Socrate: una vita nel segno della politica
di Antonio Binni Secondo
le fonti era un uomo brutto, sudicio, avvolto in un mantello sozzo e sdrucito, senza mai un lavoro stabile retribuito, privo di calzari sempre per strada, o nelle piazze, quotidianamente impegnato a demolire le granitiche opinioni del primo malcapitato, ma non l’ultimo, visto che importunava come un “tafano” tutti gli interlocutori involontari che incontrava. Una sorta di quasi sciamano in quei improvvisi – e talora durati per giorni – arresti di piena, totale immobilità, autentica statua vivente in aperto dialogo con i propri pensieri ispirati da quel demone, che, con strana voce interiore, lo guidava nelle proprie scelte. In sintesi. Un uomo strano, un àtopos, per dirla come lo consideravano i suoi stessi concittadini. Dunque, un uomo misterioso, così come un non meno misterioso filosofo perché esistono decine di “Socrati” a seconda delle interpretazioni date alle sue parole, visto che non ha mai lasciato scritto un rigo. Né impartiva lezioni. Ha avuto feroci detrattori. Come Nietzsche, che gli rimproverava di avere distrutto l’autentico spirito greco, sempre in cerca dell’equilibrio fra le due forze dell’apollineo e del dionisiaco. Perciò “monstrum in animo”, così come “monstrum in fronte”, dove palese è l’allusione alla sua ben nota bruttezza. Per contro, ha avuto, però, anche ammiratori autorevoli. Uno per tutti, Hegel, che lo definì “un eroe dell’umanità”. Su alcuni punti v’è tuttavia certezza. In primis. Socrate opera il distacco dalla precedente filosofia naturale. Come ha scritto Cicerone nelle Tusculane, Socrate ha segnato il passaggio della riflessione dal cielo alla terra, dalla natura agli uomini, dall’ignoto alla vita vissuta con le cose buone e cattive. Dunque, un capovolgimento totale del punto di vista fino a quel momento previlegiato dai precedenti filosofi posto che questi ultimi avevano invece fissato l’orizzonte delle loro indagini nel cielo e nella natura nella sua interezza. Non per caso tutte le loro opere avevano infatti per titolo Intorno alla natura. L’analisi sull’uomo diviene così centrale, con una inedita riflessione di natura morale svolta all’insegna dell’intellettualismo etico, norma, però, non generale, in quanto riserbata alle sole persone virtuose. Tesi originale ma proprio perché precetto privo del carattere della generalità duramente criticata a cominciare da Aristotele. Il che vale pure per il corollario desunto da quell’intellettualismo etico, ossia che il male può nascere solo dall’ignoranza, e non anche, invece, dal desiderio di fare del male. Con la coerente conseguente conclusione che, se gli errori morali provengono da errori intellettuali, è doveroso perdonare agli ignoranti le loro colpe, piuttosto che condannarli. Precetto per altro messo in atto quando venne condannato alla pena capitale. Altro punto fermo. Nel “non sapere” ha fatto la chiave di volta per dimostrare l’infondatezza delle opinioni provocate, base per cominciare una fruttuosa riflessione in comune attraverso domande e risposte atte a costruire discorsi veri, seppure solo provvisori, stimolo per una ulteriore ricerca perché le domande aprono nuovi spazi mentre le risposte li chiudono. Il procedimento noto come “ironia socratica” comporta un lavoro su se stessi, senza del quale non ha senso vivere. Questo, però, costituisce una netta cesura e una assoluta distanza dai sofisti che, con la forza retorica delle argomentazioni e del potere persuasivo della parola, sono autentici funamboli del pensiero siccome capaci di sostenere il tutto e, subito dopo, il contrario di tutto, cattivi maestri di una morale labile, di leggi da interpretare a seconda del bisogno, “cacciatori prezzolati di giovani ricchi”, aspiranti politici di pessime costituzioni politiche proprio perché figlie di un relativismo morale che non conosce ancoraggi assoluti. Queste note sono tuttavia essenzialmente preordinate a mettere in luce la centralità politica rivestita da Socrate nella sua città, quanto dire, a sottolineare un profilo fondamentale, oltre che di sicuro interesse, se è vero, come sembra inoppugnabile, che tutta la vita di Socrate si è svolta nel segno della politica. Secondo Platone, Sparta era la polis che vantava la costituzione più bella. Risaliva a Solone, che aveva impostato la prescelta oligarchia su tre fondamenti: forza – bellezza – saggezza. E qui non possono non illuminarsi gli occhi dei Fratelli Massoni visto che la Loggia è ordinata proprio su questi tre pilastri. L’ordinamento costituzionale ateniese era invece costruito su basi molto diverse, oltre che molto più complesse. A Atene la forma politica tradizionale era quella dell’egemonia del demos (donde democrazia) guidata, tuttavia, da una aristocrazia illuminata, composta da abbienti, a sua volta guidata da una massa di incompetenti. Come è stato autorevolmente osservato (L. CANFORA, Il mondo di Atene, Economica Laterza, 2013, pag. 10) la grandezza di quel ceto aristocratico è consistita proprio nell’avere accettato la sfida della democrazia, il rischio costante della sovrapposizione, facendo prosperare la comunità ateniese fino al punto di farne la culla dell’arte e della saggezza dell’intera Grecia. Questo sistema costituzionale era durato un secolo, fino a quando non fu abbattuto dal governo dei Trenta Tiranni (404 – 403 a. C.) imposto da Sparta alla duramente sconfitta Atene nella guerra del Peloponneso, per essere poi ricostituito al ritorno di “quelli del Pireo” militarmente guidati da Trasibulo. La democrazia, infatti, si abbatte, ma non si cambia perché non è, né modificabile, né migliorabile. In questo complesso quadro costituzionale, Socrate si muove al di fuori dei luoghi della politica, intrecciando complesse relazioni con le figure politiche più rilevanti dell’epoca. Oltre a Alcibiade, è il maestro di Crizia, il più autorevole e temuto esponente del governo dei Trenta, con il quale la città non si sarebbe mai riconciliata perché, per tutta la vita, fiero avversario della democrazia ateniese. Il teatro, accanto all’assemblea e ai tribunali, è il fondamento della vita pubblica di Atene. A differenza del teatro tragico, quello comico ha una efficacia direttamente politica. Il fatto che Aristofane abbia attaccato frontalmente, e ripetutamente, Socrate (Nuvole prime; Nuvole seconde), è una inoppugnabile conferma del ruolo politico svolto dal filosofo nella città. In questo senso depone altresì il fatto che altri importanti comici abbiano attaccato Socrate come il ghost – writer di Euripide, altro personaggio mal visto dalla città per la sua stretta amicizia con Crizia, perciò, come Socrate, bersagliato nella scena comica. Lo stesso Platone, del resto, non manca di porre Socrate al centro di una società estremamente politicizzata. È dunque difficile negare la stessa natura, tutta politica, dell’accusa che ha condotto il filosofo a morte. Ciò che veniva addebitato a Socrate era infatti l’avere allevato i due politici responsabili della rovina di Atene, rispettivamente Alcibiade e Crizia, il primo fautore della disastrosa spedizione in Sicilia, e, il secondo, affossatore della tradizionale politeia. L’azione politica svolta in concreto da Socrate è stata, però, ancora più incisiva per avere messo in discussione lo stesso fondamento del sistema costituzionale ateniese dal duplice profilo della competenza e del miglioramento degli uomini. Come in ogni democrazia antica, anche in Atene, nell’ordinamento costituzionale, rivestiva un ruolo centrale l’assemblea, nella quale avevano diritto di parlare tutti coloro che lo desideravano, posto che né la povertà, né l’umiltà dei natali costituivano un impedimento a manifestare il proprio punto di vista nell’interesse della città. La realtà era però diversa visto che in assemblea parlavano poi soprattutto coloro che “sanno parlare” perché hanno il dominio della parola. A conferma della preminente importanza che attribuisce alla politica, Socrate pone, però, la questione nevralgica se la politica abbia un suo oggetto specifico, salvo poi porre al centro della sua riflessione il tema della selezione dei governanti, o, come diremmo oggi, della classe dirigente. Salvo poi osservare che codesta selezione comporta il rifiuto inappellabile della democrazia. Ponendo il problema della competenza di chi tratta le questioni politiche, Socrate anticipa una problematica, ancor oggi, vivissima. Platone mostra poi di avere raccolto la preoccupazione socratica. Fondando nel 387 a. C. l’Accademia, scuola per aspiranti politici, comprova infatti che, a costruire animali politici, non basta una propensione naturale, per essere invece necessaria, al contrario, una dura preparazione. Lezione validissima anche ai giorni nostri, nei quali, purtroppo, domina invece l’improvvisazione. L’azione politica più efficace e significativa svolta da Socrate concerne tuttavia il miglioramento dei cittadini come mezzo indispensabile per il miglioramento della politica. Chi aspira a governare o addirittura a conquistare un simile ruolo, secondo Socrate, deve infatti offrire garanzie morali, le uniche che assicurano il perseguimento del bene comune e, dunque, del buon governo. In fondo, la costante discussione socratica di tipo politico messa in scena da Platone non mira, infatti, altro che a questo, ossia, alla ricerca del bene comune mediante il passaggio dall’io al noi. Eccedere l’individuale costituisce infatti l’unica – corretta – via in grado di irradiare con luce nuova la città. Altrimenti in preda dell’egoismo, padre di tutte le lotte intestine. Per operare una autentica rivoluzione sociale, insegna Socrate che occorre prendere le mosse dall’uomo “nuovo”. Solo a partire da ciò – e non prima – si può, infatti, finire per influire concretamente sulla città. Questa è la lezione che la Massoneria ha imparato perfettamente e che, da trecento anni, custodisce gelosamente, propugna alacremente, e mette in atto con ferma determinazione in tutti i paesi nei quali è presente. A conclusione di queste note si impone una ovvietà. Quando si guarda a Socrate, si pensa soprattutto all’uomo fedele alle proprie convinzioni fino al punto di accettare di subire la morte ingiusta pur di non tradirle. A fronte della concreta possibilità di sottrarsi alla pena mediante la fuga con la barchetta già pronta a questo scopo – evenienza neppure sgradita ai potenti della città – il filosofo preferisce infatti bere l’amara cicuta con la consapevolezza di avere positivamente concluso un ciclo di vita con un lascito del proprio insegnamento destinato a non invecchiare fino a quando esisterà un uomo. Fulgido esempio per tutta l’umanità elevato a mito e, con Erasmo da Rotterdam, degno addirittura di una preghiera (o sancte Socrates ora pro nobis). Socrate, come politico, fallisce. Platone, come politico in Siracusa, fallisce. Così come è destinato a fallire qualsiasi pensatore disarmato. Ciò nonostante, continuiamo, e continueremo sempre, a considerare Socrate come un punto di riferimento imprescindibile per chi aspiri ad una vita realmente autentica. La grandezza di un uomo non consiste infatti necessariamente nella vittoria, ma nella dignità e nella coerenza con le quali dà seguito – “con fatti e con parole”, come dirà più tardi Platone nella Settima lettera 324 a – a quello in cui crede fermamente