LA CONCHIGLIA DI SAN GIACOMO

LA CONCHIGLIA DI SAN GIACOMO

 di Adele Menzio

Non vorrei darmi arie da letterata raffinata ed amante delle ricordanze proustiane iniziando queste brevi note con il rammentare il sapore squisito delle «conchiglie di San Giacomo» gustate per la prima volta a Parigi in un delizioso piccolo ristorante del Quartiere Latino. Fui affascinata dal nome che scelsi senza esitazione sul menu ricco di specialità. Ora so perché. I pellegrini (dal latino «peregrinus» che, indifferentemente significa sia viaggiatore che straniero) avevano dei segni distintivi: uno era la conchiglia, l’altro il bastone. Il bastone è un compagno di viaggio ovvio e necessario al viandante e sembrerebbe non meritare particolare attenzione se non avesse un certo rapporto con la canna compagnonica e se in esso non si nascondessero molteplici aspetti simbolici. Esso è soprattutto un’arma magica che tiene lontano il male. Ad esempio nell’iconografia indù è l’arma di Yama, il guardiano del regno dei morti, mentre il bastone del monaco buddista è un’arma d’esorcismi. Difende dagli influssi nocivi, libera le anime dall’inferno, addomestica i dragoni, fa scaturire le sorgenti. Da arma esorcistica a simbolo del comando il passo è breve. È naturale che chi possiede poteri tanto grandi da stornare a suo piacimento il male, assuma agli occhi di chi questo potere non ha o non conosce, un’autorità ed un carisma particolari e soprattutto, riconosciuti. Senza pretendere di indagare in maniera profana su tutte le numerose ed interessanti simbologie del bastone, mi limiterò a proporre, per sommi capi, qualche significato tratto da diverse mitologie. Nell’antica Cina il bastone, fatto con legno di pesco, doveva nella celebrazione del capodanno scacciare gli influssi maligni. Ma esso, se laccato di rosso, puniva i colpevoli. Ancora oggi, in alcune società segrete esistono bastoni rossi con cui si infliggono le punizioni. I taoisti usano bastoni di bambù a sette o nove nodi. In tempi antichi i nodi simboleggiavano le sette o nove aperture che l’iniziato doveva superare per arrivare alla conoscenza. Una volta giunto alla conoscenza il taoista può salire in cielo, seduto sul bastone che una gru tiene con il becco. Il viaggio delle streghe medioevali che andavano al Sabba a cavallo di una scopa è analogo al viaggio del Tao. Il bastone dello sciamano, del mago, del capo è un simbolo di cavalcatura invisibile indispensabile per attraversare i piani ed i monti. Ecco dunque che il pellegrino, armato di bastone, non compie solo un viaggio di spostamento da un luogo ad un altro ma attribuisce al suo viaggio spaziale un significato più profondo e di arricchimento spirituale. Il concetto del viaggio lo si ritrova in molte tradizioni e religioni. In Massoneria le prove simboliche d’ogni iniziazione son chiamate «viaggi», nel linguaggio religioso la vita terrestre è un viaggio irto di dolori e patimenti che solo la fede e l’aiuto di Dio possono alleviare. Lo stato di «erranza» è una situazione nella quale l’uomo deve essere sottoposto a prove le più diverse ed il raggiungimento della meta (come la Terrasanta o la Mecca) è ottenuto con il superamento di tutte quelle incidenze avventurose che l’errare (o il viaggiare) comportano. Il bastone ha anche una valenza simbolica «assiale». È l’Asse del Mondo intorno al quale, come nella tradizione tantrica, si avvolgono in senso contrario due «nadi». Li possiamo paragonare ai serpenti del caduceo ermetico il cui significato è quello dello sviluppo delle due correnti cosmiche contrarie che, durante il caos primordiale, si combattono ma una volta arrotola tesi intorno al bastone, raggiungono l’equilibrio e giustificano anche la definizione del caduceo come simbolo di pace. Ecco perché l’emblema del bastone, esibito dal pellegrino, lo presenta come uomo di pace, desideroso soltanto di un momento di sosta e ad esso sono dovute ospitalità ed assistenza. La conchiglia, il secondo segno distintivo del pellegrino, in alcune regioni è chiamata «creusille» (creuset significa crogiolo). Immediato è il riferimento alla prova, considerata sotto l’aspetto alchemico ed intesa come purificazione. Come la Katharsis dei Pitagorici che preparava all’iniziazione.  Questa interpretazione trova conforto nella Tradizione. La conchiglia, che nasce e vive nell’acqua, porta in sé l’elemento fondamentale della purificazione lustrale. È simbolo di fortuna (presso i cinesi), di nascita (Venere), di amore, di fecondità, di rigenerazione. Anche la conchiglia è collegata al concetto di viaggio. Presso i Maya che la paragonano (per la sua forma femminile) alla luna, essa, sotto forma di Sole nero, viaggia, durante la notte, nel mondo degli inferi, tra i morti. Nell’età della renna le conchiglie fanno parte del corredo funebre perché esse fungono da collegamento tra il morto ed il principio cosmologico. Rappresentando Luna, Acqua e Femmina, la conchiglia ha il potere di rigenerare il defunto accompagnandolo in questo suo viaggio di trasformazione. La conchiglia è considerata l’attributo peculiare di S. Giacomo. Il che ci rimanda a Compostella. Ancora oggi le vie percorse dai pellegrini sono chiamate «strade di S. Giacomo». Questa espressione nasconde altri significati. Nel linguaggio contadino la «Strada di S. Giacomo» è la Via Lattea e Compostella significa «Campo stellato». Ecco scaturire il concetto del viaggio celeste, correlato a quello del viaggio terrestre. Esiste una arcana corrispondenza tra certi luoghi di pellegrinaggio e la disposizione delle sfere celesti. Si può, in altri termini, parlare di una geografia sacra. Durante i viaggi, sia dei pellegrini che dei mercanti, si stabiliva tra coloro che per correvano lo stesso itinerario, una solidarietà tanto profonda da far nascere un linguaggio comune detto «L’argot della conchiglia». Troviamo molte frasi in questa lingua dei pellegrini sia in Villon che in Rabelais (egli stesso pellegrino nel Poitou, provincia celebre per i misteri e le leggende). Tra i pellegrini v’era una sorta di gerarchia al culmine della quale era la schiera dei «nobili viaggiatori». Erano costoro gli iniziati dell’antichità il cui nome trasmesso, oralmente, giunge sino al medioevo ed anche ai tempi moderni. L’ultima volta esso fu pronunciato nel 1786 nel corso di un interrogatorio di Cagliostro, a Parigi. Se poniamo mente alla vita di iniziati importanti scopriamo che tutti sono stati pellegrini. Democrito che va in Egitto per essere iniziato ai segreti alchemici; Talete che si forma in Caldea; Pitagora che visitò tutti i paesi allora conosciuti (India, Persia, Gallia, Italia). Anche Paracelso vagabonda in Francia, Austria, Germania, Spagna, Portogallo, Olanda, Danimarca, Svezia, Ungheria, Polonia, Lituania, Carnia, Dalmazia, Russia e Turchia. Affascinato da questo «viaggiare» il poeta Browning ne ha colto l’intimo segreto con questi versi: «Vedo il mio cammino come l’uccello la sua rotta senza traccia. Un giorno o l’altro, il giorno predestinato, arriverò. Egli mi guida, egli guida l’uccello». Devo precisare che i «nobili» viaggiatori non sono tutti gli iniziati, ma in particolare una iniziazione di «shariyah» cioè di arte reale. Caratteristica di questa iniziazione è di riferirsi al mondo cosmologico e di considerare tutte le implicazioni che possono derivare da certe verità. È la corrente di pensiero che va sotto il nome di ermetismo mentre S. Giovanni è l’emblema dell’aspetto metafisico della tradizione, San Giacomo corrisponde al punto di vista delle scienze tradizionali, alla sfera dei piccoli misteri, alla conoscenza cioè del divenire, quella che si acquista percorrendo la «ruota delle È cose». un ambito intermedio e si riferisce a tutto quanto è traverso la via dei pellegrinaggi e del compagnonaggio. Proprio non immaginavo, quando ordinai una seconda porzione di conchiglie di San Giacomo, di nutrirsi di simboli.

Da  “DELTA”  n.  29 dell’Ottobre 1991

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