IL MITO
Platone pensava che, qualche volta, quando la verità intiera non può essere espressa dal logos, viene manifestata dal mito. Anche il mito quindi è un linguaggio che può essere inteso come semplice descrizione di un fatto ma nel quale gli studiosi, le menti aperte, sanno percepire un significato esoterico, un insegnamento, una rivelazione di verità, di fede, di bellezza.
Altrettanto si verifica per qualsiasi realizzazione poetica o figurativa: l’apprezzamento del profano non può essere che superficiale ; ma la persona veramente competente, saprà penetrare, di là dei suoni, dei colori e delle forme, nel valore profondo spirituale e simbolico della concezione artistica, sino a darle spesso forza e vita nuova con una sua lenta ed originale rielaborazione, che diventa spesso una nuova creazione artistica. La “Commedia” di Dante, ad esempio, poema di altissimo valore iniziatico, può essere interpretata nella sua apparenza letterale e letteraria, ma favorisce una più aristocratica interpretazione di carattere esoterico accessibile naturalmente ai pochi.
Così è per molti miti; essi presentano almeno due caratteri: uno semplice e popolare, l’altro complesso ed eccezionale, e per questo riservato agli uomini di maggiore affinamento spirituale.
Prendiamo, ad esempio, la mitologica spedizione degli Argonauti.
Non può sfuggire oltre l’espresso anelito di tutte le anime di correre alle belle contese e di affrontare i mille rischi di carattere sportivo e avventuroso, il contenuto morale dell’impresa antesignana delle grandi conquiste della navigazione. «Il Vello d’Oro, che ha la straordinaria abilità di parlare e di volare, di realizzare cioè in sé le più eccelse aspirazioni umane del volo e della parola indiatrice, è il punto di convergenza dei più acuti eccelse desideri, delle più – mete, delle massime ambizioni spirituali; il suo acquisto, lungamente carezzato, da molti sognato, non può essere attuato che dagli eletti, dai puri, attraverso i pericoli ed i disagi più fieri, attraverso la purificazione di un viaggio allegorico e di una continua battaglia contro le forze del male e contro le resistenze dell’inerzia. Partecipano al viaggio eroico Giasone, che ne è il condottiero, e che rappresenta la saggezza e la virtù; Ercole, che simboleggia la forza e la sanità fisica; Orfeo, il meraviglioso incantatore degli esseri e delle cose, raffigurante l’arte ed il pensiero che elevano i cuori e le menti alle sublimità dell’ideale; e tutti i migliori cinquanta campioni umani, da Teseo, il liberatore della civiltà Minoica con la vittoria sulla bestialità del Minotauro, a Tifi, il pilota dagli occhi azzurri come il mare e dal polso fermo come il destino. Infatti tutti gli spiriti, tutte le energie, tutte le abilità e tutte le bellezze debbono consociarsi per superare la stagnante realtà della vita e della prosa ed assurgere alle più alte e lontane esaltazioni della verità, della libertà e della poesia, «Né priva di gentile e penetrante significazione simbolica è la poetica favola di Aretusa che, per sfuggire alla persecuzione amo- rosa di Alfeo, si tramuta per grazia di Artemide in fonte di acqua pura e la sua cristallina purezza e dolcezza conserva attraversando le acque salate della marina, a significare che la limpidità e l’altezza spirituale non può offuscarsi nè corrompersi anche in mezzo alle vicende olgiastiche e tempestose dell’esistenza umana». Vasto insegnamento e densità di verità iniziatica offre il mito dedalico. Creta, al centro del bacino mediterraneo, servì da ponte tra le grandi civiltà orientali, l’Egiziana e la Micenaica. Essa divenne la culla di una grande civiltà, che si chiama Minoica.
Minosse, re di Creta, figura storico-leggendaria, accolse nella sua corte Dedalo (« Daidallo », colui che lavora con arte), sublime artefice e inventore che appare ancora oggi come il mitico precursore della scienza e la personificazione del genio inventivo. Dedalo, rifugiatosi a Creta dopo che, per gelosia di mestiere, aveva ucciso il nipote Talos, costruì per ordinazione del Re Minosse il famoso labirinto; nessuno che vi penetrasse sarebbe potuto uscire e costruì per la bella regina Pasifae la vacca di legno entro la quale, penetrata, la donna potette dare sfogo alla sua lascivia facendosi possedere dal torello desiderato. Dall’amplesso ferino nacque il Minotauro, mostro crudele ed osceno, che nella sua costituzione di forme testimonia quanta bestialità si nasconde nella natura umana se in questa il senso prevale sulla ragione. «Dedalo rappresenta la tecnica scientifica, fredda e indifferente alle finalità del bene e del male, che ama se stessa e si esaurisce nelle esperienze pratiche e nelle attuazioni reali senza dare al lavoro e un contenuto morale ed uno scopo educativo ed eticamente evolutivo». ..omissis…
«La scienza è senza anima: opera il bene e il male secondo le occasioni e i tempi non mostrando preferenze per l’uno o per l’altro.
Costringe per lunghi anni i suoi cultori davanti ad una provetta o ad una piccola lastra di cristallo per difendere dalla morte dieci, cento, mille individui minacciati da un morbo insidioso e misterioso; ed intanto, per mezzo di altri suoi cultori, che spendono le notti insonni in ricerche ed in prove snervanti, crea la bomba atomica per uccidere in un colpo centomila persone.
«Già nel mito di Dedalo questa drammatica assurdità si afferma e l’apatia della scienza tra il buono ed il cattivo prende efficace rilievo.
L’artefice di Minosse seconda la prava sensualità bestiale di Pasifae e la volontà tirannica del Re costruendo la vacca ed il labirinto e, con eguale impegno facilita l’impresa liberatrice di Teseo e di Arianna dalle belle trecce e costruisce la statua di Phtah in Menfi e il Tempio di Apollo in Cuma. Egli è l’uomo operoso e geniale che ha fede nel suo lavoro e lo ama e si conduce dove la sua arte trova campo di esplicarsi, incurante se cammina verso mete di tenebre o di luce, se va incontro all’amore o all’odio, alla virtù o al vizio. «Ma la sua operosità industre lo porta alla fine al volo che salva e redime; e qui è l’insegnamento propriamente iniziatico del mito dedalico.
«Chiuso col figlio Icaro nel labirinto, che egli stesso aveva costruito (la scienza prigioniera di sé medesima), egli pensa senza scoramenti al modo di evadere; con piume e cera costruisce ali che adatta alle braccia di Icaro e sue e, lanciato il figlio al volo, lo segue per le vie del cielo. Dedalo, prudente, non si eleva a grandi altezze, ma Icaro, generoso e poco accorto, sente l’ebrezza del volo ed ascende in alto, sempre più in alto, desideroso di librarsi ormai al di sopra della terra per abbracciare più larghi orizzonti e toccare l’estremo azzurro, finché i raggi troppo roventi del sole ne disciolgono la cera che regge le ali ed egli cade nel sottostante mare che dal suo nome sarà chiamato Icario.
«Non qui si conclude la leggenda di Dedalo, che correrà altre avventure, edificherà ancora templi e città, scolpirà statue ed inventerà nuovi strumenti di lavoro per le opere umane; ma da qui assume significato e rilievo la tradizione iniziatica del mito dedalico.
«Secondo tale tradizione, gli episodi forse fantastici del labirinto, del Minotauro e del volo, si elevano a simboli di chiara ed etica significazione. Infatti, stanno a rappresentare come l’uomo dalla più bassa e bruta bestialità, espressa nella lussuria di Pasifae, con la volontà e la forza, simboleggiate in Teseo, e con la bontà e l’amore, simboleggiate in Arianna, può emanciparsi dal vizio e dall’errore ed ascendere verso il cielo della purificazione e della libertà assoluta e
divina dello Spirito.
In tale stato di nuova felicità si può navigare con pacata dutezza verso le conquiste molteplici della vita, sempre tenendo l’altezza della verità e della perfezione; ma, anche se si dovesse dare per troppa sublimità, non più contenibile, nelle forme e forze umane, si finirebbe, come Icaro, in bellezza e in gaudio; acquisto della morte sarebbe l’immortalità della vita ».
Il Vico scriveva: «Le leggende se non hanno verità di fatto hanno vertà di idee