Essere libero
“Conoscere se stessi”
Quando sarò libero da non mi interesserà di essere libero di.
Libertà e possibilità di scelta.
Un problema può essere parcellizzato nei suoi singoli ed univoci componenti, per le
soluzioni dei quali sono previste soltanto due risposte: “si” o “no”.
Questa duplicità di risposta, ed indipendentemente dalla risposta stessa, può essere
identificata con la “libertà”.
Una manifestazione evidente di questo tipo di libertà è rappresentato dall’elaboratore elettronico, che è stato realizzato dall’ingegno umano (a sua immagine e somiglianza) utilizzando il principio degli opposti, che siano essi definiti “O” o “1” oppure “SI” o “NO”, poco importa.
Abbiamo detto che la presenza di una scelta coincide con la presenza della libertà, ma datale affermazione non ne deriva necessariamente l’esistenza “della libertà di scelta”.
Se esaminiamo il comportamento di un elaboratore, vedremo che la scelta fatta ad ognisingolo stadio dell’operazione è frutto di sequenze logiche che condurranno alla evidente impossibilità di rieffettuare scelte diverse da quelle effettuate (ripetibilità di risposte a singolo caso) sempreché i parametri di calcolo siano rimasti invariati.
Esiste quindi, come assunto, la alternativa della scelta (identificabile con la libertà), ma praticamente, a parità di condizioni, non ne viene operata che una e, per di più, quella una soltanto.
Trasponiamo ora il concetto dell’elaboratore all’uomo. Ritengo che in modo analogico, l’individuo si trovi, almeno potenzialmente, nelle identiche condizioni di avere, nella ricerca della soluzione di un singolo problema, solo e soltanto due risposte (scelte) alternative ed opposte: “si o no”
Si tratta ora di esaminare se la soluzione scelta poteva essere diversa, o se in realtà è stata univoca.
La risposta di un individuo all’input ricevuto, è evidentemente condizionata da “n” parametri nei quali è compreso tutto il bagaglio genetico in termini di memorie inconsce, subconsce e subliminali, che il proprio DNA ha accumulato nel corso delle esperienze dirette sue, ed indirette dei suoi predecessori.
Ne consegue che, come nel caso dell’elaboratore, esistono due possibilità di scelta, ma la risposta all’input, alla luce dei parametri memorizzati, sarà una, sempre una e sempre quella soltanto.
Ipotizzato che la risposta sia funzione di variabili interne ed esterne dell’individuo e da informazioni o messaggi più o meno consciamente memorizzate, se ne deve dedurre che, se ad una eventuale verifica successiva del tipo di scelta precedente, a parità di domanda, la nuova risposta è stata opposta a quella precedente, qualcuna delle variabili si è modificata o/e nel contempo è stata aggiunta alla memoria precedente una o più nuove informazioni, per cui il quadro globale dell’individuo ne è risultato modificato.
La nostra memoria non è statica: può ricevere e riceve messaggi, esperienze, conoscenze, input di qualsiasi tipo non precedentemente memorizzati, è fare quindi reagire diversamente l’individuo in esame.
Anche le variazioni di carattere fisico dell’ambiente che circondano il soggetto possono influire sulla risposta, come nel caso delle metereopatie, degli psicofarmaci ecc. Ne deriva che per uno stesso problema la risposta può variare nel tempo per le ragioni su esposte.
Ti fatto di aver effettuato, a parità di problema, due scelte opposte, ci può fare confondere il sostantivo libertà con l’aggettivo libero.
‘Abbiamo in tal modo introdotto l’aggettivizzazione del sostantivo “libertà”.
Se ci riferiamo più specificamente all’uomo, possiamo porci la seguente domanda: è costui libero?.
Direi che lo stato naturale dell’uomo sia esattamente l’opposto dello stato posto dal quesito, in quanto l’uomo dimostra di essere, per sua natura, costituzionalmente schiavo.
L’uomo nasce e vive non libero. Risalendo alla semantica romana, il termine “libero”
significava “non schiavo”. Lo schiavo affrancato dal suo giogo era liberato, diveniva un “liberto”, e soltanto i suoi figli non avevano più la necessità di definirsi “liberi”.
Lo stato di libero era uno stato che non aveva di per se significanza se non quando veniva comparato con l’altro stato “non”, e cioè quello di schiavo.
Ciò significa che in assenza di legami, di impedimenti, di pastoie o di altri vincoli, l’aggettivo “libero” non ha più senso, in quanto, molto più semplicemente, in tali condizioni, l’individuo “è”,
Un aggettivo implica sempre una delimitazione, e questa, in quanto tale, è antitetica allo stato di libertà.
Se ipotizziamo, in chiave deterministica, che la risposta data da un uomo ad una ben precisa alternativa sia condizionata da quanto da lui memorizzato, anche geneticamente, e quindi da leggi di causa ed effetto, ne deriva che non esiste spazio a quella che è definita comunemente “volontà singola, libera ed autonoma” di ogni individuo.
In questo caso viene escluso che, nell’ipotesi di un equilibrio perfetto, vedi l’asino di
Buridano, la volontà possa, in modo indipendente, fare spostare il piatto della bilancia da una parte piuttosto che dall’altra.
Se noi ipotizziamo che l’uomo tenda costituzionalmente al Principio, dobbiamo immaginare che esista una forza calamitante, il Principio, ed un quid calamitabile, l’uomo, lo spirito/materia.
Può non essere improbabile che la volontà, più o meno grande, più o meno forte, sia
identificabile in questo “quid” congenito nell’immanente, e conseguentemente nella sua quantità (più o meno grande) e nella sua qualità (più o meno forte).
Esaminiamo ora per esempio un fatto che abbiamo giornalmente sotto gli occhi: l’omicidio.
Questo, sotto il profilo giuridico, può essere valorizzato, esclusa la legittima difesa, almeno a tre livelli di responsabilità e cioè, colposo, preterintenzionale e volontario.
Questi livelli possono subire delle variazioni sul tema, genericamente indicate come
attenuanti o aggravanti, Si presume che i due parametri succitati siano influenzati da numerose variabili, tra le quali si individuano ad esempio, le condizioni ambientali, l’ignoranza, il bisogno, la paura, l’infermità mentale, ecc., che permettono di dare scale di valori diverse per le devianze della cosiddetta volontà a favore dell’istinto.
Ci troviamo così in pratica davanti all’antagonismo tra l’istinto e la volontà.
A mio giudizio entrambi hanno origine dall’inconscio, ma con la differenza che probabilmente l’istinto è rimasto a livello subliminale, mentre la volontà è uscita allo scoperto pur mantenendo le sue origini ben radicate nel profondo.
Questi due tipi di manifestazione comportamentale di un individuo sono determinanti nella sua vita, e dalla prevalenza dell’uno sull’altro si dirà che costui avrà maggiore o minore volontà o che seguirà più o meno i suoi bassi istinti.
Si può anche pensare, se consideriamo come assioma quanto più sopra accennato, che la forza con cui il “quid” calamitabile è attratto dal centro calamitante, è inversamente proporzionale alla relativa distanza. Di conseguenza, man mano che un essere si avvicina al Principio, sia in una sola vita o in vite successive, questa forza viene sempre più avvertita, portando quindi la volontà (il conscio) ad avere maggiore prevalenza sull’istinto (l’inconscio).
Quando la Conoscenza sarà raggiunta, l’inconscio sarà stato completamente trasformato nel conscio. Però, al contrario, quanto più prevalente sarà l’istinto, tanto più lunga sarà la strada al principio.
Potrei quindi dedurre, a questo punto, che il problema del libero arbitrio sia in fondo un falso problema.
Noi non possiamo che tendere al Principio, anche se in forma sinusoidale o a spirale, e quindi il problema delle responsabilità o delle attenuanti relativa alle nostre azioni è legato più ad una necessità sociale immanente che ad una realtà morale trascendente.
Se l’istinto è un qualcosa che, legato ad una memoria genetica, rimane inconscio o, nella migliore delle ipotesi, subliminale, la volontà dovrebbe essere il risultato conscio di tutta una massa di informazioni che, forse inconsciamente, tende a modificare il nostro comportamento istintivo.
In questo caso la “volontà” sarebbe il frutto di educazione, di conoscenza, sarebbe la presa di coscienza dell’esistenza di quel magnete che è il Principio, per raggiungere il quale il più presto possibile dobbiamo ridurre al massimo l’azione franante dell’istinto.
L’esperienza degli altri, il nostro studio, ci devono rendere coscienti di questa realtà che è in fondo la liberazione dalla materia.
Con queste nuove memorie immagazzinate riusciremo a rompere i legami che ci rendono schiavi, cioè non liberi. Quando saremo finalmente liberi da… e da… e da…, non avremo più nessun interesse ad essere liberi di.
In fondo il termine libertà è legato all’esistenza di alternative: è la necessità di definire con una parola lo stato di indecisione che ne consegue.
Se non ci sono alternative il termine libertà non ha significanza. Se l’obiettivo è il Principio, non esisterà più dualismo di scelta ma solo univocità, ed a questo momento i termini libertà e libero non avranno più significato: solamente saremo.
Solo un profano può essere libero; un iniziato no! Per questa ragione il profano bussa alla porta del tempio: per essere liberato proprio dalla sua libertà.
TAVOLA DEL FR.’. E. S.