L’UOMO LIBERO MURATORE SCOZZESE E IL MALE:

L’UOMO LIBERO MURATORE SCOZZESE E IL MALE:

Una riflessione di grande attualità in questo particolare momento storico

IN OCCASIONE DELLA TORNATA DELLA CAMERA CAPITOLARE “G. GARIBALDI

(Grosseto, 21 marzo 2022)

Carissimi Fratelli, Carissimo Presidente Fratello Mauro Carri, ringrazio di cuore per questo invito. Sono felice e onorato di essere presente stasera qui con Voi. Il tema che andrò affrontare risulta di grande attualità in questo particolare momento storico. Esprimerò una mia riflessione sul concetto del “male”. Secondo me, il male viene personificato perfettamente da colui che disprezza la vita umana, disprezza l’individuo, disprezza la dignità dell’uomo, disprezza qualsiasi norma morale; da colui che agisce senza “pietas”!

Questi uomini rappresentano il “male assoluto”. Non possiamo fare a meno di ricordare che il concetto di male assoluto è stato per la prima volta introdotto da Fédor Dostoevskij, nato a Mosca nel 1821 e morto a San Pietroburgo nel 1881, scrittore e filosofo russo, considerato uno dei più grandi pensatori di tutti i tempi.

Nessuno come lui è stato capace di descrivere la potenza del male. Egli ha rappresentato la crisi dell’uomo moderno, lacerato da pulsioni contraddittorie, privo di certezze e di punti di riferimento solidi, a cui uniformare il proprio comportamento morale. Il male è stato da lui interpretato come una conseguenza del “libero arbitrio” dell’uomo; cioè di quella illimitata capacità di scegliere, scientificamente e deliberatamente, tra il bene e il male, di compiere o non compiere una azione malvagia. | personaggi descritti nei suoi romanzi, come Rasko’Nikov, protagonista del romanzo “Delitto e Castigo” o Stavrogin, protagonista del libro i “Demoni”: delineano il male assoluto; cioè agiscono senza rispettare la legge morale che è dentro di loro e addirittura vanno fieri di escludere dalla loro coscienza la legge morale… di riuscire ad andare al di là del bene e del male. In loro non esiste nessun rimorso o senso di pentimento. L’esistenza di questi personaggi finisce nella distruzione di sé e degli altri. Questo, infatti, è il destino ultimo del male, quello di decadere…di cessare.

Un altro concetto rilevante, per comprendere questo argomento, è quello della “banalità del male”. Questa definizione è stata introdotta dalla filosofa e storica tedesca, di origine ebraica, Hanna Arendt, nata nel 1906 ad Hannover e morta nel 1975 a New York. La filosofa, allieva di Martin Heidegger, laureata a Heidelberg, con una tesi sul concetto dell’amore in Sant’Agostino, lasciò nel 1933 la Germania nazista, perché le fu negata la possibilità di insegnare alle università tedesche, e si trasferì a New York, dove svolse l’attività di giornalista e storica. Nel 1961-1962 seguì da giornalista, il processo ad Adolf Eichmann, che era riuscito a sfuggire dal processo di Norimberga, scappando in Argentina. Questo processo fu istruito a Gerusalemme e da questo prese spunto per scrivere il suo libro intitolato la “Banalità del male. Eichmann a Gerusalemme”. Eichmann era un comune e normale uomo tedesco, prima di diventare capo delle SS e responsabile della deportazione dell’uccisione di milioni di ebrei. Durante il processo non dimostrò mai nessun pentimento e riuscendo, in tal modo, a banalizzare il male; avendo compiuto un male terribile senza rendersene conto, anzi banalizzandolo. | nazisti, e tutti coloro che si allinearono, persero completamente la capacità di giudizio di fronte al male che si stava compiendo in quegli anni. Anche Primo Levi nel suo libro, dal titolo “sommersi e salvati”, scritto un anno prima della sua morte avvenuta nel 1987, descriveva che, nei campi di concentramento, solo chi resisteva il male riusciva a salvarsi, invece chi si ribellava moriva. Levi si è sempre rifiutato di stigmatizzare gli uomini malvagi come un sottogruppo dell’umanità; diceva che sono esseri del tutto normali, tristemente ordinari, uomini qualsiasi trasformati solamente dalle circostanze. Descrivendo i suoi aguzzini nei campi di concentramento, scriveva che erano fatti della nostra stessa stoffa, erano esseri umani mediamente intelligenti, non erano mostri, avevano il nostro viso; e concludeva dicendo che tutti siamo pronti ad essere abbagliati dal potere e accedere ad ambigui compromessi.

Purtroppo, quando tutti obbediscano diceva Levi, dissentire è paradossalmente un segnale di debolezza.

In fondo, in ciascuno di noi c’è un caos interiore, una mescolanza tra l’umano, il divino e il mostruoso; e questo spiega perché la vita di una persona sia così complessa e spesso contraddittoria. Ciascun uomo, infatti, può essere tanto nobile quanto vile, tanto divino quanto diabolico (C. Spinelli : “Melia: una riflessione sul male” ,Campano Editore , Pisa, 2021).

Purtroppo, il bene e il male, all’inizio, sono intrecciati insieme, rappresentano due aspetti della stessa cosa. Come succede per la “verità” e la “menzogna”; se non fosse così, qualsiasi menzogna non potrebbe essere credibile; che menzogna sarebbe! Per questo motivo noi non siamo capaci inizialmente di distinguere la menzogna dalla verità. Così anche del male ce ne accorgiamo sempre dopo, dai suoi effetti. All’inizio il male non si riconosce perché esso si introduce sotto la parvenza del bene, sembra bello, buono, desiderabile, umile, simpatico, semplice, sottile, leggero, veloce, amichevole e per questo penetra agevolmente nell’animo umano. Il  bene, invece, è antipatico e presuntuoso e per questo motivo, ne rimaniamo con difficoltà conquistati. Noi umani arriviamo a discernere il male dal bene, la menzogna dalla verità, sempre troppo tardi, quando le messi sono già sfiorite e hanno dato i loro frutti- come viene riportato nella parabola evangelica della zizzania, dove il bene il male sono legati l’uno all’altro ( Matteo 13,24-30). Tu credi di seminare il grano, il buon seme, ma poi di notte quando tu dormi e non te lo aspetti, arriva il tuo nemico che semina anche lui nello stesso campo del seme cattivo, della zizzania; e solo al momento della mietitura potremmo separare il grano (il bene) dalla zizzania (dal male) e non prima… solo alla fine potremmo conoscere la verità e capire cosa è bene e cosa è male. Questa parabola ci fa capire che noi possiamo prendere coscienza del male solo in un momento posticipato. Se fosse possibile comprendere tutta la sua malvagità sin dall’inizio, chi lo compierebbe! Il male è sempre una sorpresa, perché come l’erbaccia che infesta il grano, si trova sempre in mezzo al bene.

Anche nell’ordine naturale delle cose è possibile notare una costante contraddizione tra bene e male. Nella natura domina l’“inaequalitas” (disuguaglianza); aspetti che non si presentano in modo unitario, ma in contraddizione l’uno con l’altro. il Leone mangia l’ antilope senza sapere di fare del male; non si rende conto, per lui è una normalità, fa parte dell’ordine della natura.

Ugualmente, l’uomo mangia i pesci ma non avverte di fare il male, anche se ha coscienza di ciò che fa, ma non ha nessun rimorso, perché come gli animali deve soddisfare il suo bisogno fisiologico di mangiare.

La mente, pertanto, deve continuamente lottare tra fare il bene o fare il male ed è impensabile raggiungere un’armonia tra queste due possibilità; anzi dovremmo evitare, in tutti i modi, di entrare in collisione con il male; dovremmo lasciarlo andar via, liberarlo. In fondo il termine “libertà” racchiude in sé l’atto di liberare.

Dovremmo non opporsi al male, dovremmo non contrastarlo. “Non fare male al male” diceva Nietzsche. Sembra che questa sia una situazione impraticabile, perché sembra difficile rinunciare all’arma del male, ma così facendo lasciamo che il male giunga al suo esito inesorabile, quello di abbattersi contro se stesso, di sradicare la propria radice, di esaurire la propria linfa. Nietzsche riassunse questo concetto affermando che: “immaginatevi un grande oceano in cui sfociano tutti i fiumi della storia per essere purificati. Ebbene, non mettete le dighe a questi fiumi immondi, altrimenti allagheranno con le loro schifezze tutta la terra. Lasciateli confluire nel mare aperto dove li saranno annientati dalla loro stessa malvagità”.

Il tema del male è indissolubilmente legato al tema del “libero arbitrio”, in quanto l’individuo decide volontariamente, grazie alla sua libertà di pensiero di scegliere tra il bene e il male. Dostoevskij, nelle straordinarie pagine dedicate al “Grande Inquisitore” che ritroviamo nel romanzo dei Fratelli Karamazov, accusa Dio di aver lasciato gli uomini in balia di quel “libero arbitrio”, che essi nella loro piccolezza non sono in grado di sostenere. In fondo l’uomo non è mai veramente libero. La libertà è solo un’illusione, la libertà consiste solo nel pensare, perché in realtà tutte le nostre scelte sono subordinate ad altro, a necessità o a mancanze.

Non dobbiamo far coincidere la nostra libertà al fatto che possiamo scegliere. La scelta non è espressione di libertà, è solamente un conflitto interiore tra due o più opzioni. La vera libertà inizia quando cessano le scelte e si placa ogni agire. La vera libertà non è fare quello che ci pare e scegliere quello che ci pare, bensì comprendere ciò che siamo. La libertà non è la libertà di scelta ma la libertà di essere sé stessi.

lo credo che la nostra Libertà non deve essere intesa come una qualità del soggetto… non va intesa in qualcosa che si ha… in qualcosa che si fa . La Libertà non deve essere sentita come una proprietà dell’uomo, ma all’inverso, semmai è l’uomo a essere ritenuto proprietà della Libertà — come diceva Heidegger, nel suo trattato Sull’essenza della libertà umana. La libertà è l’essenza a cui l’uomo deve essere ricondotto perché divenga veramente uomo.

La libertà, quindi, non è qualcosa di cui ci possiamo appropriare, ma si deve incarnare nei nostri atti. E il maggior atto che può avvicinarci alla Libertà è quello di “interpretare”, tutto ciò che riduce i nostri spazi di Libertà. Dobbiamo interpretare e individuare le divergenze, le alterazioni, le emergenze; soprattutto quando sono assenti, sia sociali, sia politiche, sia culturali, che potrebbero essere ignorate o potremmo noi stessi essere stati incoraggiati — magari senza accorgersene – a ignorarle. Questo deve essere un esercizio attivo, richiede uno sforzo e non una semplice attività contemplativa da svolgere con disimpegno. Questo deve essere lo sforzo del Nostro “Lavoro” Libero Muratorio Scozzese”, e purtroppo dobbiamo prenderci talvolta anche dei rischi.

lo penso che se abbiamo a cuore la Libertà, noi tutti “Uomini di Libero

Pensiero” dobbiamo perseguire questa strada. Il nostro compito, di Uomini Liberi Muratori Scozzesi, è quello di verificare, se tutto ciò che succede nella nostra epoca, nella nostra società, nella nostra civiltà, si svolga Liberamente. Questo, secondo me, è fare Massoneria, questo è ricongiungersi alla Libertà.

Fr. C.’. S.’., 33° Grado

Presidente della Sezione Regionale del Sublime Gran Concistoro Nazionale del Rito Scozzese Antico e Accettato

Questa voce è stata pubblicata in Lavori di Loggia. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *