L’impero romano fu minato dal piombo?
da Archeo Dossier n° 13/1986 di Luigi Capasso
Gli archeologi e gli storici hanno probabilmente amplificato l’effettiva importanza di questi fatti, soprattutto in relazione al ruolo svolto dall’intossicazione da piombo «saturnismo» nel mondo classico. Fra le cause di esposizione prolungata a dosi di piombo sufficienti a produrre la malattia conclamata, solo poche potevano essere presenti nell’ antichità classica, nessuna in epoche precedenti. L’ingestione di bevande o di cibi inquinati è la principale di esse.
In effetti, il piombo è stato largamente impiegato nella costruzione degli acquedotti urbani già nel mondo romano. Tuttavia vi sono motivi di perplessità al riguardo, in quanto all’interno di tubazioni del genere si formano rapidamente patine di sali di piombo assai poco solubili in acqua, cosicché la quantità di piombo che poteva effettivamente passare ad inquinare le acque potabili era scarsa.
Resta aperta la questione dell’eventuale contenuto di piombo nel vino romano. È probabile l’impiego in epoche classiche di recipienti di piombo, o internamente rivestiti da una pellicola di piombo, per la fermentazione del vino; inoltre sali di piombo venivano forse aggiunti al vino già fermentato, probabilmente per addolcirne il sapore. In alcune regioni europee è tutt’oggi in uso la pratica di immergere frammenti di piombo metallico nel vino, al fine di evitarne la rifermentazione.
Tutto ciò rendeva potenzialmente molto elevato il contenuto plumbeo del vino romano. Esistono, ovviamente, anche conferme sperimentali a questo modo di vedere. Ad esempio, l’analisi dei vini prodotti in Inghilterra fra il 1770 ed il 1805 d.C. ha dimostrato l’esistenza di contenuti di piombo a livelli ampiamenti tossici. In un classico esperimento eseguito nel 1883, Hoffmann produsse dei vini fermentati seguendo fedelmente le descrizioni che vari scrittori latini ci hanno lasciato a proposito della vinificazione delle uve. La susseguente analisi dei vini così ottenuti dimostrò un contenuto di piombo variabile fra 380 e 781 milligrammi per litro di vino, a seconda delle metodiche di preparazione delle bevande: questi livelli di inquinamento sono largamente tossici.
È certo che l’inquinamento alimentare da piombo interferisce con la corretta funzionalità del rene, in quanto esiste una interferenza con il metabolismo dell’ acido urico e degli urati, cosicche è nota una «gotta saturnina», o «gotta secondaria». Sappiamo che nell’Inghilterra georgiana (XVIII-XIX secolo d.C.) dilagava questo genere di gotta, legata al grande consumo di bevande alcoliche fermentate.
D’altra parte, studi accurati degli scritti di Paolo Egineta ci consentono di ammettere che una gotta del genere in quasi tutta l’Europa produsse delle «epidemie» anche attorno al VII secolo d.C. Abbiamo elementi per credere che la situazione non sia stata granché diversa in epoca romana.
Fortunatamente, il piombo è dosabile nelle ossa. Due ricercatori inglesi (Waldron e Wells) hanno recentemente esaminato il contenuto di piombo in ben 759 scheletri provenienti da 15 differenti siti ed appartenenti a soggetti vissuti nell’arco di tempo compreso fra il 1600 a.C. ed il Medioevo. I livelli più bassi sono stati dimostrati nelle ossa più antiche ed è stato osservato un generale incremento temporale del contenuto osseo di piombo.
Tuttavia, le ossa dei campioni di popolazioni vissute durante i periodi romano-bretone ed anglo-sassone hanno mostrato un contenuto di piombo anormalmente elevato. Certamente, questi dati concordano con l’idea dell’inquinamento dietetico da piombo legato al vino ed alle acque potabili urbane.
Un ulteriore elemento ambientale, però, potrebbe avere avuto un ruolo: l’impiego di stoviglie di peltro o di altre leghe metalliche contenenti piombo. Che un fattore del genere potesse contribuire a determinare livelli tossici di piombo alimentare sembra ormai dimostrato: in un cimitero coloniale americano le inumazioni dei ricchi proprietari erano separate da quelle degli schiavi impiegati nelle piantagioni; nelle ossa della classe padronale è stato trovato molto più piombo che in quelle degli schiavi. Ciò potrebbe essere una coincidenza, ma è più verosimilmente da mettere in relazione con l’uso quotidiano di stoviglie di peltro, che solo i ricchi potevano permettersi.
Da questo complesso di indizi non ha mancato di emergere l’ opinione che il diffondersi del saturnismo nelle classi dirigenti, più agiate, dell’antica Roma abbia contribuito al declino dell’Impero.
Ma vi sono ancora molte perplessità che avvolgono l’intera questione ed esistono dubbi metodologici rispetto all’interpretazione del contenuto plumbeo delle ossa di scavo. Ad esempio, è stato dimostrato che il piombo ambientale (quello contenuto nel terreno di inumazione) tende ad accumularsi nella parte superficiale delle ossa sepolte.
Ancora, la quantità di piombo scheletrico è in funzione diretta della lunghezza dell’esposizione, cioè della durata della vita.
Questa ed altre circostanze non sono state tenute in conto da tutti i ricercatori e costituiscono oggi un motivo di perplessità interpretativa. Ciò nondimeno, vi sono pochi dubbi riguardo alla validità di un dato sperimentale, tanto importante quanto preoccupante: le ossa dei Peruviani del 1600 d.C. contengono una quantità di piombo che è mediamente 1/1000 di quella contenuta nelle ossa degli Americani e degli Inglesi attuali.
Non vi è alcun dubbio che ciò è collegato anche all’enorme incremento del piombo atmosferico, causato dall’inquinamento industriale e dalla combustione delle benzine.