IL PAVIMENTO A SCACCHI

IL PAVIMENTO A SCACCHI

di E.’. R.’.

Avanti di passare da perpendicolare a livella, ho voluto — una volta

di più – riesaminare il quadro di Apprendista per rendermi conto di

quali frutti avesse portato quel Catechismo privato cui mi ero tanto

applicata nel mio Apprendistato. Bisogna saper spezzettare il pane

della scienza in briciole tanto minute che persino la donnetta che vende

lupini agli angoli delle strade se ne possa cibare: così diceva a noi suoi

allievi Emilio Tron, al liceo Alfieri, tanti anni fa. Ma il pane della

verità nessuno ce lo può spezzettare e tutti noi siamo per cibarcene

ben più impreparati della venditrice di lupini, ben più inconsapevoli

della nostra fame e della nostra capacità di saziarla.

Per questo il quadro di Apprendista, la cosa più fisicamente evidente,

il più immediato ornamento del nostro Tempio è diventato il manuale

più impegnativo del mio Catechismo, per essere così, sotto gli

occhi di tutti, tanto ovvio e segreto, stimolo, incitamento e sfida.

Dei simboli effigiati nel quadro di Apprendista, uno — ancora una

volta — il più ovvio, quello che sembrava recare il minor messaggio

esoterico, ha sempre attratto la mia attenzione: il pavimento a scacchi

bianco e nero.

Mi sono domandata come mai avesse su di me tanto richiamo e credo

oggi di poter rispondere. Esso è l’unico simbolo presente nel quadro

a contenere il senso della libertà di scelta, dell’arbitrio dell’uomo. Molti

sono i segni che esprimono la pluralità di ciò che esiste o l’antinomia

della realtà, ma solo il pavimento a mosaico ci ricorda l’esercizio dialettico

della scelta del singolo all’interno della Massoneria, nella sua

vita di Uomo Massone, momento per momento.

Nella tavola da me tracciata al fine che i Maestri a ciò preposti valutassero

il mio lavoro di Apprendista e il profitto che ne avevo tratto,

io ho parlato di obbedienza e di una speciale qualità di essa, evocata

dall’amore e dalla fiducia in altri intelletti e ho parlato della difficoltà

di conquistare tale obbedienza.

Percorrendo la via acroamatica, il cammino esoterico, che attraverso

il pavimento a mosaico ci conduce alla porta del Tempio, noi siamo

chiamati in ogni momento all’esercizio della scelta, dell’arbitrio, trovandoci a lato, a ogni passo, alternativamente il L’esercizio bianco e il nero. dell’obbedienza ci restituisce alla libertà. Per obbedienza e con obbedienza ciascuno di noi sale i tre scalini che segnano la corporeità, la vitalità e l’intellettualità, ma dall’ultimo di essi alla porta del Tempio, il libero arbitrio ci è reso dai Maestri che ci hanno chiesto obbedienza, per dimostrare il frutto del nostro apprendimento. Stupisce l’affinità strettissima tra l’esperienza intellettuale di questo percorso e le parole di un grande cultore di studi esoterici, di colui che per primo osò parlare di temi esoterici e di temi desunti dalla Patristica e dalla Scolastica quasi fossero momenti diversi di uno stesso studio, giustificando Mosè con Pitagora per la prima volta nella storia della Cultura: Giovanni Pico di Mirandola.

In una delle sue opere, l’Oratio de hominis dignitate, questo egli dice,

immaginandole parole del Creatore alla sua creatura: «Non ti ho dato, o Adamo, né un posto determinato né un aspetto proprio, né alcuna prerogativa tua, perché quel posto, quell’aspetto, quelle prerogative che tu desidererai, tutto, secondo il tuo voto e il tuo consiglio ottenga e conservi. La natura limitata degli altri è contenuta entro leggi da me prescritte. Te le determinerai, da nessuna barriera costretto, secondo         il tuo arbitrio, alla cui potestà ti consegnai. Ti posi nel mezzo del mondo perché di là meglio tu scorgessi tutto ciò che è nel mondo. Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché da te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori 0 potrai, secondo il tuo voler, rigenerarti nelle cose superiori che sono divine… Ma a che ricordare tutto ciò? Perché comprendiamo, dal momento che siamo nati nella condizione di essere ciò che vogliamo, che è nostro dovere aver cura specialmente di questo: che di noi si ripetano le parole del profeta Asaph: “siete iddii e tutti figli del cielo”.

Queste parole credo valga la pena di ricordare.

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