Commemorazione dei defunti
(E. R.)
Rispet.mo M.’. V .’.
Carissimi Fratelli,
la tornata dei lavori di questa sera è incentrata sulla commemorazione dei Fratelli passati all’Oriente Eterno, fissata dal Regolamento dell’Ordine e dalla nostra tradizione per il 10 Marzo, una celebrazione che ogni anno ci vede riuniti nella sacralità del Tempio, ornati con le insegne a lutto, per rendere un doveroso e sentito omaggio a tutti i defunti, con particolare riguardo a quelli della nostra Loggia.
Affrontare il tema della morte è arduo ed impegnativo, riflettere su questo evento così connaturato alla nostra esistenza ma anche così drammaticamente sentito dal genere umano, richiede certamente una forte preparazione umanistica, una decisa capacità di analisi filosofica, una spiccata attitudine e abitudine a ragionare su tali argomenti: doti necessarie per non scoraggiarsi di fronte ad un compito tanto difficile.
Tuttavia , pur non possedendo tali requisiti, cercherò di dare un contributo a questa cerimonia con alcune riflessioni che affido alla vostra fraterna comprensione; esse vogliono soltanto rappresentare uno stimolo ad una meditazione profonda da parte di ciascuno di noi, tale da produrre in ognuno un piccolo arricchimento spirituale.
La morte è stata il e rimarrà l’unico vero mistero della condizione umana, inesplorato e forse inesplorabile; la scienza ci ha abituati a continui progressi e successi, affonda sempre di più le proprie conoscenze nell’infinitamente piccolo e spinge le sue indagini nell’immensità del cosmo, e anche se frenato dallo spazio e dal tempo (elementi che oggi condizionano gli scienziati in modo ritenuto quasi insuperabile) il pensiero scientifico ha prodotto ipotesi e teorie che sembrano poter dare una risposta a molti, se non a tutti, i quesiti che l’uomo si pone sia in rapporto alla propria esistenza terrena sia rispetto al complesso fenomeno della nascita dell’Universo, del suo processo attuale e della sua evoluzione verso una fine o una regressione dai contorni non ben definiti.
Ma di fronte alla morte ogni teoria scientifica si ferma, ogni ipotesi sul destino riservato all’uomo, alla sua componente spirituale ed animica, dopo tale evento deve fortemente uscire dal campo del razionale per entrare in quello dell’empirico, del sentimento, della fede.
Per rendere accessibili alla mente umana i contorni ed i connotati del periodo che segue alla morte fisica, ogni corrente di pensiero filosofico o religioso è obbligata ad esprimersi con concetti per così dire presi pari pari dalla vita, cioè dall’unico evento noto all’uomo e perciò rassicurante, esaltando i fenomeni tanto amati da tutta l’umanità e contrapponendoli in positivo alla durezza dell’esistenza.
Così, nell’immaginare l’aldilà, fioriscono i valori quali la suprema armonia, la beatitudine eterna, la visione e la vicinanza di Dio , le oasi ricche di verde e di acqua, l’immortalità dell’anima, in una condizione di felicità assoluta.
Eppure, nonostante tutti gli sforzi compiuti in tanti secoli per dare all’umanità, se non la certezza, almeno la speranza di un lungo periodo di serenità e bellezza spirituale in contrasto con la vita fisica sofferta e difficile, l’uomo rifiuta la morte e affronta questo evento in modo drammatico, sia nei propri confronti con sentimenti e pensieri che vanno dalla paura alla indifferenza, con tutta la gamma di sfumature che raramente si tingono dei colori della serena accettazione, sia nei confronti degli altri con atteggiamenti di incredulità, di acuto dolore, di profonda prostrazione, di impotenza, a volte anche di risentimento verso un destino tanto crudele quanto invincibile.
Anche noi, iniziati a questa grande scuola di vita che è la Massoneria, nel corso della nostra esistenza ci poniamo a volte a confronto con questo grande tema e ciascuno trova, o crede di trovare, le risposte più giuste o che comunque gli sono più congeniali, sulla base della propria esperienza di vita, delle proprie riflessioni interiori, del proprio credo religioso, della propria sensibilità.
Alcuni maturano la convinzione (o forse sarebbe più giusto dire la speranza ) che la morte sia una suprema e definitiva Iniziazione, capace di mettere lo spirito in condizione di esplorare finalmente il mistero e di raggiungere l’assoluta perfezione. La prospettiva aperta da questa visione della morte è certamente affascinante, ricca di contenuti esoterici, di riferimenti simbolici a noi comprensibili in quanto nella nostra vita massonica in più occasioni troviamo spunti di riflessione forniti dal simbolismo della morte e della resurrezione ad una vita migliore.
Basti pensare alla cerimonia di iniziazione, nella quale il profano muore spiritualmente per rinascere, da iniziato, ad una esistenza diversa, più ricca si sentimenti e di amore, intrisa di razionalità e saggezza, che lo proietta in una dimensione nuova e affascinante aprendogli orizzonti smisurati di analisi interiore, di conoscenza di se stesso, capace di fare di lui un uomo veramente libero e affrancato dalle scorie profane in ogni atto e pensiero del suo vivere quotidiano.
Basti pensare all’elevazione al grado di maestro, della cui cerimonia non posso certamente parlare in questa sede, ma che comunque sviluppa fino ai massimi livelli esoterici il simbolismo della morte.
Tuttavia la coscienza della morte e l’intuizione della probabili dimensioni che le stanno oltre, continuamente sollecitate, come si è visto, dalla simbologia massonica, non esonerano il libero Muratore, che ritenga di averli acquisiti alla propria riflessione intima, dal dovere di vivere e di costruire sulla terra il proprio tempio interiore.
Il vero massone ama la vita e tutto ciò che lo circonda, opera per migliorare l’umanità, il suo lavoro è tutto orientato verso il perfezionamento della condizione umana, in armonia con la natura e con tutto il creato, la sua esistenza deve essere sempre un inno alla gioia e alla vita.
Un’altra chiave di lettura massonica della morte è rappresentata dal simbolismo delle livella, che ci richiama alla mente il supremo potere egualitario della morte stessa, che pone sullo stesso piano ogni essere umano e di fronte alla quale le differenze, sempre sottolineate dalla vita, perdono ogni significato fino ad annullarsi.
A questo tema simbolico si ispirò il Fratello Antonio de’ Curtis, il grande Totò, scrivendo la poesia dialettale “ ’A Livella”, nella quale egli si immagina che un marchese, la cui tomba è imponente e impreziosita da ogni orpello, si lamenti con un povero netturbino che si è fatto seppellire, in una tomba misera e spoglia, proprio vicino a lui.
Quest’ultimo si scusa a nome dei suoi familiari per averlo seppellito lì, perché lui non si sarebbe mai permesso di importunare con la sua modesta presenza un nobile, ma lo invita anche ad avere pazienza in quanto ormai l’errore è stato fatto ed essi non possono porvi rimedio,
Ma il Marchese non vuole sentire ragioni, è stizzito, si sente offeso per la vicinanza di una persona di umili natali, tenendo conto che le sue origini sono importanti e altolocate; a questo punto il poveruomo perde la pazienza e così si rivolge al nobile:
“Quali Natali, Pasqua o Epifania !
Ti vuoi mettere in capo, dentro ‘a cervella
che stai malato ancora ‘e fantasia?
La morte, sai cos’è ? .. è una livella !
Un re, un magistrato, un grande uomo
passando stù cancello ha fatto il punto
che ha perso tutto, la vita e pure il nome:
tu non hai fatto ancora questo conto?
Perciò stamme a sentì, non fa ‘o restivo,
sopportami vicino – che te importa?
Stè pagliacciate le fanno solo i vivi;
noi siamo seri… appartenemo a morti !
Rivolgendo adesso il nostro pensiero ai Fratelli di questa Loggia che sono passati all’Oriente Eterno, ci conforta pensare che essi, varcata la soglia del mistero, stiano proseguendo il loro viaggio di perfezionamento attraverso nuove frontiere, ci consola immaginarli più vicini a quella suprema saggezza che hanno cercato di raggiungere con tutte lo loro forze nel corso della vita massonica.
Ci commuove pensarli qui, vicino a noi, uniti nella catena fraterna, nelle colonne o all’Oriente, nei luoghi dove noi li vedemmo scalare con fatica, al nostro fianco, in questo Tempio, la salita che porta verso la luce.
Ricordarli in questa serata dedicata a loro assume diversi significati:
– farli conoscere a coloro che sono entrati da poco nell’Istituzione, ai Fratelli più giovani, e affidarli per sempre alla loro memoria
– farli rivivere per un attimo accanto a noi, perché a ogni nome che pronuncerò ciascuno di noi associ un volto, un’immagine, un ricordo, un momento della comune vita massonica
– far sentire loro, con la potenza e la suggestione dello spirito, che non li abbiamo dimenticati, che li abbiamo sempre presenti nei nostri cuori, che la catena non si è mai spezzata, che il sentimento di fratellanza che ci univa e che ci unisce a loro rimane incontaminato nel tempo.
Prego il Rispet.mo M.’. V .’. di far alzare i Fratelli facendoli porre all’ordine in segno di lutto.
Fratelli carissimi, predisponiamoci a celebrare con il deferente rispetto e onore loro dovuti, tutti i Fratelli di questa loggia passati all’Oriente Eterno, compresi coloro che al momento della morte si trovarono in posizione di sonno, in un momento evidentemente difficile della loro vita massonica, perché erano e rimangono sempre degli iniziati legati a noi dal vincolo della fratellanza.
Immergiamoci in un profondo, commosso silenzio, a capo chino, assorti nei nostri pensieri e nei nostri ricordi, lasciando che la forza dello spirito muovendosi nella sacralità del Tempio ci avvolga tutti facendo elevare i nostri animi nello spazio senza confini dell’amore fraterno.
Esprimiamo tutto il nostro dolore e la nostra partecipazione tributando ai Fratelli defunti una triplice batteria di lutto.
Che il loro ricordo rimanga per sempre nei nostri cuori e nelle nostre menti.
Che il loro spirito sia eternamente illuminato dalla luce del G .’.A.’. D.’. U.’.