Uguaglianza dell’individuo “altro”
e delle culture “altre”: la stessa tolleranza?
Fratelli Carissimi, quanto vi sottopongo si basa sostanzialmente sulle tesi della antropologa Ida Magli, che ho per mio conto rielaborato (salvo diverse indicazioni, le frasi in virgolettato sono sue). D’altra parte, lo spunto per lo stesso tema di questa tavola mi è stato dato dalla quotidiana riflessione, che sicuramente ognuno di voi condivide, sul rapporto tra la civiltà occidentale e l’Islam: ma senza dimenticare che, mutatis mutandis, analoghe riflessioni valgono per l’altra e totalmente diversa cultura che è quella cinese, la cui espansione è sotto gli occhi di tutti.
Temo tuttavia di essere riuscito a mantenermi sul dovuto livello esoterico, dato il rischio concreto di scivolare in altri ambiti.
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Siamo sicuri che esistano «società» multietniche?
Una «società» non è data dalla somma di singoli individui, ma dal loro appartenere e vivere in una «cultura». A sua volta ogni cultura possiede una sua «forma», creata dalle particolari caratteristiche che distinguono un popolo dall’altro e che si manifestano nella diversa visione del mondo, nella diversa sensibilità nei confronti della natura, nella diversità delle lingue, delle religioni, delle arti, dei costumi, dei sentimenti. Ciò che mantiene in vita una cultura è la «personalità di base» del popolo che l’ha creata: gli inglesi sono fatti così, gli americani sono fatti così, gli spagnoli sono fatti così, ed essa ci permette di riconoscere immediatamente come «tedesca» una sinfonia di Wagner e come «italiana» una di Rossini.
Le differenze culturali e morfologiche fra popoli non solo non sono casuali, ma sono interconnesse e strumentali alla convivenza di più persone all’interno di un medesimo gruppo sociale: anzitutto a livello comunicativo. Intonazioni, modulazione e alterazioni del tono vocale coincidono con determinati canoni semantici e comportamentali a cui siamo abituati, ed è proprio poiché altrove valgono regole differenti che non può esistere un multiculturalismo che prescinda dal rispetto delle altrui usanze: “Passando a una cultura diversa, è evidente che se l’interlocutore più si arrabbia e più abbassa la voce, noi non ci accorgeremo del pericolo … si tratta di comportamenti non consapevoli e obbligatori, che esistono presso tutti i popoli, diversi da popolo a popolo, e ai quali ogni individuo si attiene naturalmente” tanto da poter dire che “i tratti culturali di base siano quasi certamente ereditari … E’ evidente dunque che, se non conosciamo i significati di questi comportamenti, possiamo con facilità incorrere in gravi errori di “comunicazione”, cosa che sicuramente è successa durante la fase distruttiva degli Stati e dell’identità dell’Europa. La presenza sempre più massiccia di tanti popoli stranieri, portatori di “distanze”, di “toni di voce”, di mimiche molto differenti da quelle italiane e percepite da ognuno nei significati della rispettiva lingua come “aggressive”, “offensive”, “sprezzanti”, “pericolose”, “fredde”, “prive di rispetto” eccetera, ha contribuito, nella forma più silenziosa e nascosta, al dubbio, all’incertezza, allo sgretolarsi della fiducia in se stessi, e nella propria civiltà da parte dei cittadini europei“.
La diversità delle culture costituisce tuttavia la maggiore ricchezza della storia umana: ma le culture muoiono. Non appena la “personalità di base” di una cultura perda i suoi connotati, sopraggiungono altri uomini, portatori di un’altra personalità di base, di un’altra cultura, e quella invasa deperisce e muore.
Non è necessario neanche che gli invasori siano numericamente in maggioranza: l’invasore è sempre il più forte per il fatto stesso che si è impadronito del territorio di un altro e che si aggrappa, molto più che a casa propria, ai costumi, ai cibi, ai riti, alla religione della sua cultura nel timore di perdere la propria identità.
Eppure dovrebbe essere chiaro che non è iscrivendo gli stranieri all’anagrafe come italiani, che essi creeranno le melodie di Monteverdi o di Puccini, dipingeranno le Madonne di Raffaello o di Mantegna, scriveranno i versi di Petrarca o di Leopardi: e neppure apprezzeranno tutto ciò.
In altre parole, «Non di solo pane vive l’uomo»: siamo allora sicuri che non tocchi anche, se non proprio, a noi in quanto laici e convinti che la libertà del pensiero sia il patrimonio irrinunciabile dell’Occidente, difendere il messaggio di Gesù dal tentativo sempre più pressante, e tragicamente traditore, di ridurlo ad una variante dell’Antico Testamento e, di conseguenza, anche dell’islamismo?
Ricordiamoci sempre che, a prescindere dalla Fede di ognuno di noi, per quanto storicamente ci è pervenuto sappiamo che Gesù, sulla scia del pensiero stoico, è il primo Uomo a porre al centro di tutto la sacralità della vita umana e dell’individuo (pensiamo solo alle società del tempo in cui visse, dove ovunque la schiavitù era regola diffusa e la donna sottoposta all’uomo), e a scindere nettamente la politica dalla religione: “Date a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio.”
Sulla possibile (se non auspicabile) coesistenza con le realtà islamiche, i sostenitori del dialogo e della integrazione multiculturale pongono l’accento sugli elementi comuni a cristiani e musulmani: uno storico di matrice cattolica come Franco Cardini, tra i primi. A mio modo di vedere, al contrario, la loro fede anzi la loro cultura è quanto mai lontana dalla nostra.
Perdonatemi, ma non posso non riportarmi di nuovo al Cristo, pur sempre non certo sotto il profilo religioso. La modernità del suo pensiero (e si tratta di una modernità in qualche modo “eterna”, vera in assoluto, nel passato come nel presente e nel futuro, sempre attuale perché sono gli uomini ad esserne portatori e a metterla in atto), come prima accennavo sta tutta nell’essere incentrata sul valore del singolo uomo, della vita interiore di ogni persona, che comporta di per sé l’annullamento del mondo del “Sacro” come Potenza autosufficiente al di sopra degli uomini. Scompare allora la primitività dell’esperienza del Sacro presente in tutte le fenomenologie religiose, scompare la necessità di assoggettarvisi tentando di domarlo con la magia, con la ritualità, con i tabù dell’impurità, con le offerte, con il sacrificio …
Tutto questo è inutile perché ciò che conta è dentro l’uomo, e conta in egual modo agli occhi di Dio quanto agli occhi dell’ uomo.
Come può dunque esistere una qualsiasi altra cultura che a questo si avvicini?
Il fatto è che, forse e sia detto senza blasfemia, il pensiero di Gesù non è (solo) una religione. In un certo senso, anzi, il cristianesimo sembra una specie di recinto troppo piccolo dal quale il pensiero di Gesù deborda in continuazione: questo pensiero c’è, altrimenti non saremmo qui a parlarne.
Ora, comunque e anche a volere (anzi: dovere) astrarsi dalla diatriba su Gesù profeta piuttosto che politico ribelle contro i Romani (tanto che subì il supplizio riservato ai nemici di Roma, e non la lapidazione prevista dalla legge ebraica per i condannati a morte), il paradosso è che la Chiesa, che ha oggettivamente il merito di aver fatto arrivare questo pensiero fino a noi ([1]), oggi e non da oggi spalanca le braccia all’islamismo.
Per quanto lo si voglia dividere in islamismo radicale e islamismo moderato, per quel poco che ne conosco esso rappresenta comunque la rivincita del massimo della primitività: il dominio assoluto del Sacro sugli uomini. Dobbiamo dunque prendere atto che è fuori da qualsiasi logica l’idea che esso possa convivere, o integrarsi, con la nostra cultura: anzi con qualsiasi altra cultura.
Naturalmente, proprio perché sta dalla parte della potenza del Sacro ed è facile da capire, l’islamismo è una religione fortissima mentre il messaggio di Gesù è sottile, fragile perché affidato alla fragilità dell’uomo: una fragilità, però, che paradossalmente contiene in se stessa la forza perché l’uomo non smetterà mai di cercare “dentro di sé”, come ben sappiamo noi massoni.
Credo che il progetto stesso di unificazione, e quindi di superamento, degli Stati abbia poi portato gli europei a mettere in dubbio la forza della propria storia, della propria identità, dei propri valori; a ciò si è aggiunta in modo distruttivo l’imposizione del “politicamente corretto”, l’obbligo del non-giudizio, che ha annientato la fiducia degli uomini in se stessi, nel proprio sistema logico, nella propria storia, nella propria tradizione: è strano che la Chiesa non si sia resa conto che la prima causa del relativismo, di cui si lamenta, non sono le scienze sociali ma il politicamente corretto.
Pur di ottenere la “pace”, davanti all’invasione immigratoria, davanti alle differenze di costumi, di religioni, di culture, si è proclamato che tutto è uguale, vero e giusto.
Pensiamo, pure, alla vere e proprie occupazioni di vaste zone da parte dei cinesi: Prato e Milano su tutte, in cui vigono regole e sanzioni diverse dal nostro ordinamento giuridico. Zone dove, tra l’altro, gli unici funerali di cinesi che si celebrano sono quelli di chi abbia subito una morte violenta; incredibilmente,sembra che nessun cinese in Italia muoia di vecchiaia o di malattia: sarà il clima?
Ma, appunto, non tutte le culture sono portatrici di valori sia assoluti sia condivisibili; mentre ogni singolo individuo è portatore in quanto tale di un valore assoluto: quello della sua vita e, con esso, della sua libertà. O vogliamo sostenere, ad esempio, che la pratica dell’infibulazione, siccome è coerente con una certa cultura africana, deve essere di per ciò stesso rispettata e tutelata se coltivata nel nostro territorio?
Claudio Magris ha recentemente ricordato, sul Corriere della Sera, che “a differenza di altre grandi civiltà, l’Europa, sin dalle sue origini, ha posto l’accento … sull’individuo e sul valore universale di alcuni suoi diritti inalienabili. Dalla democrazia della Polis greca al pensiero stoico e cristiano col suo concetto di persona, dal diritto romano con la sua tutela concreta dell’individuo all’umanesimo che ne fa la misura delle cose, dal liberalismo che proclama le sue intoccabili libertà al socialismo che si preoccupa del loro esercizio concreto e delle possibilità di vivere una vita dignitosa, il protagonista della civiltà europea è l’individuo … che Kant proclama essere un fine e mai un mezzo … Antigone afferma le «leggi non scritte degli dèi» che nessuna legge positiva dello Stato può violare” ([2]); di qui si arriverà, in un lungo e contorto processo, agli inalienabili diritti di tutti gli uomini, proclamati dalla costituzione americana del 1776 e da quella francese del 1792, sino ai diritti civili che comprendono pure la «disobbedienza civile», formulata da Thoreau … Questa universalità è il contributo fondamentale della civiltà europea, anche se gli Stati europei hanno incessantemente violato questi principi da loro stessi proclamati … C’è inoltre un modo squisitamente europeo di concepire il rapporto fra l’individuo e la società ossia gli altri. Sin da Aristotele, l’individuo è concepito come ζοόν πολιτικών, animale politico; cittadino della Polis, della comunità, che esiste in rapporto con gli altri … Essere animale politico significa … significa sentirsi partecipi di un comune destino. … La diversità è un valore e va difesa, ma nel senso di appartenenza a un’identità più grande; l’umanità è un grande albero, diverso nelle radici, nel tronco e nelle foglie, ma pervaso dalla stessa vita. Dante diceva che, a furia di bere l’acqua dell’Arno, aveva imparato ad amare fortemente Firenze, ma aggiungeva che la nostra patria è il mondo, come per i pesci il mare.”
Rispetto poi a chi sostiene la “necessità di una revisione dei programmi, non solo di religione, ma anche di geografia” in senso multietnico, dobbiamo ricordarci che la scuola di Stato, proprio in quanto tale, ossia pagata dai cittadini italiani e affidata ad insegnanti scelti dallo Stato, ha il dovere di preparare cittadini italiani. Essere cittadino italiano significa sentire il legame con la terra d’Italia, conoscerne e apprezzarne il prezioso patrimonio linguistico, storico, culturale e finanche religioso traendone l’alimento fondamentale per la formazione della persona. Tanto più questo deve avvenire quando gli alunni non ne possiedono una lunga tradizione familiare alle spalle, come nel caso di immigrati provenienti dai più diversi paesi del mondo.
Il fatto che vi sia stata una forte immigrazione, anche come conseguenza dei gravi errori compiuti dai governi, deve indurre a rafforzare il senso dell’identità italiana come bene comune da parte di tutti e non indebolirlo e snaturarlo con l’inserimento multiculturale.
Temo allora che il destino della civiltà italiana, e più in generale di quella occidentale, sia ormai segnato: e proprio perché si è confuso e si confonde l’uguaglianza che deve essere riconosciuta ad ogni individuo, con l’uguaglianza che si pretende abbiano le culture “altre”.
Gli elementi d’analisi non sono molti, ma tutti chiarissimi: un misto di egualitarismo sessantottino e di terzomondismo d’annata, che fa da scudo ideologico per imporre sia il multiculturalismo come dogma ideologico sia, come esperimento sociologico, il multietnicismo americano; mentre, come sappiamo, quest’ultimo ha radici singolari e originali e – guarda il caso – si basa proprio sul concetto di libertà religiosa.
Nel nome, dunque, dell’uguaglianza degli individui si postula l’uguaglianza delle culture: con buona pace, tanto per fare un esempio, di quella “politica delle pari opportunità” che si arresta allorquando si scontra con l’obbligo islamico del velo …
Il timore, se non la paura, è che da un lato per l’incapacità culturale prima che politica di fronteggiare l’ondata migratoria, dall’altro lato nel nome della superiorità del Sacro sull’uomo “L’Europa, specialmente la parte più attraente, più ricca, più facile da aggredire (Italia, Spagna, Grecia, Francia e Germania) sarà abitata in maggioranza da africani musulmani i quali avranno il piacere e il dovere di eliminare tutto ciò che ci appartiene … Il modo di vivere musulmano, regolato dai precetti dettati nell’antichità da Mosè al suo popolo e che Maometto ha confermato nel Corano, essendo “sacro” deve essere osservato alla lettera e impregnerà di sé l’ambiente europeo, cancellando qualsiasi traccia del nostro“.
Pur non essendo stata poi approvata (per fortuna) la Costituzione Europea, ricordiamoci quel che disse l’allora Gran Maestro Gustavo Raffi in occasione del suo incontro col Rabbino Capo di Roma (gennaio2004): “E’ grave che nel preambolo della futura Costituzione Europea non ci sia alcun riferimento esplicito anche alle comuni radici giudaico-cristiane, riferimento non solo opportuno, ma doveroso, in quanto la stessa Massoneria trae le sue origini dallo stesso filone culturale e spirituale. Riteniamo che per delineare un’identità europea occorra richiamarsi alle diverse anime che nei secoli ne hanno alimentato il patrimonio culturale, senza discriminazioni”.
Ma vi è di peggio. Come ricorda la Magli ([3]) “L’ostinata opera di disprezzo, dell’odio e del tradimento da parte dei governanti è cominciata da lì, dallo sforzo per negare la grandezza e la bellezza di questi fattori eccezionali. Prima di tutto negando ostentatamente ogni valore ai fondatori di Roma e padri degli Italiani, malgrado l’evidente assurdità dell’impresa. Sì è cercato di calpestarne il genio giuridico…di passar sopra la grandezza della lingua latina…di far dimenticare la capacità ingegneristica dei Romani, rimasta tuttora ineguagliata, e si è parlato con disprezzo della saggezza di governo dell’Impero più grande che sia mai esistito, saggezza che uno dei maggiori storici della romanità, Pierre Grimal, ha definito come il primo Umanesimo che sia apparso nella storia del mondo … Ed è di questo che i governanti hanno avuto ed hanno sempre paura: sanno bene di non essere in grado di dominare le intelligenze”.
Una cosa, allora, è l’animus europeo (da Carlo Magno in poi), altra l’unificazione europea, elementi ingannevolmente simili nel nome, ma diametralmente opposti nello spirito: l’unificazione europea “… è diventata questo: il vasto mare dell’indistinto e dell’amorfo dove è annegato tutto, anche il bambino, l’anima dell’Europa … Il 1°gennaio 2012 tutti i giornalisti hanno gridato di esultanza perché i primi nati in Italia durante la notte di Capodanno erano stranieri: un dato di fatto sufficiente a far capire quale sia il destino dell’Italia e dell’Europa: la scomparsa dell’italianità e la fine degli Europei è già in atto … Leader, governanti, giornalisti e clero europei spingono ogni giorno il loro continente a perdere le proprie caratteristiche per unificarlo e omologarlo al resto del mondo … Naturalmente questo significa che si vuole la fine non soltanto del cristianesimo, ma di tutta la civiltà e della società europea, la fine dei “bianchi”… non bisogna avere timore di pronunciare il termine “bianchi”: l’obiettività nella conoscenza è un valore positivo per tutti, quale che sia il colore della loro pelle. Sono gli uomini che creano le culture: quella europea è stata creata dai bianchi”.
Chiudo, con le parole pronunciate dall’allora Presidente algerino Houari Boumediene nel 1974 dal podio delle Nazioni Unite: “Un giorno milioni di uomini lasceranno l’emisfero sud per fare irruzione nell’emisfero nord. E non in modo amichevole. Verranno per conquistarlo, e lo conquisteranno popolandolo con i loro figli. E’ il ventre delle nostre donne che ci darà la vittoria”.
FR.’. A.D. C.G.
NOTE
([1]) Se non erro, il Cardinale Scola nella sua prima intervista da Arcivescovo di Milano disse che l’avanzata islamica risponde a un disegno divino, altrimenti non ci sarebbe: dimenticando che senza la vittoria sui Turchi nell’assedio di Vienna 1683, oggi non esisterebbe la nostra civiltà occidentale. Dimenticando, anche, che Papa Innocenzo XI non la pensava così, tanto da affidare a Marco D’Aviano il compito di ricreare la Lega Santa per combattere l’espansionismo islamico e mostrando di non credere ad un simile disegno Provvidenziale.
(2) ovvero, “in God we trust” degli U.S.A.; ovvero, la base della differenza tra la Massoneria di Rito Scozzese e quella ateistica francese, nella quale come sappiamo la divinità è sostituita dalla “ragione” di rousseauviana memoria, a sua volta base di ogni totalitarismo del ’900
(3) (sebbene essa contesti che nella Costituzione Europea avrebbe dovuto essersi il richiamo al cristianesimo e al mondo romano, ma non al giudaismo: però solo per ragioni storico-antropologiche).
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