LA MASSONERIA E CASANOVA Giacomo
Da
mesi inseguiva il filo logico di un puzzle che sembrava impossibile da comporre
ed ora, mentre le prime luci dell’alba annunciavano un nuovo giorno di ricerche
in biblioteca, l’organigramma sembrava finalmente assumere una forma logica.
Una spiegazione poteva venire da una lettura attenta dei primi anni del
dopoguerra, quando gli americani avevano a più riprese tentato di riportare
unità tra le file sparse dei Trentatré italiani. I tentativi di unificazione si
erano sempre mossi nell’equivoco.
Dietro ogni tentativo, comunque, c’era stata la medesima mano, quella di un
massone americano agente della Cia, artefice del più grosso guaio capitato al
Grande Oriente: la vicenda P2, che aveva messo la Massoneria italiana nel bel
mezzo di una bufera giudiziaria e politica che non aveva più avuto tregua.
Ordo ab chao, ordine dal caos. La regola funzionava perfettamente. La
Massoneria italiana rimaneva nel caos e nelle mani degli americani rimanevano i
fili per riportare ordine. Un ordine di volta in volta funzionale ai loro fini.
Il quadro aveva una sua logica.
C’era però da chiedersi per quale motivo gli americani avessero tanto tempo da
perdere per mantenere l’Italia in questa situazione febbrile.
La prima spiegazione poteva essere politica. La Massoneria, terreno di coltura
di segrete intese, era il luogo adatto per inventare colpi di stato, da
proclamare più che da fare, per tenere il Paese in costante allarme e quindi
impedire alleanze di governo che fossero non gradite al grande alleato. Poteva
essere. Molte vicende nazionali suggerivano una lettura in quel senso e in
fondo il disegno avrebbe avuto una sua coerenza.
Negli ultimi anni però il muro di Berlino era caduto. I due blocchi non c’erano
più. Russi e americani stavano insieme agli stessi tavoli del potere
internazionale. La motivazione politica si era ridotta ai minimi termini.
Una seconda spiegazione poteva essere relativa alla posizione politica
dell’Italia nel Mediterraneo. Da sempre in funzione di mediazione tra mondo
arabo e mondo occidentale, l’Italia era il crocevia naturale di intrecci
segreti e di diplomazie sotterranee tra nemici dichiarati che tuttavia volevano
mantenersi in contatto. Gli americani avevano dunque bisogno di una Massoneria
obbediente e disponibile per essere il naturale terreno di sviluppo diplomatico
tra ebrei, cristiani, musulmani in un’area calda del mondo così prossima
all’Italia com’è il Medio Oriente? Spiegazione plausibile. Ordo ab chao. E di
disordine in quel pezzo di mondo ce n’era a sufficienza.
La parte razionale di Gabriele stava di nuovo per avere il sopravvento.
Affascinato dal Mistero, stava indagando storie di intrighi politici.
Il suo abito mentale lo teneva ancorato alla realtà storica; non gli permetteva
di andare oltre il velo di Maia, al di là dell’apparenza. Voleva capire il
Mistero e indagava i segreti.
La Massoneria era ben altro che l’intrigo politico diplomatico del dopoguerra
italiano. Sin dalla sua nascita aveva accolto filoni iniziatici che affondavano
le loro radici nella notte dei secoli. Bastava dare uno sguardo alla galassia
degli uomini, dei testi, delle correnti di pensiero che intorno al fenomeno
massonico si erano formati, erano cresciuti e, a volte, si erano spenti
lasciando segni più o meno profondi.
La Massoneria rivendicava ascendenza e radici in Pitagora, nella Scuola di
Alessandria, nello gnosticismo, nel mito cavalleresco templare, nelle
tradizioni alchemiche e cabalistiche, nel sufismo e nel druidismo, nella
sapienzialità egizia. Nell’Ottocento intorno al tronco massonico si erano
sviluppati rami assai vivi come la teosofia, il magismo teurgico,
l’antroposofia, l’angelologia, il neoplatonismo.
Gli studi sul fenomeno massonico non erano che un segno, da interpretare, di
nuove vie da percorrere e di nuove sensibilità da coltivare.
La parte più nascosta dell’anima di Gabriele reclamava il suo spazio, ma era
forse ancora troppo presto.
Decise di proseguire le ricerche.
Tutto sembrava andare per il meglio. C’erano una chiave politica, una
spiegazione, dei motivi plausibili. Eppure, qualcosa non lo convinceva. Tutto
era troppo semplice. Troppo logico. Troppo politico. Troppo diplomatico. Ci
doveva essere dell’altro. Forse la spiegazione stava altrove.
Ci doveva pensare e soprattutto voleva approfondire, vagliare, scartare.
I servizi segreti. Potevano essere un capitolo interessante. Del resto non era
stato un agente segreto anche quel Giacomo Casanova, anch’egli massone, che
nella Venezia del Settecento, mentre il massone Goldoni scriveva commedie
sull’Istituzione, era al servizio del Tribunale dell’Inquisizione della
Repubblica e contemporaneamente del principe di Assia, Kassel? Quel Casanova
che scriveva, chiedendo di essere assunto come informatore: “La natura
umana, che tende alla conservazione di sé medesima, non ha furore per le cose,
che intraprende, che allorquando spera di ricavar da quelle sostentamento. Io,
infelicissimo, domando al mio Serenissimo Principe, qualche sussidio, non per
avermelo guadagnato, scoprendo cose utili, delle quali egli solo è il giudice,
ma acciò il tenue sussidio mi dia coraggio di sperare, che le future, che
m’ingegnerò di scoprire, saranno utili. Imploro la sapienza, e l’umanità di
VV.EE. a perdonarmi. Grazie”. La
domanda di Casanova per la sua ammissione al servizio degli Inquisitori della
Repubblica di Venezia era stata una scoperta dovuta alla fortuna, fatta mentre
Gabriele cercava di mettere insieme i tasselli del puzzle.
La fortuna, si sa, “va battuta” e per questo si chiese se non fosse
stato quell’improvviso ricordo un segno, un’indicazione. Decise lì per lì di
tornare a far visita alla Serenissima. In fondo bastavano poche ore di treno e
Venezia d’autunno era piena di fascino. Qualche giorno tra i campielli,
camminando a piedi tra calli e canali, respirando il clima della vecchia
signora dell’Adriatico non era un brutto programma. La tavola era allettante e
ancor di più la possibilità di scoprire tra le carte dell’Inquisizione qualche
indizio che potesse far capire, con le chiavi del passato, i segreti del
presente.