SULLA LIBERTÀ DI STAMPA
di D. G.
Solo qualche considerazione sulla libertà di stampa, che comunque
crediamo utili, posto che anche il semplice tentare di esaurire l’argomento richiederebbe un discorso di ben altro spessore per quanto, pur nei limiti che ci siamo imposti, sia più giusto parlare di «libertà di informazione», con riferimento all’intero mondo dei media.
Una libertà che rifacendoci ai valori fondamentali dell’ordine democratico, possiamo intendere come il potere specifico di divulgare notizie e informazioni, che la legge riconosce all’individuo nel quadro
della più ampia libertà politico-sociale, per la quale tutti i cittadini
hanno il potere di agire nell’ambito della società organizzata secondo
la propria convinzione e la personale volontà, entro i limiti stabiliti
dalla legge medesima, o comunque riconosciuti validi dalla società stessa.
Una libertà, quella di informare, che è dunque un potere reale
nei confronti di tutti i propri simili, e che per quanto collocato in
quarta posizione dietro ai poteri legislativo, esecutivo e giudiziario
dall’immaginifica definizione di «quarto potere», rispetto a questi ha
la prerogativa di poter superare il proprio ambito statuale e quindi
raggiungere con i suoi effetti ogni angolo della terra.
Una libertà passata dalla coscienza individuale alla formulazione collettiva con la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino nella Francia dei Lumi e storicamente consolidatasi via via con l’esercizio contro i governi dispotici, cioè, contro il controllo, l’ingerenza e la censura dei pubblici poteri.
Siamo ancora alle radici, ma anche ai cardini della libertà di informazione, che per noi massoni, è una componente essenziale di quella libertà della tradizione individualistica e liberale rifacentesi al pensiero che da John Locke, per John Stuart Mill, giunge vicino a noi
con Bertrand Russell. È la Libertà, tout-court, indissolubilmente connessa con gli altri due nostri valori fondamentali presenti nella triade scritta che campeggia in ogni tempio massonico: l’Uguaglianza, non certo da intendere nell’accezione marxiana o comunque puramente economicistica del termine, ma piuttosto da cogliere nel significato più ampio di parità di tutti gli esseri umani nei loro diritti naturale e di fronte alla legge dello Stato, nonché nei doveri civile che regolano la convivenza. Libertà come potere, legge statuale, diritti individuali e doveri personali: concetti e termini assunti tutti in positivo anche dal mondo profano, ma che per noi massoni prendono significato dallo spirito di fratellanza con il quale li interpretiamo e siamo chiamati ad esplicare sforzandoci a viverli.
Ma lasciamogli alti princìpi e tralasciamo la grande storia, che narrando le repressioni di regimi assolutisti o dittatoriali e di governi polizieschi, ci racconta di tante limitazioni, quando non di annullamento, della libertà di informazione. Vediamo piuttosto qual è la situazione in proposito ai nostri giorni, in questo nostro Paese che si dice libero e democratico.
Intanto, per libertà di stampa si possono intendere diverse cose: anzi tutto, la possibilità dei giornalisti di scrivere sui giornali che ritengono più vicini alle loro convinzioni, e su questi, scrivere ciò che pensano riguardo ai vari accadimenti. Riguardo a questa possibilità è bene ricordare subito quel che Voltaire fa dire all’anatomico Sidrac: «30 ghinee di rendita sono abbastanza per vivere liberi e per pensare. Con questa rendita assicurata si può dire tutto quello che si pensa della Compagnia delle Indie, del parlamento, delle colonie, del re, dell’essere in generale, dell’uomo e di Dio; e questo è un gran divertimento». Già, ma normalmente i giornalisti non dispongono di questa rendita, perciò non possono scrivere quel che pensano se il loro pensiero è sgradito a coloro che invece dispongono di essa. Secondariamente, per libertà di stampa si può intendere la possibilità per chi dispone dei necessari mezzi finanziari, di pubblicare un giornale (o di impiantare una televisione o altro veicolo audiovisivo per chiudere il cerchio della informazione, oggi), da cui discende la possibilità che convivano le opinioni più divergenti e gli interessi – che diciamolo, non mancano mai – più contrastanti, espressi mediante diversi giornali o altri media.
Orbene, oggi per libertà di stampa si intende generalmente quest’ultima possibilità e la conseguente facoltà di scelta da parte del lettore, ovvero, di tutti, che tutti, oggi siamo in qualche modo fruitori di mezzi d’informazione. Ma questa facoltà è più teorica che pratica, perché essa presuppone una «sensibilità» culturale tale da consentire di discernere la verità dalla menzogna; e detta così la cosa sempre perfino banale, o invece è quasi sempre impossibile stabilire con precisione dove passa la linea che separa verità e menzogna in quella terra di nessuno che è l’alone di ambivalenze, più o meno denso, che le circonda nella maggior parte dei casi, Per questo abbiamo parlato di sensibilità culturale, da non confondere con la pura e semplice preparazione culturale avulsa da un adeguato sedimento antropologico, e ancor meno con il livello di scolarità, che mai, forse, come oggi, non è più rapportabile con alcunché; da cui l’odierna fortuna di tanti persuasori neppure tanto occulti.
Di qui il fatto che la possibilità dei lettori di agire come gruppi di
pressione mediante l’acquisto o meno di determinate pubblicazioni,
è pressoché nulla, per cui queste possono mistificare come vogliono
la realtà dei fatti, sicure d’essere al riparo da ripercussioni negative
sulle vendite. Anche la grande contrapposizione tra stampa di opinione o di partito o gruppo, e stampa di informazione cosiddetta indipendente, è fallace: certo la tecnica informativa è diversa, che nel
primo caso è piuttosto rigida, grossolana e perentoria, mentre nel secondo è più sfumata, elastica, indiretta; però esiste sempre un filo
conduttore che per strade dritte o vie traverse porta all’indottrinamento e alla persuasione.
Tutto ciò spiega la corsa fattasi frenetica negli ultimi decenni, cioè
da quando il livello di scolarità si è elevato insieme a quello del benessere economico generale, ad accaparrarsi la proprietà dei mezzi
d’informazione e degli strumenti pubblicitari da questi veicolati, da
parte di quei pochi centri di potere che in Italia dispongono delle risorse finanziarie necessarie per superare le elevate barriere all’entrata del settore. Così il cerchio attorno al fruitore di questi mezzi è pressoché chiuso; al fruitore medio, naturalmente, ma è questo che interessa per la tiratura o l’audience, perché è esso che fa massa, e quindi per la formazione dell’opinione pubblica, che è poi come dire, del consenso attorno ad un indirizzo ideologico-politico, ovvero, di un prodotto industriale; e anche qui, la linea che separa la propaganda dalla pubblicità è tutt’altro che facile da individuare.
Certo non siamo più ai tempi del processo a Galilei e all’abbruciamento di Giordano Bruno, rei l’uno e l’altro d’aver espresso le loro convinzioni, e i Torquemada d’oggi vestono cravatta e doppiopetto nelle redazioni dei giornali e negli studi radiotelevisivi. Lo vediamo, anzi, lo subiamo tutti i giorni noi massoni d’Italia, continuo oggetto d’una intolleranza diffusa, di equivoche persecuzioni e di rozze provocazioni da parte dei media, impegnati quasi tutti a sollevare falsi
problemi per diffondere un’immagine ambigua, quando non deleteria,
della massoneria, con fini scopertamente legati a interessi di parte.
Lo abbiamo visto in occasione dei fatti che portarono all’emanazione
della legge sulle società segrete nel 1982, e dai quali per noi massoni
non è neppure il caso di prendere le distanze, tanto ne siamo lontani e nella lettera e nello spirito, e non soltanto perché quei fatti hanno riguardato altra Obbedienza.
Da allora – ma anche prima, anche se in modo più larvato e subdolo
– i mezzi d’informazione nazionali si sono generalmente impegnati
a sollevare polveroni a fini scopertamente politici, attorno alla massoneria,
forzando perfino quegli stessi luoghi comuni recepiti da tante
gente sull’onda di una secolare azione di indottrinamento antimassonico
di marca clericale o fascista. Oggi, poi, in questi giorni che
segnano l’irrefrenabile franare dell’incastellatura d’intrallazzi eretta
a sistema di governo dal mondo politico nel nostro Paese, dal dopoguerra
in avanti, sembra che i media abbiano raggiunto l’apice quanto
a virulenza di intenzioni, prima ancora che di linguaggio nei confronti
di noi massoni. Il termine «massoneria »è diventato sinonimo
di trame destabilizzatrici, senza che un briciolo di dubbio sfiori i più,
ricordando il «complotto demopluto giudaico massonico» di cattiva memoria
fascista.
Gli è che purtroppo si tratta di un livore che arriva da una lontananza
di secoli in questo nostro Paese, nel quale i Lumi hanno diradato
ben poco le ombre medievali. I falsi storici sulla massoneria vengono
posti in evidenza per rendere appetitosi al palato del fruitore medio
dei mezzi d’informazione, cui nessuno s’è mai dato pena di attivare
il senso del gusto. Un esempio per tutti: l’estemporanea uscita del
leghista Franco Castellazzi sul «verde massonico» della bandiera itaitaliana
definita «Tricolore piduista». Un po’ più sotto c’è sempre la
battuta ironica sul grembiulino o sul triplice abbraccio, il sottotitolo
che ammicca al sospetto nei nostri confronti, messi lì apposta per far
piacere a qualcuno in alto e far leggere il pezzo in basso.
A questo stato di cose, la nostra Obbedienza, da sempre impegnata
nella difesa della libertà di pensiero e di espressione, oppone solitamente la pratica dell’ aforisma di Voltaire che troviamo a epigrafe della nostra rivista, tollerando non soltanto l’ignoranza, ma anche il falso della presunzione e dell’arroganza, € opponendo un dignitoso silenzio che ben si confà con lo spirito che anima i lavori in loggia, dove l’umiltà permea la ricerca senza fine dell’ultima verità. Con tutto , non neghiamo che ci sembra che sia giunta l’ora di far giungere un po’ di vero al comune fruitore dei vari mezzi d’informazione, in balìa delle correnti più disparate gran mare dell’inventato a stampa e audiovisivo.