E LUCE SIA

“E luce sia”

Roberto Cabih

Parlare di luce, o meglio della Luce, è impre­sa ardita e complicata, sia perché questa entità si presta aspiegazioni, commenti, ragionamenti che coinvolgono la sfera della religione, della fisica, della filosofia, del sociale, dell’intimo personale, sia perché la storia di questo concetto avvolge ed affianca la storia di tutto il pensiero umano. Fin dai primordi. quando gli uomini adorarono la pri­ma sorgente di vita, di calore e di luce che co­nobbero, alla luce assodarono sempre la deriva­zione e gli albori del pensiero filosofico e religio­so, sia come sorgente e pura forma di vita, sia come antitesi al concetto di tenebre, anch’esso primordiale, anch’esso suscitante ancestrali e reverenziali timori.

Dall’antitesi di questi due concetti fondamen­tali — luce e tenebre — si è sviluppata la storia del pensiero e di molte delle teogonie e filosofie. Io credo che nessun popolo, nessuna corrente di pensiero, dai primordi ai giorni nostri, abbia tra­lasciato di esaminare, usare, approfondire questa entità: la luce, assurgendola a simbolo, in antite­si al suo contrario: le tenebre.

Chiedo perciò scusa al religioso, al teologo, al fisico, all’uomo stesso, se oso addentrarmi in que­sti meandri. Invero con molta superficialità, per­ché non ho nessuna intenzione di fare la storia del pensiero o di portare qualche scoperta rivolu­zionaria sullo studio dei quanti o sulla curvatura dei raggi. A me interessa solamente sviluppare un concetto che riguarda noi massoni e che può integrarsi a quanto già hanno fatto altri.

La fisica tenta di definire la luce come una entità fisica alla quale è dovuta l’eccitazione di quell’organo preposto alle sensazioni visive: l’oc­chio, cioè la possibilità da parte dell’occhio stes­so di” vedere” gli oggetti. Ovviamente l’uso di questo concetto nelle religioni e nella filosofia assume un valore del tutto simbolico e figurato:

“Dio fonte di verità che illumina le menti”, “Dio fonte di beatitudine eterna per gli spiriti celesti’, “Antagonista di tenebre, dal Vangelo di Giovan­ni: Gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la Luce”. Quest’ultimo concetto si ritrova anche in Giacomo Leopardi ne “La Ginestra”.

In filosofia, il neoplatonismo assume la tematica della luce, già presente nella filosofia greca ed in quella di influenza orientale. In esso si assume la luce come strumento idoneo a defi­nire il rapporto dell’uno dal molteplice, inteso

come irraggiamento. Questa tematica ha riscontri sin nel Vecchio Testamento, ma successivamente viene adottata nella riflessione teologica cristiana e poi nello gnosticismo: anche qui la luce svolge un ruolo di simbolo e di reale mediazione nel­l’ordine scalare delle intelligenze fino al mondo sensibile.

Un accenno anche alla simbologia della luce nella cosmologia, dalla concezione del cielo empireo, come cielo di pura luce che cinge l’ulti­ma sfera celeste, alla processione delle forme ed influenze astrali nel mondo sublunare.

Se andiamo ad analizzare il succo di quanto detto, a parte il concetto fisico della luce come mezzo illuminante — e quindi elemento che ri­porta la realtà degli oggetti alla portata delle no­stre sensazioni — traspare un’idea fondamentale:

quella di concepire la luce come radiazione di entità superiori a beneficio di entità inferiori che attendono di essere illuminate e viceversa: di un mezzo a disposizione di entità inferiori per p& tersi elevare ai gradi superiori. Così Dio irraggia la sua essenza sull’uomo così come l’uomo attra­verso la luce può cercare Dio, salire la scala dei valori della Conoscenza. Fondamentalmente, per irraggiamento. si ha una trasmigrazione dell’Es­senza o della conoscenza divina e si ha quindi un trasporto — se così si può chiamare — di una Entità superiore, che tuttavia rimane omogenea ed inalterata: l’uomo riceve per irradiazione la Luce divina.

La Massoneria si discosta da questo concetto, pur partendo anch’essa da una iniziazione solare:

dall’Oriente la luce si irraggia nel cosmo, assu­mendo le valenze simboliche fisiche e morali che conosciamo, ma va anche oltre, e vediamo per­ché. A questo punto però debbo introdurre un con­cetto personale.

Se accendo un lume a petrolio, la luce che esso diffonde arriva dove gli consente la sua potenza di penetrazione: ma là, dove arriva, non sappiamo che questa luce proviene da un lume a petrolio, essa ha perduto quindi ogni richiamo, ogni legame, con la materia che l’ha generata. Così è se accendiamo una luce elettrica, o foto- voltaica, o elettronica, la luce insomma è l’unica entità che non conserva al­cuna traccia dei suoi generatori e tutto questo è strano, in una entità fisica, dove le tracce del “ge­nerante” sono parte integrante dell’essere, sia come molecole, atomi o semplice DNA. Ma ciò è basilare per noi massoni e possiamo trarne una conclusione fondamentale. Anche noi infatti, parliamo spesso di luce, e fondamentale è inoltre per tutti noi il passaggio del rituale di iniziazione al primo grado, dopo la promessa solen­ne del profano:

MV: “Fr.  1°  Sorv. che cosa chiedete per il can­didato ?

1 °  Sorv.: “La Luce MV,

MV: “Che la Luce sia….

Pensiamo bene ora di quale luce si tratta. Non certo del faro di un porto che guida i naviganti con le sue ritmiche intermittenze, non certo della luce sperduta nella foresta che conduce Pollicino diritto alla capanna dell’Orco. Sicuramente nep­pure di quella che intende il senso comune della religione, cioè un’entità che emana da un essere superiore, che ci infonde la sua essenza ed impli­citamente ci obbliga a seguirne i canoni. Esso, Dio, ci concede per irraggiamento parte della sua essenza, invitandoci a salire sulla scala dei valori della conoscenza per cercare di raggiungere la fonte dell’irraggiamento.

La Luce massonica sintetizzando ha invece un significato ben differente, essa non conserva in nessuna maniera le sia pur minime tracce della fonte ma vive una realtà avulsa, a sé stante. Ma ammonisce: uomo, ti ho illuminato, ma non ti ho dato niente di me, perché sono pura luce e non emanazione dell’Essere Supremo. Tu ora sei solo, non hai con me la mia essenza, sei solo nel tuo cammino che ti ho fatto intravedere, sei solo con le tue capacità personali, sei solo con la tua vo­lontà. Ma soprattutto ora sei un uomo libero, dai legami morali, dai vincoli dell’essere, dai condizionamenti, libero di progredire o di resta­re, di vivere o di morire!

A mio parere, questo concetto è chiarissimo nel testo di uno scrittore molto caro a noi masso­ni: Collodi. Egli, in due passi vicini, che riporto integralmente, introduce il concetto di luce, sen­za curarsi della fonte, senza curarsi se provenga da nobili sorgenti, o dall‘alto.

Essa è, nel primo passo che riporto, guida sem­plice verso la salvezza, impersonata dal babbo; nel secondo passo è salvezza, il contorno alla sen­sazione di libertà, al cammino finale irto di osta­coli che porterà il burattino verso la dignità uma­na. Affiancata alla figura del babbo, la sorgente è solo un’umile candela. Nel cammino finale, “un bel pezzo di cielo stellato e un bellissimo lume di luna”.

Riporto integralmente le parole di Collodi (dal capitolo 25 di ”Le avventure di Pinocchio’, ed. Mondadori):

Pinocchio, appena che ebbe detto addio al suo buon amico Tonno, si mosse brancolando in mezzo ai buio, e cominciò a camminare a ta­stoni dentro il corpo del Pesce-cane, avviandosi un passo dietro l’altro verso quel piccolo chia­rore che vedeva baluginare lontano lontano.

E nel camminare sentì che i suoi piedi sguaz­zavano in una pozzanghera d’acqua grassa e sdrucciolosa. e quell’acqua sapeva di un odore così acuto di pesce fritto, che gli pareva d’essere a mezza quaresima.

E più andava avanti, e più il chiarore si face­va rilucente e distinto: finché, cammina cammi­na, alla fine arrivò: e quando fu arrivato che cosa trovò? Ve lo do a indovinare in mille: trovò una piccola tavola apparecchiata, con sopra una candela accesa infilata in una bottiglia di cri­stallo verde, e seduto a tavola un vecchietto tatto bianco, come se fosse 

Chi è. e che cosa rappresenti. è superfluo ri­cordarlo! E infine, nella parte finale dello stesso capitolo:

per cui Pinocchio, affacciandosi al principio della gola e guardando in su, poté vedere al di fuori di quell’enorme bocca spalancata un bel pezzo di cielo stellato e un bellissimo lume di luna

Non so se questa conclusione — che esalta a mio parere il significato profondo della Massone­ria — potrà essere condivisa da tutti: ecco perché ho chiesto scusa a tutti. all’inizio, al religioso, al fisico, al filosofo. Ma costoro, se Fratelli, mi avranno sicuramente compreso e perdonato, Alla Gloria Del Grande Architetto Dell’universo!

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