L’Attesa
Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro: “Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione” (Lc 22, 45-46).
Maestro Venerabile, Maestri di Loggia, compagni di Mestiere, Apprendisti, Fratelli tutti, sono seduto in attesa.
Sono seduto in attesa del Pranzo di Pasqua. Sono le 12.05 del 4 aprile 2010. Ed io attendo.
Non è la prima volta che, con il buon proposito di scrivere questa tavola, mi siedo e rifletto; rifletto e tento di scrivere; tento di scrivere e cancello; cancello e riscrivo; ed infine, chiudo tutto e dico: non è il momento.
E già: a lungo non è stato il momento. A lungo, davanti al calamaio, mi sono accorto che la mia attesa non era stata sufficiente. L’attesa, il cammino percorso nell’attesa, non aveva ancora portato in me la maturazione del Pensiero. Ed ora, invece, la penna scorre liscia senza intoppi, senza macchie d’inchiostro, ed il Pensiero si libera perché, terminata un’attesa, ne inizi una nuova.
Ebbene, cari Fratelli, dalla mia Iniziazione è passato poco più di un anno. Non è molto. Non è neanche poco. Sicuramente però, quest’anno, seppur con la mediazione del nostro Maestro Venerabile, Fratello S., e del Venerabile Fratello A., è stato un anno pieno di tribolazioni. Un anno ricco di aspettative, poi realizzatesi con grande soddisfazione. Un anno in attesa. Un anno di attesa.
E l’attesa è sinonimo di crescita. L’Attesa è sinonimo di maturazione. L’attesa è l’avvicinarsi costante al risultato anelato.
Dunque perché, cari Fratelli, voglio parlarvi di attesa. Perché ritengo che comprendere in cosa consista l’essenza intima dell’attesa sia elemento essenziale per la conduzione di un buon Apprendistato.
Ebbene, non vi sarà difficile notare come la Massoneria imponga regole. D’altronde, tutti, sin dal Primo Grado, siamo tenuti al corretto utilizzo del Regolo da 24 pollici che deve essere guida nella nostra vita tanto Iniziatica quanto profana. Tra queste regole, la prima per l’Apprendista è la regola del silenzio. Attenzione: silenzio non vuol dire mancanza di considerazione dell’opera dell’Apprendista, che altrimenti la Loggia in Primo Grado non avrebbe ragion d’essere. Al contrario, il silenzio è uno strumento nelle mani del neofita. È quindi colmo di significato. È un silenzio “ricco” e non come molti potrebbero pensare, un silenzio “inerte”. È un’opportunità, direi l’“Opportunità”, data all’Apprendista di apprendere nel senso proprio del termine. Ma tale “apprendimento” non può che passare per l’attesa.
E così, la vita di Loggia dell’Apprendista è una continua attesa. Ed anzi, l’attesa dell’Apprendista comincia già prima che questi faccia il suo ingresso nella fratellanza, quando, nudo e senza metalli, “attende” la convocazione nel Tempio, perché la sua via abbia inizio. Perché abbia inizio, la sua nuova attesa, quella che, attraverso il percorso dell’Apprendistato, lo porti a divenire un buon Compagno di Mestiere.
Ebbene, dicevo, la vita di Loggia dell’Apprendista è una continua attesa.
In primo luogo, per l’Apprendista l’attesa è, come accennato, “attesa della parola”, silenzio nel senso sopra descritto. Questa è, a mio sommesso avviso, la grandezza dell’Apprendistato: l“attesa” che consente all’iniziato di prendere coscienza di sé stesso, di prendere coscienza di sé stesso nel rapporto con l’esterno e, soprattutto, di prendere coscienza di sé stesso nel rapporto con gli altri Fratelli, di Loggia e non.
Così, l’attesa diviene crescita. Lenta e consapevole crescita personale, sul cammino della via iniziatica. Crescita fatta di ascolto, crescita fatta di pazienza, crescita fatta di attenzione.
In secondo luogo, per l’Apprendista, l’“attesa” è “attesa” fuori dal tempio. Attesa che, come ho più volte sperimentato personalmente, alla stregua di tutti voi – o quasi – cari Fratelli, non è noia e perdita di tempo, ma è attesa di riflessione. Anch’essa è attesa di crescita. Lo spazio che la tornata “fuori” concede all’Apprendista è anch’esso uno spazio di riposo, di studio, di conoscenza di sé stessi. La seconda occasione che il cammino, agli inizi, ci riserva per crescere in noi.
In terzo luogo, per l’Apprendista l’“attesa” è aspettativa e Speranza.
Aspettativa e Speranza di ciò che verrà. Aspettativa e Speranza di maturazione. Aspettativa e Speranza di “passaggio”. Ma, soprattutto, aspettativa e Speranza di rinascita. Rinascita sulla via iniziatica. Rinascita nella via iniziatica che tutti noi percorriamo, seppur ciascuno con la velocità che gli è propria.
Ed aspettativa e Speranza rappresentano il momento massimo dell’attesa. Condensano in loro gli elementi propri dell’attesa-silenzio e dell’attesa-riflessione. Tutto tende verso un fine. Il fine è l’oggetto della nostra aspettativa. La strada che al fine conduce non può che percorrersi con Speranza. Speranza di raggiungere il traguardo che, si badi bene, è un traguardo rigorosamente personale e non un fine esterno, eterogeneo cui indifferenziatamente tutti tendono o devono tendere. E la Speranza, così intesa, si rigenera ad ogni traguardo, purché adeguatamente alimentata. E solo noi possiamo provvedere in tal senso. La nostra intima Speranza non può che essere alimentata da noi stessi, con ciò che noi stessi vogliamo donarle.
Ed allora, siamo noi stessi, iniziati, a dar corpo all’attesa, nel triplice significato che qui ho avuto modo di attribuirle. Siamo noi a riempirla di significato. E non dobbiamo commettere l’errore di sottovalutarla.
Il periodo di attesa non è un periodo vuoto. Ogni passaggio nella vita di Loggia, ma anche in quella profana, non è altro che il termine di un’attesa che lascia spazio all’inizio di un’attesa nuova, più avvincente si suppone, ma sicuramente – se alimentata con del buon Fuoco alchemico – più matura. Dopo il sabato del villaggio, colmo di gioia e speranza, viene la domenica, giorno di riflessione e di presa di coscienza. Alla domenica segue l’inizio di un nuovo percorso, l’inizio di una nuova e più avvincente “attesa”
Ebbene dunque, l’attesa va vissuta. Va vissuta attivamente e con intensità. Non con la passività di chi, senza desiderio, attende il traguardo e non lo cerca.
L’uomo che non desidera e non vive il suo desiderio, non percorre il cammino. E così, nel momento dell’attesa, in cui la realizzazione del desiderio, di quel desiderio che esprimiamo nel nostro primo ingresso nel Tempio è in nuce, non dobbiamo solo pensare a ciò che sarà. Al contrario, dobbiamo soffermarci su ciò che è.
Un aneddoto del Buddismo Zen che ho avuto modo di leggere durante il mio Apprendistato svolto con l’attenta e scrupolosa guida del nostro attuale Maestro Venerabile, racconta di un discepolo che chiese al suo Maestro: “Che cosa devo fare? Non arrivo alla Realizzazione, al Nirvana”. Il Maestro non diede consigli. Si limitò a suggerire: “Mangia quando mangi; dormi quando dormi”. È dunque necessario essere conoscenti di agire sempre nell’immediato presente. Ed è necessario vivere l’immediato presente.
E per questo, nel giorno della Pasqua del Signore, mi piace ricordare quanto Gesù ha detto ai suoi discepoli nell’Orto degli Ulivi: “Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione”. L’attesa non deve portarci al sonno della mente e delle membra. L’attesa deve tenerci svegli, devi essere la nostra occasione di crescita.
Questo il monito che, con la mia, seppur breve esperienza, mi sento di rivolgere a tutti noi, Fratelli ed in particolare a chi, come me, da poco ha bussato alla porta del Tempio e, ancora un po’ frastornato dall’inizio del percorso, cerca affannosamente, la propria attesa da vivere.
Un Fratello