LINGUAGGIO ALLEGORICO
L’Alchimia Spirituale
Fin dai primi scritti tradotti dall’arabo l’alchimia latina si trovò di fronte ad un uso rilevante di termini allegorici, forse talvolta semplici soprannomi di sostanze e processi, ma certamente tali da ravvivare il coinvolgimento affettivo e immaginale che, secondo G. Bachelard, gli uomini provano al primo contatto con la realtà oscura delle trasformazioni della materia. Testi come la Tabula chemica di Ibn Umail (Senior Zadith), in cui si introduce il lettore in una camera segreta con le pareti istoriate di dipinti simbolici, rafforzano inoltre l’impressione di trovarsi di fronte ad un sapere segreto, come del resto lo stesso Ruggero Bacone qualifica quello alchemico, di cui dev’essere fornita la ‘chiave’ sia attraverso la spiegazione dei termini più enigmatici, sia attraverso il parallelismo istituito fra la teoria della materia alchemica e quelle della fisica e della medicina, ma che va tramandato con precauzione affinché non cada nelle mani di chi lo utilizzerebbe in maniera pericolosa. Lo stesso Morieno dichiara, nel suo Testamento, che gli antichi trasmisero le dottrine alchemiche sotto un velo linguistico non per avarizia nei confronti dei posteri, ma per non diffonderne indebitamente il nocciolo – il segreto della perfezione della materia – riservato ai discepoli iniziati. Nella tradizione latina del Duecento, tuttavia, sembra prevalere l’uso di un linguaggio descrittivo che trova le sue coordinate nella teoria dei metalli d’impostazione aristotelica, e le restrizioni imposte alla comunicazione sembrano più simili a quelle legate ai segreti artigianali (frequente l’uso di locuzioni del tipo: l’oro nostro, il mercurio che tu sai ecc.). Fra la fine del XIII secolo e la prima metà del successivo comincia ad acquistare spazio una letteratura alchemica visionaria, che si diffonderà sempre di più con il tempo, e che fa largo uso di allegorie per descrivere le operazioni e il prodotto finale dell’opus, sia esso l’elixir o l’oro. La materia prima viene paragonata al corpo morto del re nella Visione di Giovanni Dastin; l’elixir significa il Cristo ed insieme ne è significato negli Exempla philosophorum attribuiti ad Arnaldo da Villanova, diventando simbolo della salvezza ottenuta attraverso il sacrificio. Fra le ragioni addotte per questo cambiamento di linguaggio si considera centrale il processo di occultamento cui l’alchimia venne lentamente assoggettata dopo che la discussione scolastica su di essa (quaestio de alchimia) le negò l’inserimento nel curriculum istituzionale, favorendone la condanna ripetuta da parte delle autorità ecclesiastiche (Giovanni XXII° all’inizio del ‘300, l’Inquisitore Nicola Eymerich alla fine). Tuttavia la tradizione degli scritti non allegorici non venne completamente soppiantata: si ebbe piuttosto, alla fine del Medioevo, uno sdoppiarsi della ricerca alchemica, in ricerca di laboratorio tesa alla produzione di oro, elixir, quintessenza, oro potabile, farmaci vari, e in ricerca spirituale di salvezza e reintegrazione cosmo-antropologica; due filoni che procedettero ora intrecciati, ora paralleli lungo tutta la tradizione alchemico-ermetica post-medievale