Il rischio di invasione russa in Ucraina è serio: ecco perché dobbiamo preoccuparci
Nel 1914, nell’imminenza della prima guerra mondiale, quando “il sasso rotolava” (cit.) mentre nessuno sembrava volere la guerra e tutti i paesi davano la responsabilità a qualcun altro, la Russia degli Zar era un paese enorme, senza molte strade e ferrovie, e, sentendosi minacciato a torto o a ragione, aveva bisogno di diverse settimane di anticipo per ordinare la mobilitazione generale. La Germania, al contrario, disponeva già di una rete in grado di muovere diecimila treni pieni di soldati in pochi giorni per tutto il paese. E lo ha fatto.
Oggi si dice che vi siano 100 mila soldati russi molto vicini alla frontiera con l’Ucraina. Qualcuno mette in dubbio il concetto di ‘vicino’ sottolineando distanze che però si possono coprire in un giorno. Inoltre i 100 mila soldati possono raddoppiare in due giorni e triplicare in una settimana: la Russia è ancora un paese enorme, come cent’anni fa, ma ha molte più strade e ferrovie e anche aerei per trasportare in poche ore mezzi militari e uomini. La vastità della frontiera da cui potrebbe partire l’attacco, considerando anche quella con la Belarus, è un elemento di ulteriore instabilità perché non è noto a nessuno da dove l’attacco potrebbe materializzarsi, e le alternative sono tante, troppe.
Ma, se a noi pare di guardare da lontano tutto questo, pensiamo a cosa può sentire un intero popolo di più di 40 milioni di persone che, da anni, vede l’ombra di questo ingombrante e bellicoso vicino, che ha già usato la forza in Crimea e Donbas violentando di fatto il territorio di uno stato sovrano ed ora, da mesi, lo tiene sotto minaccia costante che, “forse”, “un giorno” attaccherà, invaderà, ed intanto dispone uomini e mezzi militari alla frontiera.
Propaganda e provocazioni
Da anni in Europa politici, giornalisti e imprenditori cercano di convincerci ad ascoltare “le ragioni della Russia” ma, quando le abbiamo ascoltate, abbiamo sentito filosofi molto vicini a Putin teorizzare un grande stato euroasiatico da Pechino a Brest con Mosca al centro. Quando le abbiamo ascoltate, abbiamo sentito la propaganda di regime che ancora in Russia domina l’informazione, addirittura accusando di terrorismo politico una giornalista (Irina Slavina) che si è data fuoco per protesta perché non era più libera di lavorare secondo la sua coscienza. Quando le abbiamo ascoltate, abbiamo osservato una ragazza di 17 anni arrestata (e poi condannata) perché manifestava per chiedere libere elezioni anziché la farsa messa in piedi escludendo candidati di opposizione nella città di Mosca, un po’ come se Sala avesse trovato il modo di escludere surrettiziamente qualche suo avversario dalla competizione del 3-4 ottobre scorso.
Quando le abbiamo ascoltate, le cosiddette “ragioni della Russia”, abbiamo sentito discorsi vittimistici degni della guerra fredda, di un paese che si sente “accerchiato” dalla Nato e che però, dagli anni Novanta, prima che Putin arrivasse al potere (e ormai sono più di vent’anni, e se questo non è un regime!), fa la guerra in Moldova, in Cecenia, in Georgia, in Ucraina (prendersi la Crimea è un atto di guerra, mandare armi e uomini in Donbas è un atto di guerra), e poi sostiene Milosevic in Serbia e Assad in Siria, solo per citare due criminali di guerra, e agisce costantemente contro le libertà, le democrazie, i diritti umani e i diritti civili.
Quando le abbiamo ascoltate, le cosiddette “ragioni della Russia”, ci siamo trovati di fronte all’inversione del concetto di “provocazione”. Votare risoluzioni a Bruxelles in sostegno all’autodeterminazione di milioni di ucraini era una provocazione, mentre violare il Memorandum di Budapest e attaccare la Crimea era un atto legittimo. E poi abbiamo ascoltato la più grande delle prese in giro: secondo il Cremlino, l’Ucraina è “sorella” della Russia, falsificando la storia e soprattutto i sentimenti dei popoli.
Il paese responsabile della carestia diretta politicamente da Mosca, che ha ucciso milioni di persone negli anni Trenta, il paese responsabile della russificazione di territori enormi, il paese che ancora oggi cerca di russificare la Crimea demolendo il diritto dei tatari e degli ucraini di abitarvi, si dichiara “stesso popolo” degli ucraini senza considerare che, per stare insieme, bisogna essere in due, altrimenti è violenza e sopraffazione.
Il punto è tutta l’Europa
E non c’è più un diritto alla sopraffazione. Ci sono confini e libertà da rispettare. Il mondo apparentemente ha archiviato la Crimea, ma nel mondo moderno non è facile nascondere sotto la sabbia i crimini che si perpetrano ogni giorno. Le prime vittime della disinformazione, della propaganda, delle bugie sono i cittadini russi, soprattutto quelli più anziani, che non parlano inglese, che non leggono su internet altre voci. Ma anche noi rischiamo di essere vittime della propaganda. L’errore più grave per noi “occidentali” è pensare che la questione sia tra Russia e Ucraina (e che riguardi popoli “fratelli”). Anzitutto non sono affatto “fratelli” e la responsabilità è soprattutto del Cremlino “storico”, quello dello Zar, quello del Soviet supremo e quello del presidente, che ha costruito un rapporto di sudditanza e non di fratellanza.
Ma, in secondo luogo, il punto non è l’Ucraina. Il punto è l’Europa continente, ovviamente Ucraina compresa. Siamo tutti di fronte ad una volontà di potenza completamente fuori dal tempo, espressa con linguaggi anacronistici, falsamente pacifica nei toni ma violenta nei modi. E dobbiamo preoccuparcene.