L’ARCHITETTO DELL’UNIVERSO
Naturalmente sorge a questo punto naturale e ovvia la domanda: se ciò è, gli è
perché Dio così ha voluto: ora, perché Dio ha voluto così?
Per rispondere in modo esauriente, occorrerebbe conoscere Dio nella Sua
essenza, il che è manifestamente vietato all’uomo, il cui limitato, per quanto
eccelso intelletto, non arriva certo a « capere », a comprendere l’immensità, l’infinità,
l’onniscienza, l’eternità di Dio.
Però a un uomo, creatura intelligente, è sempre permesso di opinare: pertanto
mi pongo un’altra demanda, limitandomi a considerare gli effetti della potenza
divina: perché Dio ha creato l’universo? Aveva dunque Lui, infinito, bisogno di
qualche cosa che cominciasse dalle Sue mani e finisse per volontà Sua? Aveva Egli
(che non può sentire necessità di qualche cosa) bisogno di manifestarsi con la
meraviglia della creazione, nella quale si vede – come osservo Galileo – ad ogni
piè sospinto, la mano dell’Artista?
Respinto senz’altro tale pregiudizio, in quanto Dio è pensiero che contempla
se stesso, né altro di superiore a Lui potendo contemplare, perché non esiste, né
altro di interiore appunto perché non Gli sarebbe pari, ne deriva che le cause della
creazione debbono essere ricercate nella creazione stessa e precisamente
nell’essere ch’Egli voile più vicino a Lui, formandolo a Sua immagine e
somiglianza e incarnando come Lui il Suo Figliuolo: l’uomo, Aveva bisogno,
« l’uomo », del mondo, così com’è ora? Dopo il peccato originale certamente,
appunto per poter tornare a Dio; prima del peccato di origine, quando la perfetta
coppia umana di Adamo ed Eva viveva serena, per l’eternità, nel terrestre
Paradiso, ovviamente no. Si può allora pensare che Dio, nella Sua onniscienza, già
prevedendo la caduta della Sua creatura, abbia voluto predisporre il mezzo,
l’ambiente della sua espiazione e redenzione; oppure che il mondo stesso fosse un
Paradiso eterno, popolato di belve mansuete e parlanti, il soggiorno ideale della
creatura più amata da Dio, e che essa devasterà con il primo peccato del giorno
primo del mondo nuovo, che costringe Dio a creare il tempo, la vecchiaia, la morte
secondo natura, e a permettere tutti i malanni che giustizia lega al peccato, e a
offrire tutte le virtù necessarie alla purificazione e all’angelicazione dell’uomo.
Come e checché sia, il fatto è che l’amore di Dio si espresse in un atto di
carità, che poteva essere e non essere, ma che fu perché inevitabilmente proprio
della grazia Sua, che « volle » avere l’oggetto di tanto Amore. Senza l’uomo, a chi
e come poteva Iddio manifestare la Sua carità?
Pertanto l’uomo ha questo orgoglio: di essere stato necessario all’amore
divino (più forte di Dio: è difatti il Suo amore che fa « muovere » l’universo:
« L’amor che muove il sole e l’altre stelle »); e questa dignità: di essere figli di
Dio; e questa nobiltà: che Dio ha bisogno di lui per affermare l’eccellenza della
creazione, per interpretare in questo mondo la Sua volontà.
Che esistano uno o più mondi abitati, ciò non importa: la verità (o ipotesi)
suddetta rimane valida all’infinito, come, d’altronde, rimane valido l’assioma da
cui siamo partiti: l’esistenza di Dio confermata dall’esistenza stessa del mondo e
dell’uomo e dal postulato kantiano della ragione umana sull’eternità dell’anima e
sul Giudice supremo, affinché la bontà abbia il giusto premio nella felicita.