione che deve essere vissuta e compartecipata da coloro che si dichiarano di accettarla e di farne parte perché solo in questo modo diventa il nucleo regolativo della comunità; la comunità diventa tale solo se è attivamente presente una Tradizione. Il secondo presupposto è quello della intermediazione iniziatica: questa espressione fa riferimento a un processo di comunicazione tra coloro che aderiscono a una Tradizione e la rendono strumento normativo del loro modi di essere e di agire entro la ritualità e al di fuori di essa, anche nel mondo esterno. (Chiamo questa Tradizione la Tradizione Operante, in quanto si rende operativa nella psiche degli iniziati e nelle loro attività rituali). Si tratta di una comunicazione che avviene con l’uso di linguaggi verbali e non verbali, di parole e di simboli, nonché comportamenti e atti rituali individuali o collettivi. L’intermediazione iniziatica inoltre è una mediazione ermeneutica tra la Tradizione, come luogo di riferimento, e i singoli iniziati e la ritualità operante: in questo ambito si svolge il ruolo del Maestro Venerabile nella struttura dell’Ordine massonico. La mediazione ermeneutica è la trasposizione effettiva dei contenuti della Tradizione nella psiche degli iniziati e nella loro ritualità. Si tratta di una mediazione ermeneutica in quanto interpreta questi contenuti relativamente alle condizioni e alle specificità psichiche dei soggetti; la mediazione ermeneutica si svolge entro una ampia interpretazione standard e solo così diventa ‘regolare’ rispetto alla Tradizione. La regolarità, quindi, opera all’interno di uno ‘spazio ermeneutico’ e non come una mera sequenza definita di norme rigide. L’intermediazione iniziatica è rilevante, in particolare, nei riti di iniziazione (così come nei diversi passaggi di grado) in quanto attraverso di essa gli iniziati accolgono il neofita nella continuità esoterica della Tradizione permettendogli di rendersi parte attiva. Un altro elemento che riguarda gli officianti è la loro predisposizione a trasmettere al neofita, con atti e con parole, i contenuti della Tradizione. Si tratta della disposizione degli iniziati ad accogliere il neofita e considerarlo come parte della loro comunità. Se questa predisposizione non è effettiva, il rito si riduce a una sequenza ripetitiva di parole, gesti e comportamenti. In riferimento al neofita possiamo individuare i seguenti presupposti. La natura psichica (e qualcuno potrebbe anche dire fisica) del neofita che deve essere tale da accogliere il trasferimento di contenuti iniziatici da parte della comunità a cui ha chiesto di far parte. Ci si può chiedere, allora, se vi sono capacità iniziatiche presenti in alcuni e non in altri. È difficile parlare di una capacità innata di questa natura, ma è altrettanto vero che non tutti gli uomini posseggono la disposizione adatta per intraprendere un cammino iniziatico. Questo loro stato può dipendere dalla educazione ricevuta, per cui si può dire che ogni uomo potrebbe possedere questa capacità; allo stesso tempo, però, si deve sottolineare la presenza di una predisposizione verso il cammino iniziatico: alcuni la possiedono mentre altri no.Una concezione di carattere elitario, ma non più elitaria di altre che considerano gli uomini predisposti per una professione piuttosto che per un’altra. Tale predisposizione non porta necessariamente alla intrapresa di un cammino iniziatico, ma chi lo intraprende la deve possedere. In termini massonici, si dice che il neofita deve essere libero e di buoni costumi; in effetti, questi caratteri sono presupposti fondamentali per poter intraprendere quel percorso che è centrale nella concezione massonica della vita. La presenza di questa predisposizione non è però sufficiente e risulta necessario che essa si esplichi in una concreta disposizione a intraprendere un cammino; l’espressione ‘bussare alla porta del tempio’ sta a significare proprio questa disposizione effettiva del neofita; egli bussa per ‘cercare la luce’. Quella luce che non riesce a trovare nel mondo sensibile. Una disposizione che non è il risultato di una decisione estemporanea, per questo, prima del rito di iniziazione è necessario che egli rifletta a lungo sulla sua decisione. Il Gabinetto di Riflessione è un esempio di questa esigenza così come lo è quello della vita isolata in una capanna a cui vengono sottoposti per un certo periodo di tempo i giovani di una comunità tribale prima di essere soggetti al rito di passaggio all’età adulta. Passiamo a considerare alcuni elementi strutturali della ritualità.

La condizione rituale

Nella condizione rituale, cioè nella effettiva conduzione del rito iniziatico, si possono distinguere quattro aree: a) l’ambiente, b) i fattori simbolico–comunicazionali, c) i partecipanti e d) la pregnanza esoterica. L’ambiente è costituito dalla spazio sacralizzato al quale viene assegnato il significato di spazio iniziatico. Esso è fisicamente e simbolicamente un luogo chiuso e non aperto, in quanto racchiude la ritualità che è partecipata solo da coloro che sono ammessi. Questa chiusura fa sì che ciò che avviene in esso sia comprensibile ed accessibile solo a coloro che posseggono le qualità per potervi partecipare; le qualità sono di varia natura e nel caso di una comunità iniziatica ciò significa che la partecipazione è ristretta a coloro che fanno parte della stessa continuità iniziatica, cioè accettano la medesima Tradizione Operante. Come luogo chiuso è anche un luogo segreto ed occulto; segreto in quanto racchiude significati a cui si può accedere solo se sono stati trasmessi ritualmente e al contempo perché non è accessibile al mondo circostante. L’ambiente del rito è invece occulto perché il suo significato non si esaurisce in ciò che viene percepito e fa quindi parte della conoscenza sensibile. Se un membro estraneo vi accede non può che restare legato alla sua percezione sensibile, allora vedrebbe oggetti e comportamenti e ascolterebbe parole senza conoscere il loro significato e non potrebbe andare oltre. In ciò risiedono i caratteri segreti ed occulti dell’ambiente rituale che si ampliano alle altre dimensioni della ritualità. Il segreto è in tal senso un elemento entro la ritualità e al fondamentale della ritualità iniziatica di natura esoterica. (Il termine occulto viene qui usato con riferimento al significato proprio della tradizione esoterica occidentale nella accezione di occulta philosophia, cioè dello studio di ciò che è considerato al di là del mondo sensibile; in questo senso, il significato che qui viene accettato non ha niente a che fare con l’occultismo e le pratiche occultiste che presero avvio nel XIX secolo). La seconda area della ritualità è costituita da quelli che abbiamo chiamato i fattori simbolico–comunicazionali. In essi sono compresi gli oggetti usati nel rito, la parola, i comportamenti e i gesti con i loro relativi significati assegnati dalla Tradizione Operante in cui la ritualità è inserita. Gli oggetti sono gli strumenti materiali che portano con sé un significato esoterico in quanto sono simboli che rispecchiano un contenuto razionale della Tradizione: per esempio, la pietra grezza e il mazzuolo nella ritualità massonica. Al contempo, questi strumenti materiali e simbolici veicolano una significazione che vogliamo indicare come magica, nel senso più profondo del termine, riferito al fatto, intrinseco ad ogni dimensione sacrale, che essi sono in grado di imprimere una modificazione dello stato dei soggetti coinvolti. Si pensi, per esempio, all’acqua del battesimo in ambito cristiano come strumento simbolico–materiale: la sua materia (acqua santa) è portatrice del significato di mutare lo stato del battezzando da quello di estraneo alla comunità a quello di membro di essa; l’acqua è portatrice di Grazia Divina e come tale modifica lo stato del battezzando e gli permette di accedere a una nuova vita. In modo analogo, l’acqua dell’iniziazione massonica rende purificato il neofita e gli permette di accedere alle prove successive; cioè ha assegnato al neofita la qualità propria dell’essere iniziato e gli permette di accedere a una fase successiva del rito e, in seguito, al proseguimento del suo iter iniziatico. Un analogo significato esoterico–sacrale e magico lo posteggino sia le parole che i comportamenti e i gesti. Il rito sacrale iniziatico è sempre accompagnato dal logos: esso è lo strumento di mediazione tra la pregnanza della significazione sacrale, che è intrinseca alla ritualità e non si rende interamente esplicita, e la forma sensibile in cui si rappresenta come parola che agisce e che ha il potere di modificare. In ogni rito iniziatico, anche il più semplice od arcaico, è sempre presente il logos quale veicolo di scambio, di comunicazione tra gli officianti e tra essi e la intrinsecità della Tradizione Operante. Con il logos nel rito iniziatico è la Tradizione che parla: essa dà ragione al rito e assegna uno specificato significato ad esso. Nel logos si identificano gli officianti e con esso avviene la trasmissione esoterica dagli iniziati al neofita. Come gli strumenti simbolico–materiali segnano un impronta sul neofita, il marchio della iniziazione, così le parole della Tradizione Operante lo consacrano (la specifica consacrazione come parte del rito di iniziazione). Il logos, inoltre, interviene come strumento di mediazione e di comunicazione tra gli officianti e il neofita: le parole degli officianti proclamano e domandano e il neofita risponde palesando la sua condizione e la sua intenzione iniziatica. Il logos come mediatore permette al rito di svolgersi non solo sul piano fisico, ma su quello elevato di natura intellettiva. Non sono parole che descrivono, ma parole che indicano il cammino, la porta che permette di accedere alla Tradizione. In tal senso, il logos è centrale nel rito iniziatico, ma questo, ancora una volta, possiede i due aspetti dell’essere sensibile e dell’essere occulto; sensibile, in quanto è costituito dal significato palese delle parole; occulto per il fatto che il loro proferimento è comprensibile alla luce della Tradizione Operante per gli officianti ed è sentito come un messaggio non interamente comprensibile dal neofita che sente che gli potrà essere svelato nel proseguo del suo iter iniziatico. Vi sono poi comportamenti e gesti: sono anch’essi un veicolo di comunicazione simbolica che non si svelano d’un tratto al neofita. Comportamenti e gesti costituiscono un diverso piano del logos, quello del logos che si esplica in un linguaggio non verbale che accede a una comprensione destrorsa, cioè quella che neurofisiologicamente viene collocata nell’emisfero destro. Una comprensione per immagini, evocazioni, intuizioni, processi analogici e metaforici che permettono un accesso diverso al rito e ai suoi contenuti. Questo tipo di comunicazione, inoltre, veicola significati non esplicabili verbalmente e quindi propri della sfera emozionale ed affettiva o, se si vuole, del significato che non è di natura logico–intellettiva. Un tipo di comunicazione che accede più a fondo nella interiorità e che permette un dialogo tra il mondo interiore degli officianti e quello del neofita. Per questo, la correttezza rituale dei gesti e dei comportamenti possiede un valore fondamentale nei riti, ben al di là di una semplice questione di adeguamento a una normativa rituale. Non si tratta, quindi, di compiere normativamente un rito, ma di compierlo con quei comportamenti e gesti che se attuati in un certo modo trasmettono specifici significati che accompagnano e completano il logos espresso tramite il linguaggio verbale. Questa completezza è arricchita dalla forza del comportamento e del gesto che genera uno stato psichico di coinvolgimento rituale del neofita e al contempo una trasmissione di contenuti che incidono sulla sua comprensione e sulla sua condizione emozionale. Anche gesti e comportamenti veicolano una significazione magica riferita alla modificazione dello stato del neofita. Passiamo ora considerare i partecipanti, di cui distinguiamo gli officianti e il neofita. Essi agiscono nell’ambiente sacrale attraverso mediazioni simboliche degli strumenti e dei fattori simbolico comunicazionali e ovviamente svolgono ruoli differenti. Gli uni si pongono nella condizione di trasferire e l’altro di accogliere. Una distinzione accettabile solo in parte in quanto se così fosse il rito potrebbe essere ridotto ad una forma materiale che potrebbe essere realizzata anche dai profani. Pensiamo, per esempio, a una recita di un rituale di iniziazione, per esempio quello massonico. Se pensiamo ad attori profani che su un palcoscenico recitano le parti degli officianti e del neofita che differenza vi sarebbe tra questa ‘recita’ e una reale iniziazione all’interno di un tempio? Se anche questo tempio venisse ricostruito sul palcoscenico, la recita diventerebbe un rito? Se invece di una simulazione teatrale questa ‘recita’ venisse realizzata in un reale tempio, ma da profani che differenza vi sarebbe? La differenza risiede proprio sulla pregnanza significativa che viene assegnata all’ambiente dalla presenza di uomini che sono legati a una Tradizione Operante che hanno vissuto e fatta propria nel loro mondo interiore. Non è quindi l’esteriorità sensibile che caratterizza la natura degli officianti, bensì il loro legame alla Tradizione che viene trasmessa non solo in una comunicazione standard (tipica della vita ordinaria) ma anche in una comunicazione ultra–sensoriale, cioè che supera la concretezza sensibile di oggetti, parole, comportamenti e gesti. Chiamiamo questa la pregnanza esoterica propria del rito che accade solo con la presenza fisica della comunità degli iniziati e della Tradizione Operante, in qualsiasi luogo essi possano trovarsi. È quindi la effettiva presenza della comunità iniziatica e la colleganza con la Tradizione che dà luogo alla pregnanza esoterica. Essa è data da quei caratteri della presenza degli officianti, e del neofita, che abbiamo già in parte indicato come presupposti e che precisiamo nella sezione seguente. Senza questa pregnanza esoterica il rito si profanizza, od è realmente profano e quindi non possiede alcun significato esoterico. Senza gli elementi che ora indicheremo il rito perde il suo valore esoterico e si riduce a una mera recita, a una vera e propria simulazione. Le qualità che ora indicheremo come proprie della pregnanza esoterica sono quelle che caratterizzano la condizione dei partecipanti al rito.

I caratteri della pregnanza esoterica del rito di iniziazione

Gli elementi che ora indicheremo, che verranno ripresi nella parte successiva, fanno sì che che un processo sensibilmente accertabile costituito da luoghi, oggetti, gesti, parole e comportamenti acquisti una pregnanza esoterica e quindi superi la mera percettività per collocarsi nella dimensione simbolico–sacrale. Questi caratteri sono i seguenti: 1) la compartecipazione empatica degli officianti, 2) l’intermediazione iniziatica, 3) la potenzialità iniziatica, 4) il trasferimento iniziatico, 5) lo smarrimento e la durata 6) la sospensione del sé, 7) l’alterazione del sé, 8) la proiettività 9) il superamento del rito, 10) la ricostituzione della corrente (con l’acquisto del neofita). Precisiamo brevemente la natura di questi caratteri che verranno ripresi nella analisi che verrà svolta nel seguito. I primi quattro caratteri riguardano gli officianti, il quinto, il sesto e il settimo concernono il neofita e i restanti riguardano sia gli officianti che il neofita. La compartecipazione empatica degli officianti è per così dire il fattore iniziale e fondante del rito di iniziazione. Essa indica che gli officianti si dispongono a celebrare il rito nella quadruplice condizione del logos o parola, dell’intelletto, del comportamento e della empatia verso se stessi e nei confronti del neofita. L’intermediazione iniziatica, a cui si è già fatto cenno, riguarda lo scambio di contenuti iniziatici tra gli officianti e il neofita nella prospettiva propria della Tradizione Operante. La potenzialità iniziatica possiamo indicarla come quella predisposizione al rilascio da parte degli officianti della loro psichicità rivolta verso il neofita. Si tratta di una potenzialità che si realizza ‘concretamente’ durante il rito. Il suo grado di elevatezza, ovviamente, dipende dagli officianti e dalla loro preparazione esoterica. Il trasferimento iniziatico è l’effettivo trasferimento dei contenuti della Tradizione Operante dagli officianti al neofita durante l’effettuazione del rito. Esso viene svolto con strumenti e linguaggi diversi: gli strumenti rituali, le parole dette, i comportamenti e i gesti. Lo smarrimento e la sospensione del sé sono quelle condizioni in cui si trova il neofita che ha smarrito il suo sé profano, ma non ha ancora raggiunto uno stato nuovo bensì si trova in una condizione di transizione; da qui, anche una sospensione del suo sé proprio del suo stato prima della iniziazione. Smarrimento e sospensione sono fattori che danno luogo all’innesco del processo di alterazione del sé che prende avvio con il rito iniziatico e che, ovviamente, prosegue per tutto l’iter iniziatico. In questo senso, il sé del neofita e l’intera comunità iniziatica si proiettano verso il futuro arricchito dalla presenza del neofita; l’obiettivo del rito stesso appare così come il suo superamento (come sostiene giustamente Guénon) perché è proprio con il suo superamento che il neofita potrà accedere a nuovi stati. Con la conclusione del rito si verifica una ricostituzione della continuità iniziatica che non si è interrotta,ma ha subito uno iato con il rito; esso, infatti, separa prima la continuità tra officianti e neofita e poi la riunisce con la proclamazione dell’ingresso in essa del neofita. Questi caratteri sono per così dire ciò che sovrasta gli aspetti fisici del rito e al contempo costituisce un suo completamento. Gli effetti della proclamazione o consacrazione dell’iniziando sono quindi il risultato di tutte quelle condizioni a cui abbiamo fatto riferimento e su cui ci soffermeremo ancora nel seguito per constatare la loro presenza nella realizzazione processuale della ritualità.

3. Iniziazione e iter iniziatico

L’iniziazione si svolge sempre all’interno di una comunità, per cui è un processo sia personale che interpersonale.Essa permette di intraprendere quello che si è chiamato iter iniziatico. Non è solo il rito dell’iniziazione che si svolge in modo comunitario, bensì anche il processo che lo segue per cui ogni momento di un iter iniziatico avviene sempre all’interno di una mediazione comunitaria e non in modo solipsistico. La mediazione comunitaria è ciò che caratterizza il rito iniziatico e l’iter successivo. Per esempio, l’iniziazione massonica si svolge comunitariamente in un rito e prosegue come iter iniziatico nelle pratiche rituali nel Tempio. Ciò che in ambito massonico viene detto ‘perfezionamento interiore’ è possibile solo con la partecipazione attiva ai lavori di Loggia. Si può dire che il proseguimento e il compimento del rito iniziatico è possibile solo se viene perseguito l’iter; per questo, sebbene l’essere stati iniziati costituisca una impronta, essa perde il suo valore se non viene perseguito quell’iter che prende avvio con l’iniziazione. Quest’ultima, in effetti, si annulla o si sperde se non si persegue l’iter iniziatico: in termini massonici, se non si partecipa attivamente ai lavori di Loggia e non si perseguono gli obiettivi intrinseci al rito di iniziazione. Per tali motivi, l’iniziazione e il successivo iter iniziatico si differenziano da qualsiasi altra forma di percorso interiore in cui avviene una mutazione del sé, come può accadere negli stati di estasi, in quelli di folgorazione mistica o nella ascesi monastica. Si possono, quindi, distinguere due vie: l’una, quella iniziatica, che si svolge in modo comunitario, l’altra quella solipsistica che si sviluppa nella interiorità individuale senza alcuna intermediazione comunitaria. In tal senso, come fa osservare Guénon, l’iniziazione non ha niente a che fare con particolari stati di meditazione individuale. L’iniziazione è un rito di passaggio che si svolge entro i limiti spaziali e temporali del rito, si amplia nella coscienza del sé e nella corrente spirituale di coloro che partecipano alla ritualità e prosegue nella continuità iniziatica, cioè il legame ininterrotto tra la comunità iniziatica e la Tradizione a cui essa fa riferimento. Il rito iniziatico possiede tre caratteri: a) sono precisati i passi specifici che devono essere compiuti (per esempio, i quattro viaggi nella ritualità di iniziazione massonica), b) sono indicati gli effetti ma c) non vengono precisati né il termine né il punto di arrivo. Il rito iniziatico si compie nel duplice piano del fisico e del simbolico. Nel piano fisico il soggetto è posto in una dimensione spazio–temporale, in cui sono collocati la sua mente e il suo corpo, così come lo sono quelli dei partecipanti alla ritualità. L’iniziazione avviene nel mondo fisico, nello durata temporale che segna l’età fisica dell’iniziando. In questa dimensione fisica avvengono alterazioni della sua percezione e della sua cognizione.Per questo, anche lo spazio fisico viene vissuto diversamente: fenomenicamente percepito al di là del rito e ritualmente percepito nella durata rituale. Si consideri, per esempio, la fisicità del Tempio Massonico, aperto in grado di apprendista. Questo spazio fisico, quando viene segnato dal simbolismo rituale del quadro di Loggia (anche solo indicato sul terreno) diventa spazio sacro, Tempio o Loggia. Prima di questa condizione esso è meramente uno spazio fisico che, tuttavia, possiede un significato diverso, riferito alla differente presenza dell’uomo: passeggiare o conversare in un Tempio non ancora sacralizzato può avere significati diversi sia per il massone che per ogni altro uomo che lo percorra. Una volta che lo spazio fisico viene significato sacralmente in grado di apprendista, esso assume ulteriori significati propri di questo grado. Questo spazio,poi, una volta che è stato preparato per la ritualità iniziatica, assume un significato diverso e così viene vissuto dai partecipanti al rito di iniziazione: diventa lo spazio in cui si dà luogo a un nuovo iter, a un nuovo fuoco, che non investe solo l’iniziando ma tutti coloro che partecipano al rito. Il Tempio, così preparato per il rito di iniziazione, accoglie la predisposizione psicologica dei partecipanti o, se si vuole, accomuna le energie psichiche dei partecipanti che devono predisporsi a riversarle sul neofita (la potenzialità iniziatica). Una condizione questa che potrebbe essere giudicata ineffabile o di altra simile natura ma, in realtà, è analoga a qualsiasi altra in cui si verifica una comunicazione non solo verbale; si pensi, per esempio, ai gruppi di lavoro, ai gruppi dinamici od ancora alla preghiera collettiva. Nel trasferimento di ‘energie psichiche’ e di contenuti simbolici dagli iniziati al neofita si concretizza quella continuità iniziatica in cui viene collocato il neofita. Una corrente o continuità che, come dice Guénon è tradizionale in quanto parte di una Tradizione e, al contempo, è costituita attualmente nello spazio di iniziazione dalla specifica corrente o catena di unione (anche se non ritualmente osservata) di coloro che praticano il rito. Questo trasferimento iniziatico è fondamentale alla iniziazione e si svolge per l’intera durata del rito: con esso vengono trasferiti con linguaggi diversi i contenuti della Tradizione legati direttamente alla iniziazione. Sia l’iniziato, nella sua condizione psichica e percettiva, sia i partecipanti vivono, o meglio, percepiscono questo spazio come lo spazio della potenzialità iniziatica, in cui si collocano e compartecipano a formare. Tale potenzialià iniziatica, come si è detto, è la predisposizione degli iniziati al rilascio della loro psichicità o, se si vuole, del loro far parte della continuità iniziatica. Il trasferimento iniziatico fa sì che l’iniziando venga trasportato nella continuità iniziatica, per cui egli all’inizio del rito si addentra in essa e si colloca più a fondo alla sua conclusione. Il rito dell’iniziazione, quindi, (anche nel Tempio massonico) non può e non è mai essere una ripetizione di formule, ma è tale solo se v’è la predisposizione dei partecipanti al trasferimento e al rilascio di questa predisposizione che si enuclea proprio in un trasferimento di natura verbale, con il logos, simbolica ed empatica verso l’iniziando rendendolo parte della continuità iniziatica. Da qui anche quella diversità di percezione e di cognizione della fisicità dello spazio quando esso è predisposto per il rito iniziatico rivolto alla instaurazione di un nuovo iter (in termini massonici, l’elevazione di una nuova colonna nel Tempio). L’iniziazione, inoltre, si compie in un mondo simbolico e transoggettivo (rispetto all’iniziando e agli iniziati che partecipano al rito) in cui il sé dell’iniziando si distacca da una realtà a lui nota e vissuta, si dispone a una trasmutazione interiore ed entra spiritualmente e psichicamente in una nuova dimensione a cui si avvicina per la prima volta e di cui non ha conoscenza. L’iniziazione è così solo una possibilità che viene aperta al neofita, una porta che gli viene aperta per permettergli di entrare in una dimensione per lui ancora sconosciuta; una realtà che il suo sé si dispone a percorrere. L’iniziazione, quindi, prende avvio come initium in un particolare momento del tempo vitale dell’iniziando e in una determinata condizione temporale propria del rito. Il processo che si svolge è una trasmutazione del sé: chiamiamo questo stato la condizione iniziatica di alterazione del sé. Questa espressione fa riferimento al fatto che il sé del recipendario si colloca in una sovradimensione rispetto a quella con la quale si è avvicinato al rito di iniziazione. In questo rito egli è e non è allo stesso tempo quello che era, ma non è neanche ancora quello che potrebbe essere dopo l’iniziazione.Egli inizia un processo di alterazione del suo sé. L’iniziato non riceve l’iniziazione, ma ‘viene iniziato’, cioè viene immesso in una continuità e partecipa della ritualità che concede questo ‘ingresso’. A questo proposito, a differenza di altri riti, si può dire che egli alteri il suo sé accogliendo in esso le parole o i gesti della ritualità che, tuttavia, non esaudiscono il contenuto iniziatico. Quest’ultimo, quindi, comprende la concretezza dei gesti e delle parole, ma si amplia al contenuto di quel trasferimento non esplicitamente espresso che proviene dalla comunità iniziatica e che viene riversato sull’iniziando. Si tratta di un ‘sentire’ psichico e non di un accertamento di natura razionale. Consideriamo a questo punto la condizione del sè dell’iniziato nel momento del rito di iniziazione. Egli si è disposto a riceverla e in tal modo la sua psiche è disposta a porsi al di fuori di essa, in un ‘dove’ che egli stesso non conosce. La condizione rituale è psicologica ed ontologico–esistenziale allo stesso tempo.

La sospensione psicoontica

In senso psicologico l’iniziato pone in una condizione parentetica il suo sé, che non è per nulla negato ed annullato,ma posto a latere nella sua psiche per poter ricevere il messaggio iniziatico; egli così permette che al suo interno si generi una condizione di vuoto per poter collocare un nuovo sé che si affianca a quello che ha messo tra parentesi. L’iniziato, quindi, psichicamente, nel momento della iniziazione è in una condizione di sospensione, che chiamiamo sospensione psicoontica: egli è e non è. Adopero il termine psicoontico per fare riferimento sia agli aspetti psichici che a quelli ontologici, cioè della specifica condizione ontologica dell’iniziando. Da un punto di vista psichico egli riconosce consapevolmente di essere quello che era prima della ritualità iniziatica ma, allo stesso tempo, pone questo sé precedente in un angolo della sua psiche e permette che un altro sé possa sorgere, ma solo come potenzialità. È una condizione di alterazione iniziatica del sé, che è proprio una disposizione e una apertura che si colloca nella durata dello svolgimento del rito. Egli altera il suo sé sospendendolo nella sua psiche: da qui il conflitto tra un sé che è parentizzato, il sé che ancora non c’è e il sé che si dispone a sorgere superando il primo o solo ponendosi parallelamente ad esso. Da un punto di vista ontologico–esistenziale, in particolare della concretezza della vita vissuta, la ritualità dell’iniziazione fa sì che l’iniziando si disponga a riconsiderare se stesso e a ricercare un nuovo senso alla sua vita. Per tali motivi, il rito iniziatico è certamente una disponibilità psicologica ed esistenziale: l’iniziando si dispone a riconsiderare se stesso, la sua vita e il suo senso, anche se ciò gli appare scuro e impenetrabile. L’iniziazione è smarrimento del sé, perché è paura di abbandonare quello che si era e incertezza per quello che si potrà essere. In termini diversi, l’iniziando si muove in una discesa verso gli inferi, verso la morte, per poter risalire a nuova vita. Quelle condizioni che, di solito, vengono dette morte e rinascita iniziatica. Nell’iniziazione il neofita si smarrisce interiormente ma, al contempo, apre un nuovo orizzonte per la sua vita: un orizzonte vuoto che dispone al suo riempimento durante il rito e nel proseguo dell’iter iniziatico che potrà intraprendere grazie all’iniziazione. L’iniziazione è quindi proprio e solo un initium nel quale l’iniziato intende porsi. Tuttavia questo smarrimento e questa sospensione del sè acquistano senso in quanto il rito fa sì che l’iniziato si colleghi in una dimensione che amplia la sua individualità e la colloca in quella continuità iniziatica in cui egli si farà trasportare ma sarà anche una parte attiva. Guénon a questo proposito parla di ricollegamento iniziatico: all’iniziando con il rito viene permesso di collegarsi a una catena iniziatica, ed in effetti con il rito egli viene inserito in questa corrente. Per entrare in questa corrente è necessario allontanarsi da un mondo e predisporsi per entrare in un altro. Per questo sono necessarie prove, di natura simbolica o concreta, che non sono comprensibili all’iniziato se non in senso intuitivo e simbolico: la loro comprensione sarà parte del proseguo dell’iter iniziatico. L’iniziazione, quindi, è una conversione psichica e ontologica del sé, che non si dice con la parola, anche se le parole sono un veicolo dell’inserimento del neofita nella corrente. Per questo l’iniziazione è certamente uno stato interiore, o meglio uno stato psichico, che non ha senso raccontare in termini descrittivi. Essa è sempre una esperienza unica, anche se i rituali iniziatici sono sempre gli stessi. Essa resta segreta nella segretezza della ritualità.

4. La valenza sacra, religiosa ed esoterica

L’analisi che è stata presentata nelle sezioni precedenti permette di evidenziarle diverse valenze significative del rito di iniziazione e della ritualità iniziatica (psichiche, conoscitive, etiche, antropologiche, ecc.), ma in questa sede ci soffermiamo solo su quelle sacre, religiose ed esoteriche.

La valenza sacra e sacro–esoterica

Il rito di iniziazione, in senso generale, è un rito di passaggio che si colloca nell’ambito della sacralità propria di una collettività. Quest’ultima può essere una qualsiasi collettività di uomini o una specifica comunità che fonda la sua ragion d’essere su una tradizione religiosa od esoterica od ancora su una visione del mondo. I riti iniziatici, come è noto, sono processi diffusi in ogni collettività umana e possono essere riferiti a un passaggio da un ruolo sociale ad un altro (come il matrimonio), alla acquisizione di una condizione psichica (come il passaggio all’età adulta), al raggiungimento di uno stato ‘spirituale’ od ancora all’inserimento entro una comunità, sia essa religiosa, profana od esoterica. Se il rito di iniziazione è inteso come rito di passaggio possiamo fare la distinzione tra riti di passaggio di natura profana e quelli di natura sacra. I primi fanno riferimento a cerimonie che permettono al candidato di passare da uno stato sociale a un altro, come è il caso del matrimonio civile. I secondi, invece, sono caratterizzati da cerimonie in cui il neofita intraprende uno specifico cammino, costituito anche da prove di diversa natura e da altri fattori rituali, che gli permettono di accedere a una determinata condizione solo dopo aver superato il rito e intrapreso l’iter. In questa sede non ci occupiamo dei riti di passaggio di natura profana che sono oggetto delle ricerche antropologiche. Nell‘ambito dell’iniziazione sacra possiamo distinguere tra 1) iniziazione sacra immanente, 2) iniziazione sacra trascendente o religiosa e 3) iniziazione esoterica (immanente o trascendente). L’iniziazione sacra, in senso generale che include le tre categorie indicate, è quella iniziazione che è permeata da significati che non riguardano meramente la condizione psicologica, esistenziale e sociale dei soggetti coinvolti nel rito, e in particolare il recipendario, ma concernono la loro condizione spirituale, il senso della loro vita, il loro progetto concreto di vita, l’orizzonte in cui si muovono e la proiezione in una realtà ulteriore che è diversamente intesa, come immanente o trascendente.

Iniziazione sacra immanente
L’iniziazione sacra immanente è quella forma di iniziazione che si svolge entro una ritualità sacra che ha una ragion d’essere e acquista significato senza alcun riferimento a una considerazione della esistenza o della presenza di una ultimità che trascende l’uomo e il mondo. Queste forme di iniziazione, quindi, non prevedono significati teologici relativi a un divino che possiede una esistenza altra rispetto a quella dell’uomo. Queste forme iniziatiche sono tipiche delle tradizioni animiste antiche o contemporanee, così come sono tipiche di comunità di diversa natura come quelle dei Druidi o di ‘stampo’ New Age, come la comunità di Damanhur. Iniziazione sacra trascendente (iniziazione religiosa) L’iniziazione religiosa si svolge entro i canoni di una Tradizione religiosa e si caratterizza per il fatto che il soggetto passa da una condizione psichico–spirituale a un altra che è collocata entro la dimensione del trascendente, inteso come Essere Supremo con caratteri di persona, in senso lato; gli obiettivi di questo tipo di iniziazione sono quindi quelli di far sì che l’iniziato possa essere inserito, in modi diversi, nel piano della trascendenza, sia immediatamente raggiunta con il rito, sia potenziale come proseguo di un cammino successivo al rito. L’iniziazione religiosa, quindi, colloca l’iniziato in un piano trascendente o divino ed egli, così collocato, può intraprendere un cammino terreno svolto entro questo ambito. Si pensi, ancora, al battesimo cristiano, come accoglimento del neofita entro il piano della Grazia Divina. Allo stesso modo possiamo fare riferimento a ogni tipo di iniziazione monastica che fa sì che il neofita venga immesso entro un piano divino a cui dedicherà la sua intera esistenza terrena. L’iniziazione religiosa, perciò, appare come una via privilegiata per entrare nel piano divino, in modo diretto, prima dell’evento finale della morte terrena; essa in particolare è fondata sulla nozione di ‘salvezza’ come uno stato raggiungibile prima nella vita terrena e poi perseguibile in quella ultraterrena. L’iniziazione monastica, in particolare, permette a chi ha fatto questa scelta, così come al sacerdote che ha preso i voti, di vivere direttamente entro il piano divino: con tale iniziazione egli entra direttamente nel divino; se, si vuole, diventa parte del divino. Il fine ultimo della iniziazione religiosa è certamente una unione con il divino e, per quanto riguarda il singolo uomo, ciò significa che egli con il rito si è posto al di là della vita terrena e entro una dimensione di vita proiettata in una realtà ultraterrena.    Iniziazione esoterica (o sacro–esoterica)
L’iniziazione esoterica, contrariamente a quella religiosa, non ha come effetto l’inserimento immediato nel divino, nel trascendente, quanto quello di far sì che l’interiorità del neofita si disponga ad accogliere una dimensione che possiamo dire essenziale e ulteriore: essenziale in quanto rivolta alla conoscenza di ciò che è a fondamento della realtà(inclusa quella individuale); ulteriore, perché mirata a spostare la sua attenzione e la sua riflessione verso ciò che viene considerato come oltre a ogni stato raggiunto. Tale disposizione, come initium e potenzialità, apre al neofita la strada a una alterazione del suo sé in senso conoscitivo, psichico, spirituale ed etico; ciò significa una acquisizione di una nuova visione del mondo che assegna ad esso significati e sensi derivati dalla Tradizione Operante a cui il neofita è ‘allacciato’ e fa riferimento. In questo modo l’iniziazione esoterica non è una rivelazione, né un aggancio diretto con il divino, bensì è una apertura di orizzonte nel quale si potrà navigare singolarmente ma soprattutto entro una dimensione comunitaria. L’iniziazione esoterica può essere immanente e trascendente. L’iniziazione esoterica immanente è mirata alla singolarità del neofita e al suo rivolgimento verso il mondo, entro una Tradizione esoterica e all’interno di una comunità che si riferisce ad essa, al di là di riferimenti ed obiettivi che presuppongono un indirizzo proveniente da una realtà ultramondana, pur collocandosi entro la dimensione dell’ulteriore e dell’essenziale. In questa iniziazione immanente può essere allora prevalente la forma della conoscenza (come tragitto verso la verità), del perfezionamento interiore, dell’etica e quindi del rivolgimento verso il mondo concreto delle esistenze umane (quindi il rivolgimento verso il bene come patrimonio immanente dell’uomo). In questa iniziazione, perciò, non vi sono espliciti obiettivi che fissano un bersaglio finale (come il divino), né paradigmi di natura metafisica che possano fornire indicazioni in riferimento alla conoscenza, al perfezionamento e all’etica. Da qui anche la concezione immanente del bene e della verità: immanente, ovviamente, non significa riduzione alla concretezza dell’uomo e del mondo, ma neppure una sua esclusione. L’iniziazione esoterica immanente è propria di quelle comunità che mirano all’obiettivo di concentrare la loro opera alla effettiva trasformazione della psiche individuale e collettiva e delle condizioni del mondo. L’esoterismo di fondo è quindi un esoterismo immanente privo di riferimenti metafisici o, esplicitamente, metafisico–teologici che svolgono un ruolo dominante. Ciò non significa che tale forma di iniziazione non preveda una ultimità esistente di natura trascendente (come per esempio il Grande Architetto dell’Universo), ma essa non è una componente che ha un valore specifico nella ritualità e nella operatività individuale o collettiva: essa non appare come l’obiettivo specifico del percorso iniziatico. A questa forma di iniziazione possono essere ricondotte alcune tradizioni massoniche. La forma dell’iniziazione esoterica trascendente, invece, considera contenuti e obiettivi alla luce di una ultimità trascendente che si rende operativa, ma con l’esclusione dell’obbiettivo fondamentale della iniziazione esoterico–religiosa della salvezza personale e della immediata immissione nel piano divino. Questa forma di iniziazione, però, include o può includere l’obiettivo finale di un ricongiungimento con una ultimità che trascende il mondo e la vita terrena, ma che può avere due caratteri diversi: a) l’ultimità è posta su un piano del divino che è considerato oltre il mondo, b) l’ultimità si colloca entro la mondanità. Nel primo caso possiamo fare riferimento a iniziazioni che hanno uno sfondo religioso o si collocano entro una tradizione religiosa, ma non entro una dimensione di raggiungimento iniziatico del divino (processo che avviene nella iniziazione religiosa); nel secondo, invece, l’ultimità è il mondo stesso o metafisicamente la sua articolazione di essenza, come può accadere all’interno della tradizione gnostica. Anche quest’ultima forma di iniziazione è presente in diverse tradizioni massoniche. Si può dire, allora, in riferimento alla iniziazione massonica, che essa può muoversi verso una duplicità di orizzonti esoterico–iniziatici, che non sono per nulla opposti, bensì complementari, in quanto possono condividere medesime forme rituali e analoghi percorsi iniziatici. Una complementarità che distingue le valenze sacre delle iniziazioni religiose da quelle esoteriche, ma al contempo individua le correlazioni e le finalità comuni, in particolare tra le tradizioni esoteriche massoniche e le tradizioni esoteriche impiantate entro un orizzonte religioso, come quelli cristiano o islamico. Le distinzioni indicate, inoltre, sono utili per comprendere la natura dei diversi indirizzi esoterici che, in termini massonici, sono propri dei Riti e, in particolare, anche dei diversi gradi iniziatici presenti in essi.

Conclusioni

L’analisi che è stata condotta in questo lavoro non ha certamente un carattere definitivo, né intende essere completa. Le indicazioni presentate sono per così dire delle considerazioni (così come considerazioni sono state quelle di Guénon) che intendono segnalare alcuni aspetti significativi del rito di iniziazione in generale e in particolare esoterica (con un certo riferimento alla iniziazione propria della Tradizione Massonica). Tali aspetti possono permettere di considerare l’iniziazione come un rito molto complesso che fa parte di quella che, in generale, chiamiamo dimensione sacra che include, ma non si riduce, a quella religiosa. Il rito di iniziazione è un processo che ha così un duplice carattere: quello di essere comprensibile attraverso un esame analitico che evidenzia struttura e significati, e quello, al contempo, di essere pervaso da una ineffabilità che si attua entro lo svolgimento del rito e che si palesa, in modi differenti, entro la psiche di coloro che con ruoli diversi prendono parte ad esso. In ciò risiedono i caratteri dell’occulto e del segreto, con particolare riferimento sia alla presenza vissuta, che non può che appartenere al vissuto iniziatico proprio dei partecipanti al rito, sia ai contenuti esoterici che, pur potendo essere trascritti in un linguaggio descrittivo, sono sempre soggetti a una operazione di natura ermeneutica. Il mistero, allora, è racchiuso principalmente nell’alone ermeneutico della Tradizione Esoterica e in quello della Tradizione Operante, cioè nella effettiva condizione di svolgimento del rito e nella ampiezza del vissuto di coloro che vi partecipano. In ciò non v’è nulla di sconvolgente, in quanto analoghi processi avvengono, seppur in modi diversi, nella dimensione della vita interiore, in quella del vissuto individuale e dei vissuti collettivi, nelle relazioni umane e nella complessità delle mente umana, propri delle diverse sfere della vita quotidiana degli uomini.




Traduzione in lingua greca   a cura di Denis Trivizas
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