LUGLIO 1991. RIFLESSIONI ECOLOGICHE
Di Amarilli
Guardo questo mare e mi sembra limpido, trasparente. Ma è una illusione. Eccola, questa disgustosa, intollerabile schiuma bianca, che mi costringe a lasciare in tutta fretta la spiaggia. Fortunatamente non ho ancora raggiunto lo stato di assuefazione. Ecologia! Argomento più che mai presente, per l’angoscia di quanto si sta verificando nel mondo. E quante parole in suo favore, spesso purtroppo soltanto parole, anche per le sempre presenti ed astute velleità elettorali, senza una vera cosciente presa di posizione, per un problema così strettamente legato alla vita dell’universo, alla nostra vita. Natura, ambiente, uomo, animali, corpo, spirito. I filosofi scrutano l’animo umano, cercano il significato della vita, della morte. I teologi cercano la verità in Cristo, in Confucio in Maometto. Tutti pretendono di indicare la giusta via per conquistare il Paradiso, il Nirvana la pace, la salvezza dell’anima. Ma intanto la nostra vita si dipana giorno per giorno, dobbiamo nutrirci, respirare, vivere. E anche il nostro spirito, la nostra mente devono essere nutriti con lo spettacolo della bellezza e dell’armonia. Corpo e spirito strettamente legati, interdipendenti. Sono una idealista impenitente ed incompetente forse. Ma credo che in un mondo di esasperata meccanizzazione, in cui soprattutto domina la filosofia del profitto, in un mondo in cui si corre, si corre, pensare ad idilliaci paesaggi da attraversare a passo lento, pensare ad una qualità di vita che non sia soltanto guadagno, apparenza, può sembrare utopistico. Certo, le difficoltà quotidiane non consentono a tutti di essere poeti: ma il tessuto sociale, l’ambiente comprende tutti, poveri e ricchi, poeti e materialisti, ed è sul tessuto sociale che certe scelte, interessi, speculazioni influiscono. Positivamente o negativamente, a volte disastrosamente. La lebbra che corrode e distrugge i paesaggi e le ricchezze della natura è l’industrializzazione e la speculazione, vale a dire la ricchezza. Gli economisti dicono: vi è più ricchezza, cosa importa se qualche raffinato o inutile sognatore rimpiange questi strani piaceri estetici, quando il benessere delle masse è accresciuto? Io penso: un paese ricco è un paese brutto. Certo, il livello medio si è elevato. Ma voler guadagnare più del necessario è un Vero guadagno? Questa predominante preoccupazione priva l’uomo che ne è pervaso di piaceri ben più rari. Quando sarà definitivamente ricco sarà definitivamente vecchio, e non più in grado di gustare l’armonia della natura e dell’arte. Perché il denaro non può ridare giovinezza salute. Quello che egli chiama scherzosamente guadagnarsi la vita» non è in effetti che un faticoso guadagnarsi la vecchiaia e la morte. La vera grande ricchezza è la salute. E per questa ci vuole aria e acqua pura, Un armonico rapporto tra mondo vegetale e animale, non stravolto, deformato, inquinato, nel presuntuoso convincimento che l’uomo tutto può. Ci vuole un sacro rispetto e l’accettazione di leggi naturali nella loro secolare evoluzione. Qualsiasi scoperta, innovazione, intuizione deve, a mio parere, tenere conto di questo.
5 SETTEMBRE 1991. UNA STORIA D’ALTRI TEMPI
Chiquito è un gallo di carattere. Ora che tutti glielo chiedono si rifiuta di cantare, si rifiuta di sottomettersi al controllo di un fonometro per stabilire il grado di decibel del suo chicchirichì. È ammutolito, o quanto Meno canta quando nessuno se lo aspetta. Ma che storia è questa, mi si chiederà. L’ho letta su un quotidiano, piccola oasi fra drammatiche notizie dall’URSS, la guerra in Jugoslavia, la lotta questa volta categoricamente, energicamente promessa contro la mafia la delinquenza organizzata, la «querelle» fra il Quirinale e l’informazione, chi più ne ha più ne metta. La storia di Chiquito è per me una ventata di aria fresca dopo un ciclone. Non so com’è cominciata, ma pare che un turista milanese a Spotorno abbia denunciato il simpatico pennuto che turba i suoi sonni con un canto troppo mattutino e troppo arrogante. Giustizia deve quindi essere fatta e mai È stata più veloce. I] sindaco, è vero, ha dichiarato che il gallo può cantare tutte le volte che vuole, ma l’iter giudiziario deve ormai seguire il suo corso. Per essere scrupolosi, come normalmente avviene qui da noi, ci vuole la perizia tecnica a base di decibel e un accurato verbale. Ma, ahimè, Chiquito si rifiuta di cantare. È una notizia che mi ha messo di buon umore. Mi piace immaginare che il turista milanese non sia un noioso brontolone, ma un individuo dotato di fine umorismo, che ha voluto divertirsi. Gli scrupolosi vigili urbani, una volta tanto non solo impegnati ad applicare ripetitive multe e a smaltire il traffico, mi piace immaginarli illustrati in una di quelle spiritose vignette ottocentesche dei «Pickwick Papers», grotteschi personaggi che si scambiano occhiate complici e maliziose, sorrisi sornioni o in atteggiamenti seriosi ed impettiti nel compimento del loro dovere. E gli operatori della televisione, perché c’erano anche loro, mi piace immaginarli non alla ricerca della notizia scandalo o pettegolezzo, ma in allegra attesa del canto di un gallo. Non so come la storia sia finita, se finalmente Chiquito si è degnato di cantare. Non so se sarà processato e condannato agli arresti domiciliari. Ma è, finalmente, una bella storia, riposante, rilassante. E mi piace pensare che tutti i protagonisti, incluso Chiquito, si siano divertiti.