E’ una delle cattedrali più grandi al mondo, un cantiere complesso e ambizioso avviato alla fine del XIV secolo. Non a caso l’espressione tu “lungo come la fabbrica del duomo” indica un’impresa senza fine. Curiosamente anche a Roma si dice qualcosa di simile, in riferimento alla basilica di San Pietro. Questo modo di dire è segno che la costruzione di una cattedrale non è mai un’impresa semplice:
quella del duomo di Milano impegnò la città lombarda per oltre cinquecento anni. Secondo la prassi medievale i lavori cominciarono dal fondo. Per questo motivo l’abside è la parte più antica e integra. La maestosa facciata invece è in prevalenza ottocentesca e mescola stili diversi: sculture rinascimentali, finestroni e portali barocchi, guglie neogotiche.
Nel corso dei lavori per la sua costruzione sì dovettero demolire due chiese preesistenti: Santa Maria Maggiore(la cattedrale invernale) e Santa Tecla (la cattedrale estiva). Tracce importanti di entrambe le strutture si sono conservate nei sotterranei. Negli scavi archeologici trasformati in museo permanente si notano fra l’altro la pavimentazione di epoca romana e la vasca paleocristiana dove, secondo le cronache, sant’’Ambrogio battezzò sant’Agostino nel 387.
Milano come Parigi A prima vista questo colossale edificio caratterizzato da elementi in stile gotico francese, collocato però a sud delle Alpi, pone un enigma: perché avviare, nel cuore della Milano medievale, un cantiere che per stile
e dimensioni risultava quasi visionario rispetto alle tradizioni locali?
Per dare una spiegazione a una decisione tanto azzardata dobbiamo considerare il momento storico in cui ebbero inizio i lavori. A quel tempo il signore di Milano, Gian Galeazzo Visconti (1351-1402), era impegnato in un
progetto politico vasto e complesso: voleva creare un regno d’Italia prendendo in parte a modello la Francia. Puntava cioè a unificare l’infinità di stati e feudi in una grande entità politica che abbracciasse i territori della pianura padana e oltre. Per soddisfare le sue ambizioni si appropriò in primo luogo dell’intero feudo visconteo, per metà spettante allo zio Bernabò, sposandone 1° figlia in seconde nozze ed eliminando il suocero è rivale cinque anni dopo il matrimonio. In quegli annisi diffuse la leggenda secondo la quale una notte d’inverno il signore di Milano avvertì puzza di zolfo e rumore di zoccoli nella sua stanza da letto. Svegliatosi di soprassalto, vide il demonio che minacciava di portarlo all’inferno se non avesse avviato subito la costruzione di una grande cattedrale decorata con immagini diaboliche. Con questa storia si voleva forse fornire una spiegazione fantasiosa per giustificare le garguglie mostruose e i doccioni di marmo con forme paurose e bizzarre, sculture invece del tutto in linea con lo stile gotico. AI di là delle leggende, il duomo rappresentava, assieme all’espansione perseguita da Visconti, un elemento chiave per la creazione di uno stato unitario con capitale Milano. Trail XIV e il XV secolo, grazie a un’accorta politica di guerre, patti e vassallaggi, la città seppe assoggettare un territorio assai più vasto della Lombardia: nel periodo di massima espansione Milano governava anche Pisa, Siena, Verona, Piacenza e Bologna, costituendo di fatto un grande statofra norde centro Italia. Milano come Parigi: questo era il magnifico progetto di Visconti. A coronarlo, una cattedrale che avrebbe superato in dimensioni e magnificenza anche la meravigliosa cattedrale di Notre-Dame: il duomo.
Un’opera monumentale
Per dare impulso ai lavori, nel 1387 Visconti creò la Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano, tuttora operante, € da subito le assicurò un fornitore di marmo: le cave di Candoglia, oggi in territorio piemontese. Il prezioso materiale estratto in Val d’Ossola veniva caricato su chiatte e trasportato dal lago Maggiore lungo il fiume Ticino. Da qui arrivava in città attraverso il Naviglio Grande, il canale artificiale completato nella seconda metà del XITI secolo per dotare Milano di un sistema di trasporto fluviale.
Perla costruzione del duomo vennero coinvolti i migliori architetti e operai specializzati d’Italia e d’Europa € nel corso di pochi decenni fu completato il primo tratto verso l’abside. Nel1418 — appena quarant’anni dopo l’inizio dei lavori — papa Martino V, di ritorno dal Concilio di Costanza, poté consacrare
l’altare maggiore e aprire il tempio al culto.
Nello stesso anno, nella parte appena costruita avevano preso il via letture pubbliche
della Divina Commedia di Dante Alighieri su modello delle audizioni letterarie avviate da Giovanni Boccaccio a Firenze. Mentre dunque l’edificio iniziava ad albergare riti religiosi al suo interno, all’esterno cresceva un cantiere che avrebbe svolto un ruolo di primaria importanza nel tardo Medioevo, funzionando come un formidabile volano economico e tecnologico per la città. D’altra parte l’avvio dei lavori del duomo aveva anche una finalità sociale: mobilitare l’intera cittadinanza per migliorarne la coesione.
L’edificio, che divenne motivo di orgoglio per tuttala città, vanta numeri da record: lungo oltre 158 metri e largo novantatré, è abbellito da 3.400 statue, 200 bassorilievi e cinquantacinque immense vetrate con 3.600 figure fra santi, martiri, diavoli e personaggi storici.
Verticalità e statica
La straordinarietà di queste cifre comportò però diversi problemi di statica fin dal XV secolo: i muri perimetrali, privi di archi rampanti esterni di contro-spinta, tendevano a divaricarsi a causa del peso della struttura. Il complesso si regge perché al suo interno furono inseriti tiranti di ferro e acciaio, che si possono notare percorrendo lo spazio che separa la cupola interna da quella esterna, entrambe inglobate dentro la guglia maggiore che sostiene la Madonnina. L’intero monumento è dunque invisibilmente imbragato dentro una gabbia metallica, che trasforma il duomo in
Una “montagna incatenata”.
Nel corso dei secoli diversi direttori dei lavori si avvicendarono attorno alla costruzione del duomo: ai primi, provenienti da Parigi o dal Reno, a partire dal XV secolo subentrarono architetti lombardi come Giovanni Solari e il figlio Guiniforte, Giovanni Antonio Amadeo, Pellegrino Tibaldi, Francesco Maria Richini, solo per citarne alcuni. Anche Leonardo da Vinci presentò una proposta per risolvere i gravi problemi di stabilità che interessavano le navate e il transetto. Nel decennio 1480-90,
mentre soggiornava presso la corte di Ludovico Sforza detto il Moro, il genio toscano mise a punto un modello in legno per il tiburio, la struttura esterna che copre la cupola. Non si sa cosa avesse concepito Leonardo, ma sem-bra che la Fabbrica non apprezzò particolarmente la sua proposta, che fu poi ritirata,
Cinque secoli di soluzioni
Il duomo è dunque frutto di cambi di programma e soluzioni modificate in corso d’opera, e rappresenta una stratificazione millenaria. I finestroni barocchi della facciata suggeriscono che nel XVII e XVIII secolo si pensasse a un insieme architettonico assai diverso da quello attuale. Se lo scorrere dei secoli faceva evolvere lo stile, i gusti le tecniche costruttive, la verticalità della struttura priva di adeguate controspinte aveva lasciato in parte irrisolti alcuni problemi di statica. Anche per questo motivo i lavori procedevano a rilento: all’avanzare progressivo delle navate, la piazza preesistente sparì e dalla fine del XVII secolo la facciata d’ingresso rimase quasi completamente in mattoni a vista. Ci vollero quasi trecento anni perché si completassero i lavori del tiburio, della cupola interna e della guglia centrale, terminati nel 1774. In quell’anno, sulla sommità dell’edificio — a 108 metri d’altezza dal suolo — venne collocata la celebre Madonnina, la statua dorata alta più di quattro metri diventata simbolo della città. Eppure il duomo non era affatto concluso.
Soltanto agli albori del XIX secolo, con Napoleone Bonaparte, arrivò l’impulso decisivo.
Nel1805 infatti l’imperatore francese aveva innalzato Milano a capitale del suo Regno d’Italia, che comprendeva buana parte del settentrione. Pur in forme moderne, l’unificazione territoriale si realizzava di nuovo come sotto i Visconti: il duomo ritrovava in qualche modo il ruolo simbolico delle origini. Non a caso Napoleone scelse proprio questo luogo per farsi incoronare re d’Italia il 26 maggio 1805.
Con una solenne cerimonia il corso riceveva la corona ferrea altomedievale. Nel 1813, poco prima che l’imperatore cadesse in disgrazia, la facciata fu completata a tempo di record ma tagliando sui costi, al punto che pochi decenni dopo si dovette rimettere mano ad alcune parti già pericolanti.
Se ne può avere un’idea ripercorrendo le stampe, i quadri, i modelli in legno e i documenti custoditi nell’archivio della Veneranda Fabbrica del Duomo e nel museo a poca distanza. In alcuni progetti la facciata avrebbe richiamato l’abside con grandi vetrate e una prevalenza di trafori rispetto alle masse murarie. Secondo altre ideazioni invece si sarebbe sviluppata più in orizzontale, con torri-campanile laterali ad appiattire in qualche modo il frontone a triangolo.
Dopo l’Unità d’Italia si pensò finanche di uniformare stilisticamente il complesso. A
tale scopo nel 1886 fu indetto un concorso. Lo vinse il giovane architetto Giovanni Brentano, che però morì prematuramente: il suo progetto venne messo da parte e il prospetto fu completato soltanto nel 1892 mantenendo l’accostamento fra manierismo, barocco e neogotico.
Nel corso di tutto il XX secolo andò avanti la stratificazione stilistica e si aggiunsero
altri decori, alcuni dei quali del tutto inconsueti: solo a titolo di esempio, in un angolo delle terrazze si possono notare delle racchette da tennis — curioso omaggio agli sport moderni — i ritratti di personaggi dell’attualità come i campioni di pugilato
Primo Carnera ed Erminio Spalla, poco visibili in mezzo alla foresta di riccioli e pinnacoli sulla sommità.
Restauri senza fine
Nonostante i secoli di lavori, le vicissitudini del duomo non erano finite. Durante la
Seconda guerra mondiale l’edificio subì pesanti bombardamenti. Nella notte tra il 12 e il 13 agosto 1943 la capitale lombarda divenne il bersaglio di decine di ordigni lanciati dagli aerei alleati. All’alba, mezza città era in fiamme e il duomo in rovina: guglie pericolanti o decapitate, statue a pezzi, il fianco sud i portali tra le macerie. Persino l’organo davanti all’altare mostrava lo scheletro di legno tra canne sparpagliate. Miracolosamente, diverse preziosissime vetrate rimasero intatte, così come la Madonnina. La statua dorata infatti era stata coperta in precedenza, soprattutto per evitare che il rivestimento luccicante potesse costituire un punto di riferimento per i bombardieri. ZOONAR
Quando gli ordigni cessarono di fischia re sui tetti di Milano e vennero terminati i restauri e le ricostruzioni del dopoguerra, il duomo fu interessato da un nuovo problema: lo smog. L’inquinamento ne corrose i marmi e la struttura assunse un colore grigionerastro che ne rese necessaria la ripulitura.
La prima volta che la facciata del duomo fu ripulita, nel 1972, i milanesi rimasero a bocca aperta. Nessuno infatti ricordava più la tonalità rosa-ambrata dell’edificio, la cui superficie marmorea fu resa più resistente da ulteriori sabbiature successive. Ma îl marmo di Candoglia contiene venature soggette a infiltrazioni e corrosioni: per questo motivo, dopo oltre sei secoli dalla sua fondazione, la Veneranda Fabbrica del Duomo è tuttora in attività e provvede instancabilmente al rifacimento e alla sostituzione di guglie e parti della struttura deteriorate, in un circolo virtuoso che ha saputo conservare nel corso dei decenni antichissime competenze artigianali altrove scomparse. Per permettere questa continua opera di manutenzione sono state lanciate iniziative come “Adotta una guglia” e “Adotta una statua” grazie alle quali i finanziatori legano il proprio nome al capolavoro recuperato. Uno speciale accordo con la Sovrintendenza alle Belle Arti prevede persino che alcune sculture restaurate în laboratorio possano trovare temporanea ospitalità presso la casa 0 l’azienda dei benefattori.
È vero quel famoso detto secondo cui i lavori del duomo sono lunghissimi. All’ombra
dell’edificio rimangono vive le concezioni originarie: l’ambiziosa spiritualità ben rappresentata dal verticalismo che punta al cielo e uno stile gotico cosmopolita in sintonia con l’Europa a nord delle Alpi.
TITO GILIBERTO
GIORNALISTA
DALLA RIVISTA “STORICA ” N. 161.