LE
ORIGINI dell’antisemitismo sono antichissime. Era già diffuso, lungo i paesi
del Mediterraneo, nel quarto o terzo secolo avanti Cristo, quando ebbe luogo
la prima emigrazione giudaica. Sugli ebrei circolavano leggende simili a
quelle narrate dai cattolici sino alla fine del diciannovesimo secolo, e oggi
ripetute dai musulmani. Persino Tacito, il più grande e severo tra gli
storici, che non sapeva niente di Israele, raccontava che gli Ebrei ? questa
taeterrima gens, «pervicacemente superstiziosa», «odiata dagi dei» ? venerava
una testa, d’asino. Un altro storico, Apione, diceva che nel loro Tempio
compivano sacrifici rituali di stranieri, ingrassati a forza come Pollicino.
Solo la menzogna è immortale. La spiegazione di questo antisemitismo è
semplicissima. Tra i popoli del Mediterraneo e del Medio Oriente, gli Ebrei
erano (quasi) gli unici Monoteisti. Mentre gli altri popoli possedevano un
pantheon colorato, che accoglieva sempre nuove figure, fuse e mescolate con quelle
antiche, gli Ebrei avevano un solo Dio: unico, esclusivo, eternamente
immutabile,che non nasceva come gli dei greci e non moriva come quelli
egiziani. Questo Dio era possente e tremendo, e non poteva venire
rappresentato con immagini umane o animali. Bisognava osservare la Legge, che
egli aveva promulgato, i riti che aveva imposto, ed essere puri. Chi cercava
di restare puro, doveva vivere separato: non condividere i pranzi con i
vicini pagani, dove si mangiavano cibi che il rito proscriveva; e a volte nemmeno
parlarne la lingua. Come dice Tacito, questi «misantropi» erano «separati a
tavola». Nessuno straniero doveva entrare, pena la morte, nel Tempio di
Gerusalemme. Nessun ebreo doveva venerare le statue degli altri dei o degli
Imperatori, mentre i pagáni veneravano sia Dioniso sia Osiride, sia Demetra
sia Iside,Augusto, Nerone eCaligola. Così la vita degli Ebrei, per quanto
attivi, mobili e curiosi (quali occhi chiari ed avidi spalancarono sul
mondo!), era concentrata su un punto: quel Dio luminoso-oscuro, che si rivelò
durante l’esodo tra le fiamme e le nuvole del cielo. MAI un popolo portò sino
a un punto cosi alto e profondo la passione religiosa: furibonda, ardente,
meticolosa, capace di sottigliezze intellettuali meravigliosamente acute. ?
Per questo, sebbene fossero le persone più tolleranti (come Filone
d’Alessandria, vissuto al tempo di Cristo), furono anche i più fanatici: come
gli Zèloti, che nel 66?70 d.C. difesero contro i Romani il Tempio di
Gerusalemme. La passione religiosa dei cristiani e dei musulmáni è, nel suo
fondo, quasi completamente ebraica; e per questo alcuni di loro, oggi, odiano
gli Ebrei. Si odiano soltanto i propri simili. Molti parlano con sufficienza
delle religioni politeistiche. Quale bellissimo cosmo era quello egiziano ?o
greco, dove l’essenza divina si moltiplicava in migliaia di forme, il sacro
veniva rappresentato in ogni figura, sia astratta sia animale sia umana; e
dove cento rapporti legavano tra loro le divinità, fino a farci intravedere,
dietro le differenze apparenti,, la parola segreta di un solo Dio! Nel mondo
greco, il fanatismo religioso era molto più raro, che nei monoteismi ebreo,
cristiano, ed islamico. Non c’è violenza peggiore di quella dell’imperatore
cristiano Teòdosio, che nelI’anno 426 d.C. fece abbattere le bellissime
colonne dei templi di Olimpia: il terremoto lo soccorse. Ora le colonne
doriche e corinzie stanno a terra, tagliate come fettine d’arancia; e solo i
pini, dolcemente smottati dalle vicine colline, le consolano in silenzio per
le ferite della storia. Proprio perché gli Ebrei vivevano separati,
attraevano le immaginazioni , dei popoli antichi. Molti stranieri portavano
offerte votive e ordinavano sacrifici ai sacerdoti del l’immenso Tempio
scintillante d’oro, due volte costruito, due volte distrutto: la seconda
volta per sempre. Quale era il vero Dio d’Israele? Cosa accadeva nel Tempio
di Gerusalemme, dove i pagani non potevano penetrare? Qual era il nome
segreto dì Jahwe, ignoto persino al suo popolo? Quando sarebbe venuto il
Messia, il Cristo? Forse non ci fu evento che colpì le fantasie antiche come
ciò che accadde nel 63 a.C.. Pompeo Magno entrò nel Tempio di Gerusalemme,
penetrò sino al Santo dei Santi, la piccola stanza dove aleggiava lo. Spirito
di Dio, e dove solo il Sommo Sacerdote poteva insinuarsi una volta l’anno.
Non scorse nulla. La stanza era completamente vuota. Dunque il cuore della
religione giudaica era un bugigattolo pieno di ragni? Certo, alcuni Greci e
Romani compresero che il Santo dei Santi era vuoto perché solo il Vuoto può
alludere all’essenza inafferrabile e incomprensibile di Dio.
*****
Nel
primo secolo dopo Cristo, dall’ebraismo si distaccò, come un gracilissimo
albero presto destinato a diventare una foresta rigogliosa, il Cristianesimo,
questa eresia giudaica. Quasi tutto il Nuovo Testamento può essere
commentato, come circa ottant’anni or sono hanno fatto due studiosi tedeschi,
L. Strack e P. Billerbeck, con frasi che appartengono al tradizione ebraica.
L’Apocalisse , di Giovanni è un testo giudaizzante scritto contro i Giudei.
Certo, queste frasi non contengono mai l’affermazione che Gesù è il figlio di
Dio incarnato (perché per gli Ebrèi e l’Islarn è scandaloso che Dio assuma un
corpo umano); né che è morto e risorto (affermazione ancora più scandalosa).
Queste furono le fondamenta della nostra fede. Per gli Ebrei, Gesù era
soltanto un falso Messia: un Messia eretico; qualcuno di loro lo trovava «un
uomo saggio»; qualche altro (non Pilato) lo fece uccidere. Una generazione
più tardi, il sommo sacerdote sadduceo, Anano, ordinò di lapidare Giacomo,
fratello di Gesù, capo della comunità giudeo?cristiana di Gerusalemme. Molti
Farisei, ancora vicini ai giudeo?cristiani, non approvarono questa uccisione.
Oggi, colla nostra apparente tolleranza, condanniamo quei delitti religiosi:
ma non posso dimenticare che quei morti innocenti si moltiplicarono durante
venti secoli in milioni di morti ebrei (non contò quelli sterminati da
HitIer). Purtroppo, la passione religiosa porta anche a questo. Malgrado ciò,
è La migliore delle passioni: accende la fantasia, risveglia l’immaginazione,
dà forza e movimento alle idee, costruisce edifici intellettuali, incanalando
la follia umana. Nel secolo scorso, abbiamo visto che la pura passione
politica ?nazismo e comunismo ? conduce ad Auschwitz e alla Kolyma: massacri,
incomparabili con qualsiasi pogrom. Dopo la metà del secondo secolo dopo
Cristo, Israele rinunciò (sebbene non completamente) a realizzare il regno di
Dio in terra, qui ed ora: il più terribile dei desiderii. Cominciarono i secoli
oscuri, nei quali la diaspora si moltiplicò in ogni direzione perché gli
Ebrei erano destinati a diventare il sale della terra. Israele accettò di
porre il collo «sotto il gioco delle potenze terrene», come aveva detto
Geremia. Israele visse bene, o relativamente bene, sotto il dominio dei
Califfi e dei signori islamici, immerso nel profumo dell’Islam, come ha
raccontato stupendamente Abraham B. Yehoshua in “Viaggio alla fine del
millennio” (Einaudi). Gli Ebrei vissero male o malissimo sotto il dominio dei
re, dei papi e dei sacerdoti cristiani, perseguitati per il deicidio che
avevano commesso (e che avevano effettivamente commesso, senza saperlo):
sfruttati, derubati, uccisi con la spada, sgozzati, bruciati, stuprati,
costretti con la forza alla conversione. La causa principale di questa
persecuzione sono i Vangeli, le Lettere di San Paolo, gli Atti degli Apostoli
e soprattutto l’Apocalisse: testi fatalmente antisemiti, perché la nuova
religione si liberava con violenza dalla antica Madre. La storia si ripeté
quindici secoli dopo, tra luterani e cattolici. Israele visse in segreto dal
III al XVIII secolo, leggendo la Bibbia, interpretandola secondo la lettiera,
i simboli e le speculazioni numeriche, cercando testi arabi, cristiani e
greci, creando grandiosi miti cosmogonici e teologici, come nel sedicesimo
secolo la Cabala di Izchak Luria. Allora, gli ebrei immaginarono un doppio
atto creativo da parte di Dio. In un primo momento, Egli si espande, si
allarga, si apre, si manifesta, ispirato dalla forza dell’amore, gettando
nello spazio la luce delle sue emanazioni, le dieci Sefirot. La Shechinà, il
volto femminile di Dio, percorre esiliata le contrade dell’universo. ora
brilla soltanto dì una debole, pallida, luce riflessa, come la «sacra Iuna»:
menomata, rimpicciolita, coperta d’ombra. Ora è una principessa che il padre
e la madre hanno cacciato, senza colpa, dal regno: ora è una donna bellissima
che un pirata ha reso schiava; ora una vedova Vestita di nero, che piange ai
piedi del Muro di Gerusalemme; rapita, calunniata, esposta a tutte le
debolezze umane. Avvolta in manti che le nascondono il viso, essa fugge,
scompare, si nasconde ? e sulla terra restano poche tracce: orme di passi,
vesti abbandonate, fuscelli di paglia. Durante uno dei suoi viaggi, un rabbi
polacco arriva, verso il far della notte, in una piccola città’ dove non
conosce nessuno. Non trova alloggio, fino a quando un conciatore lo conduce
con sé, nel triste vicolo dei conciatori. Egli vorrebbe dire le preghiere
della sera, ma l’odore della concia è così acuto che non riesce a pronunciare
una sola parola. Esce e va alla scuola rabbinica, che tutti hanno già
lasciato. Mentre prega a capo chino, comprende che anche la Shechinàè finita
in esilio, abbandonata nel vicolo dei conciatori. Scoppia a piangere per
l’afflizione, versa tutte le lacrime che la sofferenza e l’angoscia avevano
raccolto nel suo cuore, finché cade a terra svenuto. Mentre giace esanime, la
Shechínà gli appare nella sua gloria: una luce abbagliante in ventiquattro
gradazioni di colori. «Sii forte, figlio mio», gli dice. «Grandi dolori ti
attendono: ma non temere finché io sarò presso di te». Sebbene la gloria di
Dio sia stata umiliata e ferita, essa splende come sempre. Le piccole
scintille divine si sono diffuse in ogni luogo come il lievito che penetra il
pane. Tutto è diventato sacro.
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Due
secoli or sono, i ghetti si aprirono. Gli Ebrei vennero alla luce, ebbero un
cognome, entrarono all’Università, scrissero, composero musica, studiarono la
scienza e il diritto, insegnarono, diressero Banche, ìndustrie e giornali. Fu
l’esplosione più grandiosa della storia europea: una immensa vitalità e
intelligenza percorsero all’improvviso le vene dei nostri paesi. Questa
esplosione ha una sola analogia: quella dell’Islam, nel settimo, ottavo e
nono secolo, quando gli Arabi conquistarono paesi, appresero Il greco,
studiarono le scienze, fabbricarono automi, costruirono moschee imitando le
basiliche cristiane, assorbirono la eredità della religione zoroastriana,
raccontarono al mondo le Mille e una notte. Quale forza trassero gli Ebrei da
una vita vissuta, per diciotto secoli, sotto il segno dell’immaginazione
religiosa e della intelligenza talmudica. La letteratura, la scienza e la
psicologia del diciannovesimo e specialmente del ventesimo secolo sono, per
metà, dovute ad ebrei, o a mezzi ebrei, nei quali la goccia del sangue giudeo
dava nuovo vigore a quello cristiano. Venuti dalla Russia;~ dalla Spagna,
dalla Polonia, dal Medio Oriente, gli ebrei diventarono francesi, tedeschi, italiani,
inglesi meglio dei francesi, dei tedeschi, degli italiani e degli inglesi.
Con la loro straordinaria qualità di metamorfosi, diventarono come noi. Le
sofferenze e i massacri erano dimenticati: non c’era più né Bibbia, né
Shechinà vagabonda,né il suono delle trombe d’argento, davanti al Tempio, né
il nome segreto di Dio. Ricordo, per esempio, la famiglia di Simone Weil,
completamente ebraica, dove c’era lo stesso profumo che nella casa di Proust:
ma più antico e profondo, perché la famiglia della madre di Simone veniva
dalla Galizia. C’era lo stesso sapore di Francia borghese: la buona cultura,
l’agio nascosto, i bei modi eleganti, la finezza psicologica, la musica,
l’arte della conversazione, la discrezione, la,gaiezza sapientemente velata
con la malinconia ? come se soltanto il sangue ebraico potesse portare il
genio della Francia borghese alla sua espressione più pura. In questa
entusiastica aderenza alla civiltà occidentale, gli Ebrei guadagnarono e
persero molto. Qualcuno di loro, come Simone Weil, odiò (senza conoscerla) la
propria eredità biblica. Qualcuno la ignorò completamente. Avevo un amico
carissimo, Giorgio Bassani, che era vissuto a Ferrara, borghese ebreo tra
borghesi cattolici con appena un lieve ricordo di cucina giudaica e di
candelabro dalle sette braccia. Molti anni fa, gli feci leggere un mio saggio
su Nachman di Breslav, un narratore chassidico del diciottesimo secolo. Mi
guardò coi suoi dolcissimI e durissimi occhi azzurri e mi disse: «Pietro, che
cose strane hai raccontato!». Qua si soltanto Kafka comprese che qualsiasi
sradicamento dalla tradizione si paga. Con ogni probabilità, anche noi,
cristiani, lo pagheremo. Ma gli Ebrei lo pagarono troppo. Nel diciannovesimo
e nel ventesimo secolo, l’antisemitismo fu soprattutto borghese. I medici,
gli ingegneri, gli scrittori, gli avvocati, i giornalisti, gli scienziati
cattolici o protestanti erano invidiosi, degli ebrei, perché erano più
intelligenti e fantasiosi di loro. Non invano essi portavano, occultata nel
sangue, la Bibbia. La borghesia europea dell’Ottocento fu, in buona parte,
antisemita: perfino mio padre, il più mite tra gli uomini. Tutto questo ha
condotto ad Auschwitz. Alle vecchie leggende e ai nuovi rancori, bastò
aggiungere il genio criminale di un pittorucolo austriaco. Tra le scoperte
degli Ebrei oltre alla Recherche, Il castello, la psicoanalisi e la teoria
della relatività generale, ci fu anche la rivoluzione russa. Non voglio
scoprire dappertutto segni genetici: ma forse, come molti hanno scritto,
Lenin e Trockij avevano il desiderio nascosto di realizzare con la forza il
regno di Dio in terra, come venti secoli prima i giudei Zeloti, ribelli
contro Roma. Ma Stalin li espulse, li esiliò, li massacrò, li accusò di
congiure immaginarie. Anche in Russia, paese dell’impossibile, gli Ebrei
restarono separati, diversi, stranieri: anche là non appartenevano alla
terra, della quale non hanno mai veramente fatto parte. Questa è, per noi, la
loro benedizione.
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Mi
scuso di una breve appendice contemporanea. Ho letto che, a Oslo, i giurati
del Premio Nobel per la pace avrebbero voluto togliere il premio a Peres,
perché partecipa al governo Sharon. Arafat, assediato a Ramallah con la sua
patata bollita al giorno, come Pinocchio con le pere e le bucce di pera
nellac asina di Geppetto, è invece degno di qualsiasi Premio. Mi pare giusto
che coloro che danno i Premì e conferiscono la Gloria contendendo con
l’eternità si coprano di vergogna più di qualunque essere umano. L’Europa del
2002 non sopporta che venga meno un suo luogo comune. Dopo Auschwitz, l’ebreo
è la vittima: gasata nei campi di concentramento nazisti, morta di gelo tra,
i pini nani della Kolyma, sulla quale si possono piangere dolcissime lacrime
sentimentali. Nulla è più commovente che una gita ad Auschwitz con una scolaresca,
a cui insegnare ad essere buoni. Non si tollera che questo popolo di vittime
predestinate abbia dei carri armati. Il massimo che gli si può concedere è
andare al ristorante o al bar, ordinare una spremuta di pompelmo e persino un
whisky , camminare per le strade di Gerusalemme e o di Haìfa, saltando per
aria sotto le bombe dei kamikaze, questi nuovi Cristi che si immolano, come
dice soavissimamente Giulio Andreotti, per la salvezza del genere umano.
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