ANFORE ANTICHE

antique terracotta amphoras dated from fifth century common era

dal libro “Anfore antiche”

di Alessandra Caratale – Isabella Toffoletti

Il contenuto delle  anfore:  vino e  olio

Vino

      Il vino era la bevanda principale nella dieta mediterranea. La sua produzione risale ad epoca molto antica e si diffuse in numerose regioni del Mediterraneo. I Greci amavano particolarmente questa bevanda che veniva consumata in quantità notevole ed anche ampia­mente esportata. La qualità pregiata del vino greco fece sì che esso continuasse ad essere richiesto anche quando si diffusero i prodotti italici e delle regioni occidentali.

      Dopo la vendemmia, che in Grecia avveniva nel mese di settembre, i cesti di uva erano portati sul luogo della pigiatura; il pavimento sul quale si svolgeva questa operazione era leggermente sollevato dal suolo e inclinato in modo che il liquido defluisse per essere raccolto in recipienti appositi. Il mosto così prodotto rimaneva sano a lungo ed era di buona qualità.

Una seconda spremitura avveniva con l’uso di torchi e pro­duceva un vino di qualità inferiore. Il mosto era immagazzinato nelle cantine per la fermentazione entro grandi vasi di terracotta detti pithoi. La fermentazione durava sei mesi durante i quali il liquido ve­niva costantemente schiumato. Nella primavera successiva il vino era travasato in altri recipienti, come le anfore, in modo da essere trasportato e venduto.

      La maggiore difficoltà per il commercio era rappresentata dall’instabilità dei vini: la consumazione generalmente avveniva entro tre o al massimo quattro anni. Un problema connesso con quello del­la conservazione era quello dell’acidità, che si tentava di correggere trattando il prodotto con acqua di mare, pece, resina, gesso o erbe aromatiche.

In Italia, nonostante il suolo fosse adatto alla cultura della vite, la produzione del vino ebbe inizio, in maniera intensiva, solo dal III secolo a.C., anche grazie alla politica statale che favorì le attività agricole. In questo periodo, infatti, si formarono impianti industriali sempre più articolati all’ interno di grandi latifondi, proprietà di aristocratici.

      I vini italici divennero in breve tempo tra i più apprezzati ed esportati in tutte le regioni del Mediterraneo. La circolazione di queste qualità era ingente ed è testimoniata dal rinvenimento di anfore da vino italiche in scavi e relitti di tutte le regioni costiere e dell’Eu­ropa interna.

      Il fabbisogno di vino continuò a crescere soprattutto per sod­disfare le necessità della capitale Roma, dove in epoca imperiale la distribuzione gratuita del prodotto alla plebe divenne una consuetu­dine e un aspetto importante della politica degli imperatori.

      In epoca augustea sappiamo dalle fonti letterarie che Roma consumava un mi­lione e mezzo di ettolitri di vino l’anno. Per soddisfare gli enormi fabbisogni divenne necessario ricorrere all’importazione del vino spa­gnolo, in particolare della Tarraconese (regione centro-settentrionale della Spagna), prodotto di media qualità, adatto al consumo quotidiano.

      Le tecniche di produzione erano analoghe a quelle del mondo greco. I Romani curavano in modo particolare la fermentazione, che spesso avveniva in recipienti lasciati all’aria aperta. Una volta termi­nata questa fase si procedeva al travaso nelle anfore. Per evitare un ‘ul­teriore fermentazione durante l’immagazzinamento, il vino poteva essere filtrato e poi riscaldato. L’ effetto di quest’ultimo trattamento era quello di affrettare la fine della fermentazione e di sterilizzare il vino, con una specie di pastorizzazione.

      Un trattamento particolare era praticato sul vino gallico: generalmente esso era lasciato invec­chiare in contenitori disposti su soppalchi al di sopra di fuochi di legna. Pare che questa operazione ne affrettasse l’ invecchiamento e conferisse alla bevanda un sapore affumicato, piuttosto gradito.

      In antico esistevano, ovviamente, numerose qualità di vino.

      I più pregiati, oltre ai vini greci erano quelli italici e gallici. Molto noto era l’Albano, del quale esistevano due varietà, una dolce e una aspra. Il Cecubo, prodotto nella zona di Fondi, era un vino molto forte e invecchiato. Il Falerno, invecchiato più di dieci anni, era un vino bianco secco o abboccato, il cui pregio aumentava con il tempo. Tra i vini dolci si ricorda il passum, prodotto da uve moscato, molto buono e profumato. Un vino particolare era l’ adsinthium, accostabile al nostro vermuth.

      Un trattamento particolare riservato all’interno delle anfore vinarie era la resinatura, che permetteva una maggiore impermeabilità dell’argilla e garantiva una migliore conservazione dei liquidi. Il proce­dimento “consisteva nel riscaldare all’interno del recipiente della resi­na di larice o di abete, sino a portarla allo stato liquido; a questo punto si muoveva l’ anfora sino a che ogni parte interna fosse coperta dal rivestimento e in ultimo si faceva solidificare”. Questo procedimento doveva certamente dare al vino un forte aroma di resina e un sapore particolare, ancora oggi caratteristico del vino “resinato” greco.

Olio

      L’olio rappresentava uno dei cardini dell’alimentazione sia dei ceti meno abbienti (contadini, militari, ecc.), sia di quelli più ricchi. Il suo consumo risale ad età antichissima, così come il suo commer­cio; veniva usato anche per l’illuminazione – le lucerne, infatti, fun­zionavano ad olio – nella cosmesi, per unguenti e balsami, e nella medicina.

      La diffusione dell’ olivo in Italia è dovuta alle città della Magna Grecia che avevano impiantato estese coltivazioni nelle zone costie­re. Con il tempo la cultura si diffuse verso il nord, lungo il versante adriatico e anche l’olio italico divenne famoso e apprezzato ovun­que: quello migliore era prodotto nel territorio di Venafro nel Sannio, ai confini con la Campania.

      Anche il consumo dell’ olio era ingente a Roma: è stato calco­lato che in età imperiale la città consumava circa 25.000 tonnellate annue anche grazie alle distribuzioni gratuite alla plebe. Il trasporto veniva curato da negotiatores o mercatores oleari che lavoravano per conto dello Stato.

       Generalmente dopo la raccolta le olive venivano lasciate ri­posare per alcuni giorni; la spremitura avveniva poi in un trapetum, un tipo speciale di mola costruita in modo che la distanza tra la pietra superiore e quella inferiore fosse regolabile. Il succo colava in un contenitore di ceramica e in questa fase si verificava la separazione tra olio e amurca. Il liquido era poi passato in un torchio simile a quello per il vino e il succo risultante veniva lasciato sedimentare per qualche tempo.

      I diversi tipi di olio sono descritti dalle fonti antiche: quello vergine di prima qualità era detto olei flos e derivava dalla prima spremitura delle olive, con una pressione leggera; il prodotto della seconda spremitura, di qualità inferiore, era detto oleum sequens;  l’ olio, di qualità ordinaria, che proveniva dalle residue spremiture era l’ oleum cibarium. Gli autori antichi parlano anche di prezzi: le tre varietà indicate costavano rispettivamente 40, 24 e 12 denari il sestario (misura di capacità corrispondente a circa 0,545 litri). L’olio poteva essere “acerbo”, ossia prodotto in ottobre con le olive bianche ancora non mature, oppure “verde” prodotto alla fine del mese di ottobre, con le olive già scure.

      Per la sua produzione esistevano ovviamente officine specia­lizzate, alcune delle quali per la loro importanza e notorietà sono ri­cordate dalle fonti antiche. La regione più famosa per l’ olio era la Betica, che nei primi tre secoli dell’ Impero provvide al fabbisogno delle diverse zone del Mediterraneo occidentale. Le fonti epigrafiche menzionano a proposito di quest’ area mercatores oleari hispani, diffusores olearii ex Baetica, o negotiatores. Tali personaggi eserci­tavano le loro attività lungo le rive navigabili del Guadalquivir, stru­mento veicolare provvidenziale per l’economia, in quanto consenti­va un rapido trasporto delle merci verso le regioni del nord e verso i porti di imbarco. Il controllo del commercio fluviale era affidato a funzionari incaricati di vigilare sulle condizioni del fiume e di man­tenere la sua buona navigabilità.

      Un altro olio particolarmente apprezzato era quello africano, la cui diffusione nei mercati mediterranei avvenne intorno al III se­colo d.C. Ciò è da mettere in relazione con l’ascesa al trono dell’im­peratore Settimio Severo, originario di Leptis Magna, nell’ attuale Li­bia.

      Dallo studio dei bolli sulle anfore africane, infatti, si è potuto evincere che le grandi aziende produttrici erano di proprietà dell’ im­peratore o di personaggi legati alla sua famiglia. Non è un caso, poi, che proprio Settimio Severo avesse reso le distribuzioni gratuite alla plebe quotidiane e regolari ed estese a tutte le popolazioni italiche.

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