Il museo del vino di Forgiano
di Mimmo Coletti
Bacco arrivò danzando a bordo di una barca trascinata dalla pigra corrente del Tevere. Pampini d’uva alle orecchie e un corteo di suoni, colori e grida, il figlio di Zeus scrutò la valle ricca di verde, dolce di ondulazioni, fertile e amica. Gli piacque quel posto, al primo sguardo. E il dio della gioia decise di fermarsi un poco e lasciare un segno del suo passaggio. Fu così, recita l’antica leggenda di un poeta dimenticato, che Torgiano ebbe in sorte il dono di vendemmie abbondanti, raccolti sempre benigni e mai guastati dalle meteore inclementi, un nettare dolce e forte che scendeva nelle gole riarse a vivificare umori e dar vigore a forze appassite, ed insieme quel lieve stato di euforia capace di far dimenticare gli affanni e rendere ogni cosa leggera come piuma. Scendendo dalla leggenda per arrivare al tempo d’oggi e alla fatica non più scansata dal cenno benevolo dell’immortale protettore dei vigneti, Torgiano ha continuato nel tempo nella sua missione fino a divenire un centro rinomato, un’area ben individuabile in una regione che di zone simili, pur con diverse caratteristiche, ne ha millanta.
E visto che la vicenda di questa terra è remota ed ha lasciato segni che emergono spesso quando gli aratri fanno lo scrimo ai campi, ecco sbocciare l’idea. Geniale, insolita, affascinante dato che riunisce le memorie in una fiorente gamma espressiva: il museo del vino, appunto. Nato nel 1974 per volontà di Giorgio e Maria Grazia Lungarotti nel monumentale palazzo dei Baglioni, è un punto di riferimento privilegiato, una mèta ambitissima, un luogo dove si radunano oggetti tra i più preziosi e rari d’ogni tempo e stile, tutti legati al linguaggio enologico.
Quattordici ambienti poi divenuti diciannove nel maggio scorso, criteri espositivi che permettono una lettura facile, un legame sempre stretto con gli ambienti, settori ben descritti attraverso una vasta documentazione e reperti di spicco che vanno dall ‘archeologico allo storico; dal tecnico all’artistico e al folklore. Non è un semplice museo agricolo, anche se legato per molti versi alla concretezza della fatica e del lavoro. La sua destinazione si sposa alla modernità: sale convegni con traduzione simultanea e mezzi audiovisivi, archivio fornitissimo e specializzato, biblioteca, attività didattica svolta nella vecchia fornace a legna. In più l’ubicazione proprio al centro del paese che rende facile e immediato l’arrivo al visitatore. Il vanto maggiore è, ovviamente, quello che si apre sulle ceramiche e sulle incisioni: oggetti di pregio, culminanti le prime in uno stupendo piatto istoriato con l’ infanzia di Bacco, redatto nel 1528 da Mastro Giorgio (uno dei maghi rinascimentali del ramo) le altre in una serie di grafiche uniche per compattezza e vibratilità di tocco, unificate da quel sentimento dell’ armonia che è alla base di ogni collezione di riguardo.
Le raccolte si aprono con il richiamo alle origini medio-orientali delle viticoltura e alle vie mediterranee del commercio. E meraviglie sgranate: vasi ittiti, un corredo funebre etrusco, vetri romani, anfore vinarie. Non si dimentica certo di descrivere il sistema di viticoltura medievale, il ciclo annuale, poi la sala dei torchi monumentali e, accanto, i mestieri collegati, che sono moltissimi: bottai, d’accordo, e poi barlettari, bigonciari, fabbri, cestari, tavernieri accompagnati dagli strumenti del loro lavoro, dagli emblemi delle corporazioni, da ordinativi di lavoro, pagamenti. Iriflettori si accendono giustamente anche su Torgiano, su passato e futuro.
Né si passa sotto silenzio la parte etnografica, quella artigianale, la storica, comprendente quest’ultima una significativa batteria di ritrovamenti estratti dagli insediamenti agricoli che ingemmavano la campagna in epoca romana. L’ itinerario non accusa flessioni o pause. Con la ceramica si entra nel Medioevo, quindi nell’era rinascimentale e barocca con maioliche di tradizione colta e popolare, da esposizione e d’uso quotidiano. Manufatti delle più note produzioni nazionali, tecniche raffinate come il graffito emiliano o fresche, spontanee e zampillanti dei vasai umbri.
Un’apertura sulla realtà di tutti i giorni, dal lato religioso e profano, è data da una vasta, straordinaria collezione di ferri da cialde che riguardavano il vino per la preparazione e il consumo dei dolci. Infine l’ultimo strepitoso capitolo: la grafica.
Vitigni e numi tornano a sorridere sotto un cielo variegato di nubi e costellato di amorini. Oltre seicento opere che partono dal Baccanale con Sileno di Mantenga e si concludono con l’opera di Ricasso. Un volume da sfogliare con attenzione ma anche con impeto, perché le sorprese vengono una dopo l’altra, davvero come i chicchi di un grappolo enorme.
Per concludere. Sala degli ex libris dal sapore quasi numismatico, quindi l’editoria antiquaria. Un’agile guida accompagna il turista, tre ponderosi cataloghi divisi per argomento e stampati dalla Regione, illustrano in profondità ogni cosa.
Questo è un vero museo multiplo perché si allarga in cento direzioni partendo dal cuore fondamentale del liquido di Bacco. Altri ne esistono sparsi per l’Europa ma ognuno teso ad illustrare la sola realtà territoriale, dalla Francia all’Ungheria. Le raccolte nelle sale mormoranti di palazzo Baglioni sono una prova autentica: qui il vino è sovrano e padrone incontrastato. Di stile, di linguaggio, e di segreti. Dalla notte del mondo ad oggi, un filo rosso nel nome dell’uomo.
Gusto, mito, profumo e medicamento. Tutto in un calice di ottimo rosso
Raggiungere Torgiano è facile. Chi viene da nord, deve lasciare l’autostrada del Sole a Valdichiana e proseguire per il raccordo autostradale Bettolle-Perugia. Superato il capoluogo si prende la via di Todi sul raccordo Terni-Roma. Dopo un po’ c’è l’indicazione. Da sud si deve lasciare l’autostrada a Orte e si prosegue verso Perugia. Tra il materiale presentato c’è anche una suddivisione del vino per argomenti. Il nettare di Bacco diventa alimento (boccali, misure, borracce, fiasche), medicamento (vasi farmaceutici e antichi testi su pozioni ricavate da erbe dissolte nel vino), una cura empirica che si è tramandata nei secoli tanto da avere tutt’oggi una sua credibilità sia pure parziale. E poi la mitologia con Dionysos in testa, protagonista di mille richiami su un ‘area amplissima. Da sottolineare che pure le firme più note della storia ceramica si sono soffermate sul tema. Oltre a Mastro Giorgio è presente anche un gran tondo di Giovanni della Robbia. Curiosità aggiuntiva: un’opera di Deruta con un francescano genuflesso di fronte ad una botte. Anche la gola vuole la sua parte.
«Chi non beve scrive lettere anonime» Così i grandi bocciarono gli astemi
Tutti i grandi hanno parlato del vino. E Angelo Valentini, enologo delle cantine Lungarotti e uomo di cultura, ha raccolto alcune perle. Ecco le più significative.
“E dove non è vino, non è amore né alcun altro diletto hanno i mortali” (Eschilo, Le Baccanti).
“Il vino è per l’uomo come l’acqua per le piante che in giusta dose le fa stare bene erette, mentre in eccesso le fa cadere” (Platone).
“II vino conforta la speranza” (Aristotele)
“Che sarebbe la vita senza il Vino? Bevuto in tempi e quantità giuste è gaiezza del cuore, gioia dell’anima” (Antico Testamento, Ecclesiaste, III o II a.C.).
“Una coppa di vino livella la Vita e la morte, e mille cose ostinate a non farsi capire” (Li T’ Ai Po, 700 d.C.).
“Dell’acqua sole bevere chi non have del. Vino” (Jacopone da Todi).
“Et però credo che molta felicità sia agli uomini che nascono dove trovano i vini buoni” (Leonardo).
“Chi non beve vino scrive lettere anonime” (Brandimarte ).